Tribunale di Milano, Sez. Lav., 07 ottobre 2015, n. 7309 - Infortunio durante il lavoro presso il reparto nucleo Alzheimer: aggressione da parte di un ospite. Menomazione dell'integrità psico-fisica e licenziamento illegittimo


 

Tribunale Ordinario di Milano
Sezione Lavoro

Il Giudice Dott. Tullio Perillo
letti gli atti e i documenti della causa iscritta al n. 7309/2015 RGL pendente

tra
S.O.
e
FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS
sciogliendo la riserva assunta in data 6.10.2015 così rileva.
Con ricorso al Tribunale di Milano, quale Giudice del Lavoro, ai sensi dell’art. 1, comma 48, L. 92/2012, depositato in data 25.6.2015, S.O. ha convenuto in giudizio FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS per l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimato il 25/3/15 e la condanna della convenuta alle conseguenze di cui all'articolo 18 SL; con vittoria di spese.
Si è ritualmente costituita in giudizio FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS contestando in fatto e in diritto l’avversario ricorso; con vittoria di spese.
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S.O. veniva assunto dalla convenuta in data 24/7/2000, inquadrato quale ASA, Cat. B1, C.C.N.L. ARIS AIOP.
In data 3/11/10, durante il turno di lavoro presso il reparto nucleo Alzheimer, il ricorrente veniva aggredito da un ospite e, in forza di detto infortunio, Inail, in data 2/9/13, certificava una menomazione dell'integrità psico-fisica del 20%.
Successivamente, in data 8/10/13, il medico competente lo giudicava non idoneo temporaneamente per due mesi tanto da essere posto in aspettativa non retribuita dalla convenuta dal 9/10/13 all'8/12/13.
In data 28/10/13, in sede di opposizione a tale giudizio medico, ASL accertava l'idoneità del ricorrente alle mansioni con limitazione a movimenti ripetitivi ad alta frequenza e con uso di forza a carico del polso destro (con un giudizio temporaneo della durata di mesi sei); la convenuta pertanto, in data 5/11/13, , individuava una serie di attività che presso l'unità S.Pietro il lavoratore poteva utilmente svolgere quale ASA.
Per quanto di interesse, in data 27/10/14 il datore di lavoro (a seguito di giudizio del medico competente del 17/9/14 ore il lavoratore veniva giudicato idoneo con limitazioni ed in particolare idoneo con ospiti deambulanti con buona autonomia degli aspetti funzionali) trasferiva S.O. dal reparto S. Pietro di Cesano Boscone alla Comunità Alloggio presso il CSS ci Buccinasco.
A seguito di impugnazione del lavoratore avverso il giudizio del medico competente, la Asl, in data 27/1/15, nel giudicarlo idoneo alla mansione, escludeva la possibilità di svolgere compiti e attività che comportassero il sovraccarico bio meccanico del polso della mano destra nonché l'attività di accudimento dell'igiene personale degli ospiti e tutte le attività di tipo domestico.
Il medico competente, in data 6/2/15, formulava analogo giudizio ma in data 24/2/15 FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS comunicava a S.O. che le attività conseguentemente espletabili avessero carattere accessorio e residuale tali da non rispondere più ad un apprezzabile interesse della convenuta, che pertanto lo licenziava per giustificato motivo oggettivo.
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Tanto premesso si osserva quanto segue.
Al fine del decidere, è senza dubbio necessario, ad avviso del giudicante, dare adeguata valorizzazione alla condotta delle parti nel corso del rapporto, in particolar modo per quanto concerne FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS.
A tale proposito, difatti, è opportuno prendere le mosse dal provvedimento del 28/10/13 con il quale l’ASL, in accoglimento deN’opposizione del ricorrente avverso il giudizio di non idoneità temporanea per due mesi formulato dal medico competente in data 8/10/13, giudicava il lavoratore idoneo alle mansioni ASA presso l’Unità/Sede San Pietro, I nucleo prescrivendo tuttavia che non effettuasse compiti lavorativi tali da esporlo a movimenti ripetitivi ad alta frequenza e con uso di forza a carico del polso destro, potendo viceversa svolgere attività di distribuzione e somministrazione della colazione e dei pasti, preparazione e smistamento biancheria, custodia e collaborazione nelle attività di animazione e tutte le funzioni educative; trattavasi di provvedimento disposto temporaneamente per mesi 6. 
Ora, non è a ben vedere nemmeno contestato dalla parte convenuta che, presso il reparto della sede San Pietro, I nucleo, il ricorrente, anche in forza di tale giudizio medico, sia stato destinato ad occuparsi di una serie eterogena di compiti (pur sempre rientranti tra quelli di competenza dell’ASA) quali la consegna dei prelievi ematici dei pazienti, il ritiro della posta dalla portineria e relativa consegna, il ritiro dei referti degli esami dalla casa di cura ambrosiana, l'accompagnamento, in affiancamento con gli infermieri, degli ospiti del reparto per le visite, il ritiro e la consegna della biancheria al guardaroba, ritiro e la consegna farmaci dalla farmacia, la preparazione e somministrazione della merenda, l'archiviazione della documentazione oltre che la collaborazione con infermieri, capo-sala e i medici del reparto; salvo talune precisazioni, la circostanza è stata anche confermata dalla teste comune G.M..
Va poi evidenziato che l'adibizione del ricorrente allo svolgimento di dette mansioni si protraeva ben oltre il termine di sei mesi individuato dalla ASL, fino a quando il medico competente lo giudicava idoneo con ospiti deambulanti con buona autonomia negli aspetti funzionali; a stretto giro di posta, in data 24/10/14, la parte convenuta disponeva il trasferimento del ricorrente presso la comunità alloggio di Buccinasco.
Peraltro, come visto, anche tale giudizio veniva fatto oggetto di modifica da parte della ASL in data 27/1/15 a seguito di ricorso del lavoratore; in tale sede veniva espresso giudizio di idoneità alla mansione di ASA con esclusione di compiti ed attività che comportino il sovraccarico biomeccanico dell’articolazione del polso e della mano destra, evitandosi attività di accudimento dell'igiene personale degli ospiti e tutte le attività di tipo domestico che richiedono applicazione e uso della forza della mano e del polso destro.
In forza di ciò, come già sopra accennato la convenuta provvedeva a licenziare il lavoratore sul presupposto che le limitazioni fossero tali da far sì che le residue mansioni del ricorrente non fossero tali da giustificare il suo impegno alle dipendenze della FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS.
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Ebbene, osserva il giudicante che senza dubbio, quantomeno in termini generali e astratti, si può convenire con la difesa della parte convenuta circa il fatto che il datore di lavoro non sia tenuto a stravolgere la propria organizzazione lavorativa allorquando un dipendente, per circostanze sopravvenute, non sia più in condizione di rendere nella propria pienezza le mansioni assegnate. 
Nel caso in esame è senza dubbio pacifico in causa che, a fronte delle mansioni che, in linea di principio, il ricorrente, quale ASA, avrebbe potuto svolgere, in forza degli eventi avversi a lui non imputabili, quelle che in concreto potevano essergli assegnate sostanzialmente escludevano la possibilità di una assistenza diretta ai pazienti.
Del pari, sempre in linea di principio, non si ritiene sussistere un obbligo in capo al datore di lavoro di frazionare il contenuto delle mansioni per preservare la prestazione lavorativa del dipendente che abbia limitazioni in forza di prescrizioni mediche, dovendosi tuttavia avere opportuno riguardo al contesto lavorativo e alla possibilità, in concreto, che anche una prestazione lavorativa resa seppure parzialmente rispetto al complessivo contenuto delle mansioni di un determinato incarico possa comunque essere utilmente ricevuta dal datore di lavoro.
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Ebbene, vi è, ad avviso del giudicante, un elemento dirimente al fine del decidere.
Ci si riferisce al periodo di quasi un anno in cui, come visto, il ricorrente, pur addetto presso la residenza San Pietro, svolgeva regolarmente la propria attività lavorativa, peraltro ben oltre il termine fissato da ASL di sei mesi come temporaneità della prescrizione.
Parte convenuta non ha certamente dato conto che la prestazione del ricorrente, pur non prevedendo una assistenza diretta ai pazienti, non sia stata utile e, anche sotto il profilo quantitativo, svolta nella pienezza dell'orario a tempo pieno.
Il significativo periodo trascorso dal ricorrente, difatti, lascia chiaramente intendere che, quantomeno all'epoca, il datore di lavoro non avesse ragione alcuna per non ritenere che la parte residuale delle mansioni del ricorrente potesse essere comunque utilmente sfruttata nell'ambito del contesto lavorativo ove era addetto; quantomeno nulla viene allegato a riguardo dalla parte resistente.
La già sopra richiamata teste G.M. (peraltro responsabile della RSA S. Pietro) ha confermato tali circostanze evidenziando che, benché il ruolo che ricorrente andava a svolgere dopo l'infortunio fosse stato ritagliato ad hoc (senza nemmeno previsione di attività turni ma a giornata) non creava problema alcuno alla struttura organizzativa della convenuta tanto che il dipendente era in soprannumero dell'organico. 
Se questo è il quadro di riferimento, rappresenta francamente una scelta del tutto illogica e incomprensibile quella di destinare il lavoratore presso la comunità alloggio di Buccinasco e ancor più quella licenziare il dipendente una volta che ASL di Milano, in sede di ricorso avverso il giudizio del medico competente, formulava il giudizio di idoneità con esclusione di una serie di compiti e attività.
Non si comprende, difatti, la ragione stessa del trasferimento del lavoratore, allontanato da un contesto che (vi è da ritenere, in difetto di ulteriori elementi) come numero di risorse, compiti ed attività da svolgere, vedeva utilmente collocato S.O., senza che, per ben 12 mesi, nulla avesse a obiettare la parte convenuta.
È pertanto la stessa FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS che ha dato conto che, nell'ambito del proprio contesto organizzativo, potesse essere utilmente sfruttata la professionalità del ricorrente seppur, senza dubbio (e di ciò non vi è nemmeno contestazione da parte del ricorrente) in termini differenti ma non per questo quantitativamente meno rilevanti rispetto agli altri colleghi ASA.
Di conseguenza la successiva scelta di licenziare il lavoratore non trova oggettivamente ragione alcuna, in quanto la stessa convenuta aveva dato conto di poter utilizzare le mansioni residuali del dipendente.
Non a caso (circostanza del tutto rilevante nel presente giudizio) il giudizio del collegio medico ASL del 28/10/13 dava conto della idoneità alla mansione del ricorrente (seppure nel limite temporale di sei mesi sul quale che sia già soffermati) specificamente con riferimento alla sede San Pietro, I Nucleo, evidentemente perché ivi il contesto lavorativo e organizzativo consentiva la possibilità di sfruttare le (seppur limitate) capacità del ricorrente.
E la stessa convenuta, giova ribadirlo a costo di ripetersi, con una condotta inequivoca, non si limitava a una destinazione temporanea (giacché, diversamente, avrebbe disposto la visita del ricorrente presso il medico competente una volta decorso il termine di sei mesi) bensì dava conto di poter utilmente giovarsi della prestazione del lavoratore per circa un anno.
Né può trovare accoglimento la tesi che la scelta di intimare il recesso sarebbe il frutto del giudizio espresso dalla ASL in data 27/1/15 che, secondo la tesi difensiva, avrebbe di fatto pregiudicato ogni possibile collocazione lavorativa di S.O.. 
A tale riguardo, non deve dimenticarsi che quest'ultimo veniva giudicato idoneo alla mansione di ASA, il che lascia chiaramente intendere che tale mansione fosse stata opportunamente valutata nell'ambito del giudizio medico e ritenuta dunque confacente alla condizione del lavoratore.
A ben vedere le ulteriori limitazioni nulla aggiungono o tolgono rispetto al precedente giudizio espresso dalla stessa ASL in data 28/10/13, se è vero che in entrambi i casi venivano esclusi i compiti che comportassero sovraccarico del polso destro, con la sola differenza che nel secondo giudizio veniva esplicitato che tale sovraccarico fosse riferibile a tutte le attività di accudimento dell'igiene personale degli ospiti e a quelle attività di tipo domestico che del pari imponessero uno sforzo eccessivo, il che non è altro che il rovescio della medaglia di quanto espresso nel giudizio del ottobre 2013 ove, in positivo, veniva fornita una elencazione delle attività che il ricorrente poteva utilmente svolgere.
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Va poi detto che, in maniera del tutto pertinente, parte ricorrente ha invocato nel presente giudizio i principi sanciti dalla Corte di Giustizia Europea nella causa C - 312/11 promossa dalla Commissione Europea proprio contro la Repubblica italiana e relativa all'inadempimento all'articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000.
Deve innanzitutto evidenziarsi che in tale sentenza si è innanzitutto definito il concetto di disabile di cui all'art. 5 della citata direttiva da intendersi, anche alla luce della convenzione dell'Onu, nel senso che si riferisce ad una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori (punto 56).
È tuttavia vero che in tale provvedimento si riconosce come l'articolo 42 del decreto legislativo n. 81 del 2008 fornisca applicazione alla direttiva prevedendo un obbligo in capo al datore di lavoro di adeguamento delle mansioni alla disabilità dell'interessato.
Fermo restando che la direttiva in commento non ha certamente natura self executing, nondimeno essa fornisce un criterio non solo per interpretare correttamente la nozione di disabilità, ma anche per individuare gli obblighi che possono essere configurati in capo al datore di lavoro e, in particolar modo, per quanto concerne le misure da adottare per garantire e preservare lo svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti disabili e il necessario contemperamento delle necessità organizzative aziendali; tale profilo (che può senza dubbio essere ricondotto, dell'ordinamento interno, al principio di cui all'articolo 41 Costituzione) viene individuato, con una espressione senza dubbio di immediata comprensione, nel limite dell'onere sproporzionato.
In altri termini, può senza dubbio dirsi che il datore di lavoro ha uno stringente obbligo di valutare ed eventualmente individuare, nell'ambito della propria organizzazione lavorativa, mansioni che il lavoratore disabile (nell'accezione, giova ancora una volta ribadirlo, sopra evidenziata) possa utilmente disimpegnare, fermo restando che tale obbligo non può arrivare a comportare lo stravolgimento del contesto organizzativo.
In concreto, è evidente, pertanto, che il contesto aziendale, il numero di dipendenti e l'articolazione della prestazione e le concrete modalità di svolgimento della stessa rappresentino elementi da ponderare adeguatamente nel valutare se il datore di lavoro abbia o meno adempiuto ai propri obblighi.
Tanto maggiore e articolato sarà il contesto organizzativo tanto più stringente, deve ritenere, saranno gli obblighi che possono pretendersi dal datore di lavoro stesso.
Per quanto sopra ampiamento argomentato, tale è proprio la situazione in cui versava FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS allorquando doveva più correttamente valutare la situazione del ricorrente anche (e soprattutto) alla luce dell'organizzazione lavorativa che la stessa convenuta si era data per consentire al lavoratore di essere utilmente impegnato, pur dopo l'invalidità contratta, nell'ambito del contesto lavorativo deN’unità S. Pietro.
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Per quanto detto il licenziamento del ricorrente si palesa come illegittimo proprio perché lo stesso presupposto di fatto invocato da FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS (ovvero che le mansioni residue del lavoratore avessero carattere accessorio e residuale tale da non giustificare più la permanenza del rapporto) si fondano su presupposti di fatto che la stessa parte convenuta aveva dato ampiamente conto di non ritenere rilevanti allorquando il ricorrente era destinato presso la sede di San Pietro.
Il licenziamento del ricorrente va dichiarato illegittimo dovendosi ravvisare una manifesta insussistenza del fatto posto a base del recesso per le ragioni sopra ampiamente argomentate. 
Non è in contestazione nel presente giudizio che alla convenuta si applichi l'articolo 18 Legge 300/70.
Pertanto FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS deve essere condannata alla immediata reintegra di S.O. nel posto di lavoro, con lo stesso inquadramento e le medesime mansioni o mansioni equivalenti.
Quanto al risarcimento dei danni, esso a mente dell’art. 18 S.L. ammonta alle retribuzioni (sulla base della retribuzione globale di fatto pari ad € 1749,70, ovvero la retribuzione tabellare di € 1499,75 calcolata su 14 mensilità), dal giorno del licenziamento alla effettiva reintegra, oltre interessi e rivalutazione dal licenziamento al saldo effettivo, nonché a versare i contributi di legge per l’intero periodo di avvenuta interruzione del rapporto di lavoro.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo;

P.Q.M.


in accoglimento del ricorso, accerta e dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato da FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS a S.O. con lettera del 25.3.2015 e ordina a FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS l’immediata reintegra di S.O. nel posto di lavoro con il medesimo inquadramento, le stesse mansioni o in mansioni equivalenti;
condanna FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS a risarcire a S.O. il danno determinato nell’indennità mensile di € 1.749,70 da corrispondere dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegra, oltre interessi e rivalutazione dal licenziamento al saldo effettivo, nonché a versare i contributi di legge per l’intero periodo di avvenuta interruzione del rapporto di lavoro;
condanna FONDAZIONE ISTITUTO SACRA FAMIGLIA ONLUS a rimborsare a S.O. le spese di lite che si liquidano in complessivi € 4.500,00 oltre accessori.
Si comunichi alle parti.
Milano, 7.10.2015
Il Giudice Tullio Perillo