• Datore di Lavoro
  • Infortunio sul Lavoro
  • Concorso di Colpa del Lavoratore


Infortunio sul lavoro di una aiuto cuoca che, intenta a pulire la cucina, era salita su un bancone d'acciaio dal quale era poi scivolata.

Ricorre in Cassazione la lavoratrice deducendo l'insufficiente, omessa e contradditoria motivazione della sentenza in ordine al mancato riconoscimento del danno morale.
Si lamenta infatti che la Corte d'Appello, pur  confermando la sentenza di primo grado e pur riconoscendole il diritto al risarcimento del danno morale derivante da infortunio, di fatto  non lo avrebbero liquidato.

In alcuni casi è invocabile il concorso di colpa laddove il datore di lavoro abbia violato i suoi obblighi di vigilanza ma il comportamento del lavoratore sia stato di particolare imprudenza.

Il giudice del merito aveva esplicitamente rilevato nel comportamento, tenuto nell’occasione dalla lavoratrice una serie di imprudenze, quali l’essere salita, da sola, usando scarpe coi tacchi, su un bancone di metallo usando una semplice sedia e ponendo sul piano dello stesso alcuni fogli di giornale, circostanze che avevano favorito il fatto di scivolare sul piano del bancone nella fase di discesa.
A tali imprudenze si aggiunge quella di non avere dato immediato, coerente seguito al rimprovero della datrice di lavoro in ordine al pericolo in cui la dipendente si era posta.


Pertanto la Corte ha rilevato che da tali accertamenti, il giudice del merito avrebbe omesso di trarre la naturale, logica conseguenza relativamente all’affermazione di un concorso colposo della lavoratrice nella causazione dell’evento.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 
Fatto

Con sentenza depositata l’ 8 aprile 2005, la Corte d’appello di Trieste ha confermato la sentenza in data 23 ottobre 2002, appellata da ambedue le parti, con la quale il Tribunale di Tolmezzo, in parziale accoglimento delle domande svolte da … omissis … nei confronti della propria datrice di lavoro … omissis … aveva condannato quest’ultima a pagare alla prima un determinato importo a titolo di danno biologico derivante dall’infortunio sul lavoro occorso alla … omissis … in data 12 ottobre 1995 e ritenuto imputabile alla responsabilità contrattuale della datrice di lavoro.
La lavoratrice, aiuto cuoca presso il ristorante stagionale gestito dalla società, incaricata nell’occasione delle pulizie di fine stagione della cucina dell’albergo, era salita, con l’intento di pulire la cappa del forno, su di un bancone d’acciaio sottostante, sul quale era poi scivolata, cadendo dall’altezza di un metro e procurandosi la frattura composta della base del tronchide omerale destro e una ferita lacero-contusa al primo dito della mano destra.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione con un unico motivo, illustrato poi con una memoria ex art. 378 c.p.c.
Resiste la società con proprio rituale controricorso, proponendo altresì contestualmente ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Con controricorso, la ricorrente principale contesta infine la fondatezza del ricorso incidentale.

Diritto

I due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c, avendo ad oggetto la medesima sentenza.

I - Col ricorso principale … omissis … deduce l’insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione della sentenza in ordine al mancato riconoscimento del danno morale nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2059 ce. e 2 Cost.
In proposito, la Corte territoriale avrebbe respinto la richiesta di liquidazione del danno morale con motivazione diversa da quella del giudice di prime cure.
In particolare, pur affermando la risarcibilità di tale danno anche al di fuori dei limiti di cui all’art. 185 c.p., aveva inopinatamente valutato che nel caso di specie la liquidazione del danno morale soggettivo poteva ritenersi compresa in quella del danno biologico operata in primo grado.
Ma una tale affermazione sarebbe in contraddizione con quanto in precedenza affermato dalla medesima Corte, secondo la quale, nell’esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno biologico, il giudice di primo grado avrebbe correttamente applicato le c.d. tabelle di liquidazione elaborate dal Tribunale di Milano, in un valore intermedio rispetto a quello apicale per tener conto di tutte le circostanze del caso.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che danno biologico e danno morale costituiscono due voci di danno distinte, ognuna liquidabile sulla base di parametri tra di loro diversi e che, secondo il costante insegnamento di questa Corte suprema, il danno morale non costituisce una componente del danno biologico, bensì una voce autonoma del danno non patrimoniale.
Anche le considerazioni dei giudici di merito in ordine alla affermata imprudenza della danneggiata nella dinamica dell’episodio denunciato sarebbero in palese contraddizione con le precedenti conclusioni relativamente ad una esclusiva responsabilità della datrice di lavoro in ordine all’infortunio occorso.
Con ciò, la Corte territoriale avrebbe altresì violato l’art. 2059 ce. e l’art. 2 Cost., disattendendo tali norme.
In definitiva, i giudici di appello, pur riconoscendo il diritto della ricorrente al risarcimento del danno morale derivante dall’infortunio indicato, di fatto non lo avrebbero liquidato.
La ricorrente principale conclude pertanto chiedendo la cassazione della sentenza impugnata.

2 - Col primo motivo di ricorso incidentale, la … omissis … deduce il vizio di motivazione della sentenza in ordine alla ritenuta responsabilità della società relativamente all’infortunio occorso alla … omissis … in data 12 ottobre 1995 nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 5 del D. Lgs. n. 626 del 1994.
Secondo la ricorrente incidentale, la sentenza impugnata presenterebbe una motivazione carente relativamente alla esistenza del nesso di causalità tra la condotta pretesamene colposa della società medesima e l’evento lesivo.

La stessa Corte territoriale avrebbe infatti accertato la violazione da parte della lavoratrice di specifiche norme di sicurezza, in particolare quelle indicate all’’art. 5 commi 1° e 2° del D. Lgs. n. 626 del 1994, per cui sarebbe incomprensibile come da tali premesse la Corte sia poi giunta a dichiarare l’esistenza di un nesso causale tra la condotta della datrice di lavoro e l’evento.
Viceversa, dalle gravi mancanze della ricorrente alle norme di sicurezza, i giudici avrebbero dovuto trarre motivo per ritenere che tale condotta aveva rappresentato la causa esclusiva dell’evento, con conseguente esonero da responsabilità del datore di lavoro.
La Corte aveva inoltre ritenuto che la società avesse violato l’obbligo di vigilanza, erroneamente interpretando tale obbligo in maniera difforme dal suo significato legale, come obbligo di vigilanza continua, in realtà da ritenere come tale inesigibile.
Il motivo conclude con la formulazione di un quesito, non richiesto dalla disciplina processuale dell’epoca.

3 - Col secondo motivo del ricorso incidentale, la società deduce, in via logicamente subordinata, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. nonché la contraddittorietà di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’ammontare del danno liquidato, che i giudici di mento avrebbero sopravvalutato, non tenendo conto del pur accertato concorso colposo della condotta della lavoratrice nella causazione dell’evento, in tal modo violando altresì le disposizioni di cui all’art. 1227 c.c.
Anche questo motivo conclude con due quesiti non richiesti dalla disciplina processuale del tempo.
La ricorrente incidentale chiede pertanto la cassazione della sentenza impugnata per i motivi esposti, con le conseguenze di legge.

4 - Appare preliminare l’esame del primo motivo del ricorso incidentale, in quanto l’eventuale suo accoglimento assorbirebbe o renderebbe inutile l’esame del secondo e del ricorso principale.
Il motivo è infondato.
Esso investe in realtà il merito della valutazione operata dai giudici di primo e secondo grado, alla stregua delle risultanze istruttorie, in ordine all’accertamento della responsabilità (da ritenere concorrente con quella della lavoratrice, come si vedrà) della condotta della società relativamente alla causazione dell’evento dannoso occorso alla lavoratrice.
In proposito, va ribadito che il controllo di legittimità sulle valutazioni di merito dei provvedimenti giudiziari attiene unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) al profilo della coerenza logico - formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, Cass., sez. lav. 6 marzo 2006 n. 4770 e Cass. sez. 1, 26 gennaio 2007 n. 1754).
Né appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con alcuni accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.
Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una più o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione.
Occorre quindi che i “punti” della controversia dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., di recente, Cass. sez. 3, 21 novembre 2006 n. 24744 e sez. I, 22 gennaio 2007 n. 1270).

La Corte territoriale ha fatto (parziale) corretta applicazione di tali principi nell’escludere che il comportamento imprudente della lavoratrice infortunata potesse essere valutato come “motivo unico del danno subito”.
Accanto al rilievo delle imprudenze commesse dalla … omissis …con l’essere salita, da sola, usando scarpe coi tacchi, su un bancone di metallo usando una semplice sedia e ponendo sul piano dello stesso alcuni fogli di giornale, circostanze che avevano favorito il fatto di scivolare sul piano del bancone nella fase di discesa), la Corte ha infatti evidenziato anche la violazione degli obblighi di sicurezza incombenti sulla datrice di lavoro risultati dalla istruttoria (in relazione al carattere straordinario dei compiti in quella occasione affidati alla lavoratrice, che avrebbe richiesto più precise istruzioni da parte della società, alla non univocità di significato della disposizione di attendere l’arrivo della capo cuoca, alla mancata prova della presenza di una scala adeguata all’operazione, alla natura parziale dell’intervento della dott.ssa T. in direzione della rimozione della situazione di pericolosità), per concludere ragionevolmente che il comportamento della prima non poteva ritenersi l’esclusiva causa dell’evento, come sostenuto dal relativo motivo di appello della società.
Col motivo di ricorso in esame, la società, riprendendo le tesi difensive svolte nel giudizio di merito, si limita sostanzialmente a sovrapporre alla valutazione dei giudici una propria diversa valutazione dei fatti alla stregua delle medesime risultanze istruttorie, senza individuare (in ordine al giudizio di non esclusiva responsabilità della lavoratrice) un reale vizio logico argomentativo della sentenza e denunciando una violazione di legge nel modo di intendere l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro, peraltro meramente apparente. A quest’ultimo proposito, infatti, nell’affermare che la vigilanza del datore di lavoro deve essere assidua, il giudice ha in realtà censurato unicamente il fatto che la dott.ssa T. non si fosse accertata nell’immediato della effettiva rimozione della situazione di pericolo, aiutando la lavoratrice a scendere dal piano scivoloso e così completando il suo intervento di sicurezza.

Il primo motivo del ricorso incidentale va pertanto respinto.

Per ragioni di connessione logica, appare opportuno esaminare, in secondo luogo, il secondo motivo del ricorso incidentale, col quale la società lamenta la erronea applicazione dell’art. 1227, 1° comma c.c. e il vizio di motivazione per non aver ritenuto il concorso di colpa della … omissis … nella causazione dell’evento.

Il motivo è fondato.

Si è infatti prima riferito come la Corte territoriale abbia esplicitamente rilevato nel comportamento tenuto nell’occasione dalla lavoratrice una serie di imprudenze, alle quali va aggiunta quella - indicata ma non espressamente qualificata in sentenza - di non avere dato immediato, coerente seguito al rimprovero della dott.ssa T. in ordine al pericolo in cui ella si era posta.
Da tale accertamento, la Corte ha peraltro omesso di trarre la naturale, logica conseguenza relativamente all’affermazione di un concorso colposo della … omissis … nella causazione dell’evento.
Trattasi di un vizio logico evidente, incidente sullo snodo relativo all’accertamento completo delle responsabilità e alla conseguente determinazione del danno da porre a carico della società, comunque concorrente, per l’accertata violazione degli obblighi di sicurezza sulla stessa incombenti, nella produzione del sinistro.

Il secondo motivo del ricorso incidentale va pertanto accolto e la sentenza impugnata va correlativamente cassata.
Il ricorso principale è viceversa infondato.

Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, la Corte territoriale ha confermato la liquidazione del danno operata dal giudice di merito, ma correggendone sostanzialmente la motivazione, col ritenere che la concreta liquidazione del danno operata dai giudici di merito fosse di livello tale, anche tenendo conto della modestia del danno ( pur nella scelta dell’adozione di valori intermedi nel calcolo del danno biologico), da inglobare anche il danno morale.
Pur prescindendo dalla diversa ricostruzione della fattispecie del danno non patrimoniale, recentemente operata dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 11 novembre 2008 n. 26972 (e alla stregua della quale la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento del danno biologico e del danno morale c.d. soggettivo costituisce una non consentita duplicazione risarcitoria), la sentenza impugnata si sottrae pertanto alle censure di violazione degli artt. 2059 cod. civ. e 2 Cost. nonché di vizio di motivazione.

Concludendo, la sentenza impugnata va cassata in conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo di ricorso incidentale, mentre va respinto il primo motivo di tale ricorso e il ricorso principale. Gli atti vanno pertanto rimessi alla Corte d’appello di Venezia, che provvederà anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il primo motivo e il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Venezia.
Depositata in Cancelleria
il 23.04.2009