Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 luglio 2015, n. 15372 - Infarto e nesso con l'attività lavorativa


 

Presidente: BANDINI GIANFRANCO Relatore: TRICOMI IRENE Data pubblicazione: 22/07/2015

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Napoli, con la sentenza n. 7151/06, pronunciando sull'impugnazione proposta da C.C. nei confronti dell'INAIL, in ordine alla sentenza del Tribunale di Benevento del 22 maggio 2001, rigettava l'appello.
2. Il giudice di primo grado aveva respinto la domanda proposta dal C.C. per il riconoscimento della malattia professionale, già richiesto in via amministrativa in data 15 aprile 1987.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorrono P.G., C.M., C.A. e C.An., quali eredi di C.C., prospettando quattro motivi di ricorso, assistiti dai prescritti quesiti di diritto.
4. Resiste l'INAIL con controricorso.

Diritto


1. Con il primo motivo di ricorso, P.G., C.M., C.A. e C.An., dopo aver esposto una «ingiustificata mistificazione dei fatti da sconvolgere l'impianto fattuale: contraddittorietà della motivazione per mancata rispondenza alle normali cognizioni contraddittorietà della motivazione, insufficienza della stessa, presupposizione di fatti inesistenti, svilimento della prova», prospettano violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 1124 del 1965, violazione dell'art. 166 in tema di valutazione della CTU (recte: 116 cpc. I ricorrenti richiamano senza altra precisazione: art. 166; il contenuto della relativa disposizione del citato d.P.R. sia del cpc non sembra, tuttavia, pertinente alla doglianza) e degli elementi a contrario con totale discrasia ex art. 360, n. 3 e n. 5, cpc.
I ricorrenti, nella sostanza, censurano il rilievo attribuito alla CTU espletata in primo grado e l'aver disatteso le circostanze che sarebbero emerse dalla prova per testi e dalla CTP.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965. Travisamento dei fatti, delle circostanze, omesso esame, insufficiente motivazione contraddetta dagli stessi elementi di giudizio. Assumono i ricorrenti che non sarebbe rilevante la sussistenza di una predisposizione del soggetto alla malattia, e che la nozione di causa violenta, ai fini dell'infortunio sul lavoro, comprende qualsiasi fattore presente nell'ambiente di lavoro.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la mancata valutazione degli elementi atti all'accoglimento della domanda: occasione di lavoro, causa violenta improvvisa con omessa considerazione di quanto verificatosi, in modo da negare un infortunio risarcibile, riferibilità della patologia all'infortunio subito.
Espongono i ricorrenti che, nella specie, la sancita esclusione del collegamento tra lavoro ed evento lesivo non aveva tenuto conto che si trattava di infortunio avvenuto sul luogo di lavoro, o comunque di malattia professionale contratta sul luogo di lavoro, senza che il lavoratore avesse possibilità di scegliere ove svolgere la propria attività.
L'accertamento medico-specialistico che non si era disposto avrebb-e offerto argomenti in tal senso, essendosi verificato l'infarto per uno sforzo fisico improvviso connesso all'attività di carrozziere.
4. Con il quarto motivo è dedotta contraddittorietà della motivazione rispetto ai fatti ed agli elementi di diritto accertati ma violati.
La sentenza d'appello non avrebbe tenuto presente le circostanze relative all'adeguatezza dello sforzo fisico a costituire causa violenta idonea a dar luogo ad una alterazione lesiva, anche avvalendosi in merito di CTU.
È prospettata, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità in materia di causa violenta ex art. 2 del dPR 1124 del 1965, altresì, contraddittorietà della motivazione, insufficienza della stessa, presupposizione di fatti inesistenti, svilimento della prova. Violazione degli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 1165 del 1965 ex art. 360 cpc; violazione dell'art. 116 cpc, in quanto vi sarebbe omessa valutazione non solo delle prove ma anche dei fatti e degli eventi su un punto decisivo.
La Corte d'Appello avrebbe dato rilievo alla CTU che invece era stata contraddetta dal CTP dr. D., ritenendo con motivazione viziata che non vi sarebbe stato uno sforzo improvviso e violento, in uno a stress, che dava luogo all'evento infartuale.
5. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
6. Occorre premettere che la Corte d'Appello, nella sentenza impugnata, espone in fatto che il C.C. sosteneva di aver chiesto, nel primo grado di giudizio, il riconoscimento sia dell'infortunio sul lavoro che della malattia professionale in relazione alla propria attività di carrozziere, affermava l'erroneità della CTU, anche relativamente al supplemento disposto, ed affermava che la prova testimoniale espletata aveva dimostrato che l'infarto che lo aveva colpito era stato provocato dal sollevamento di uno sportello di 25 Kg, mentre alcuno dei fattori di rischio della patologia cardiaca era presente in esso ricorrente all'epoca dell'infortunio.
6.1. Richiamata la giurisprudenza in materia di "sforzo violento idoneo a configurare un infortunio" il C.C. chiedeva il rinnovo della CTU e l'accoglimento della domanda a suo tempo proposta.
6.2. L'INAIL costituitosi in giudizio, nel chiedere il rigetto dell'impugnazione, evidenziava le contraddizioni nella ricostruzione dei fatti resa in primo grado e in appello, sottolineava che l'infarto occorso al C.C. era avvenuto presso l'abitazione dello stesso in data 11 gennaio 1987 e non durante l'attività lavorativa, ed era stato preceduto da episodi di "dolore precordiale", come accertato da CT di parte, e che il C.C. comunque non godeva di buona salute tant'è che era stato riconosciuto invalido perchè affetto, tra l'altro di obesità e sclerosi mitralica.
7. Tanto premesso, si rileva che la statuizione della Corte d'Appello di rigetto dell'impugnazione proposta dal C.C. si fonda sulle seguenti argomentazioni.
Premette la Corte d'Appello che la domanda introduttiva del giudizio, avente ad oggetto riconoscimento di malattia professionale, veniva poi modificata, anche a seguito di ordinanza del pretore di Benevento, che disponeva l'integrazione del ricorso in quanto carente degli elementi di fatto. Veniva così introdotto il fatto, nuovo rispetto all'originaria domanda, del sollevamento dello sportello del peso di 25 Kg., che avrebbe scatenato l'episodio infartuale.
Tale fatto non era confermato dalla prova per testi, e la CTU escludeva la natura professionale dell'evento, smentendo, in particolare la tesi dell'appellante che non vi fossero fattori di rischio precedenti l'episodio del 1987.
7.1. II giudice di secondo grado, quindi, affermava che la tesi dell'infortunio sul lavoro era smentita dai fatti, in quanto il C.C. veniva ricoverato l'11 gennaio 1987 perché aveva accusato un forte dolore mentre si trovava al proprio domicilio, come si evinceva dalla consulenza del dott. M.L..
L'episodio riferito dai testi (del sollevamento dello sportello) sarebbe avvenuto presso l'autocarrozzeria. Le testimonianze in proposito (testi N.L. e teste C.C.) si erano contraddette sia in relazione all'attività svolta al momento del presunto attacco montaggio e martellamento sportello di un autovettura- smontaggio di uno sportello di un camion), sia perché entrambi riferivano di aver accompagnato a casa il C.C. senza dare contezza l'uno della presenza dell'altro.
La patologia cardiaca non poteva farsi risalire all'attività svolta, come accertato dal CTU che aveva evidenziato la multifattorialità della stessa, la presenza nell'infartuato dell'obesità (peso 107 Kg per altezza di m. 1,66), della ipertensione arteriosa (valori pressori 220/120), tutti fattori di rischio dell'aterosclerosi coronaria, causa dell'infarto.
Le consulenze di parte - dott. R. e dott. L. - erano inaffidabili sotto il profilo medico-legale, atteso che nella prima si faceva riferimento all'uso di sostanze cancerogene e comunque potenzialmente dannose tali da aumentare la coagulabilità ematica, con argomentazioni prive di fondamento medico-legale; nella seconda si affermava genericamente l'usura dell'apparato cardiovascolare per l'attività svolta e quindi, in essa, redatta nel 1987 e quindi immediatamente dopo i fatti, non vi era neppure riferimento allo sforzo violento.
La Corte d'Appello non disponeva, quindi, alcuna CTU, apparendo chiaro che non si era verificato lo sforzo violento riferito tardivamente dall'interessato e tenuto conto che evidenti ragioni medico-legali, ampiamente trattate dal CTU in primo grado, avevano escluso la natura professionale della patologia multifattoriale legata all'infarto miocardico.
8. Quanto esposto pone in evidenza come argomenti cardine della statuizione della Corte d'Appello siano stati: l'esclusione dell'infortunio sul lavoro per essersi manifestata la patologia cardiaca presso l'abitazione del ricorrente e non presso l'autocarrozzeria nello svolgimento dell'attività lavorativa; la contraddittorietà, in proposito, delle testimonianze relative al sollevamento di un rilevante peso sul luogo di lavoro; l'esclusione della malattia professionale, in ragione della condivisa CTU che bene evidenziava il carattere multifattoriale della patologia cardiaca, la presenza nell'infartuato di obesità e ipertensione arteriosa, tutti fattori di rischio della aterosclerosi coronaria, causa dell'infarto miocardico; la non affidabilità delle CT di parte in ragione dei contenuti delle stesse, specificamente richiamati.
I ricorrenti nell'esporre i motivi di ricorso richiamando i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di infortunio sul lavoro e malattia professionale, non colgono la esposta ratio decidendi, in quanto i giudici di merito hanno rigettato la domanda per la mancanza, in concreto, in ragione delle risultanze probatorie e della CTU, delle condizioni per riconoscere l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale, in ragione di un accertamento di fatto che, in quanto adeguatamente motivato e corretto sotto il profilo dei principi di diritto in materia, si sottrae alle generiche doglianze prospettate, non venendo illustrate, peraltro, le risultanze probatorie, in particolare con riguardo alla causa di lavoro della malattia, che dovrebbero incidere la statuizione della Corte d'Appello.
In proposito, si può ricordare che, in tema di malattia professionale, derivante da lavorazione non tabellata o ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere ravvisata in un rilevante grado di probabilità (Cass., n. 21825 del 2014, n. 17438 del 2012).
I motivi di ricorso si risolvono, peraltro, nella censura delle risultanze della CTU, seguita dalla sentenza. In violazione del principio di autosufficienza non vengono riportati i passi della CTU che si intendono sottoporre a critica, né, tanto meno, sono illustrate le ragioni per le quali tali conclusioni si discosterebbero palesemente dalle nozioni della scienza medica; inoltre la CTU, come esposto dal giudice di appello, ha diffusamente motivato in ordine alla mancanza del nesso di causalità e le censure al riguardo sono inammissibili perché richiedono un riesame del merito; ancora per quanto fondate sulla CT di parte, le censure presentano profili di inammissibilità, perché tali atti non sono stati prodotti con il ricorso, né sono state fornite le necessarie indicazioni sul loro rcpcrimento nei fascicoli di parte, ove ivi siano contenute (cfr., ex plurimis, Cass. S.U. nn. 28547/2008; 7161/2010; 22726/2011; Cass., nn. 20535/2009; 29/2010; 17602/2011; 124/2013).
9.11 ricorso deve essere rigettato
10. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro tremila per compensi professionali, euro cento per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 aprile 2015