Cassazione Civile, Sez. 6, 02 febbraio 2017, n. 2849 - Infortunio sul lavoro e carenza di prova dell’occasione di lavoro


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: MANCINO ROSSANA Data pubblicazione: 02/02/2017

 

FattoDiritto

 


1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell'art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio e non infirmata dalla memoria depositata dalla parte ricorrente.
2. Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda proposta dall’attuale ricorrente - nei confronti dell'lNAIL, per il riconoscimento del diritto a rendita, per i postumi derivati da un infortunio sul lavoro, per il quale l’Istituto gli aveva riconosciuto l’inabilità temporanea, e per la ricaduta circa otto mesi dopo l’infortunio occorsogli - per avere omesso di fornire qualsiasi prova in ordine alle modalità dell’infortunio.
3. A seguito di gravame interposto dall'attuale ricorrente, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 15/6/2012, confermava la decisione di primo grado, richiamando i principi affermati da Cass. 1642/2012; ribadiva la carenza di prova dell’occasione di lavoro, in riferimento all’infortunio occorso nel febbraio 2003, risultando agli atti soltanto la dichiarazione del lavoratore sulle modalità dell’infortunio, senza alcun riscontro testimoniale o documentale.
4. Per la cassazione di tale decisione ricorre M.G., affidando l'impugnazione ad un motivo con il quale, denunciando vizio motivazionale, si duole che la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato il provvedimento dell’INAIL, di riconoscimento dell’inabilità giornaliera temporanea per l’infortunio occorso nel febbraio 2003, escludendone la valenza di riconoscimento dell’evento come infortunio sul lavoro; deduce l’omessa motivazione sull’idoneità dell’attestazione INAIL del 31 marzo 2003, quanto all’inabilità conseguente all’infortunio, nella misura del tre per cento, e come tale al di sotto della soglia indennizzabile, a qualificare l’evento del febbraio 2003 come infortunio sul lavoro.
5. Resiste, con controricorso, l'INAIL.
6. Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.
7. Come più volte affermato da questa Suprema Corte, in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, il provvedimento affermativo del diritto all'indennità giornaliera per inabilità temporanea vale esclusivamente ad attribuire il detto beneficio, ma non esprime la volontà dell’Istituto assicuratore di vincolarsi al riconoscimento di tutte le possibili prestazioni ricollegabili all’avveramento dell'infortunio, in relazione alle quali la diversa fattispecie di volta in volta considerata dalla legge esige la ricorrenza di specifici requisiti e l’espletamento di un’apposita procedura amministrativa, strumentale all’accertamento dell’esistenza dell'obbligazione previdenziale e all’adempimento della stessa.
8. Trattandosi, peraltro, di materia della quale l’Istituto previdenziale non può disporre a mezzo di atti negoziali, il riconoscimento dell’inabilità temporanea (all’esito del quale l’INAIL ha liquidato la relativa indennità giornaliera attestando un’inabilità temporanea del tre per cento) non solo non equivale a confessione in ordine ad un infortunio indennizzabile ma non produce neppure i limitati effetti di cui all'art. 1988 c.c. e neanche può assumere rilievo per l’ammissibilità dell’indennizzo per tutte le prestazioni esigibili dall’Istituto.
9. E, del resto, la stessa revoca (non per fatti sopravvenuti) o la mancata continuazione dell'erogazione di una prestazione, che sia stata in un primo tempo riconosciuta dall'ente previdenziale, si risolvono in una contestazione dell'esistenza del diritto e questo comporta che l'attore debba provare il fatto costitutivo dell'obbligazione, che non può identificarsi nel riconoscimento a suo tempo effettuato (cfr. Cass. 1642/2012 e gli ulteriori precedenti ivi richiamati).
10. La Corte territoriale, facendo corretta applicazione al caso di specie dei principi appena esposti, ha escluso che l’inabilità giornaliera temporanea riconosciuta dall’Istituto potesse incidere ai fini della valutazione del nesso causale, della qualificazione del fatto e della indennizzabilità delle inabilità denunciate, affermando, con motivazione immune da censure e da vizi logici, che il lavoratore non aveva offerto alcuna prova dell’infortunio occorso, in data 7 febbraio 2003, in occasione della prestazione lavorativa, per essere rimasta priva di riscontri, testimoniali o documentali, la dichiarazione resa dal lavoratore medesimo sulle modalità dell’evento.
11. Tale proposizione non è stata, peraltro, fatta segno di ulteriore censura posto che il ricorrente ha evocato solo genericamente attività istruttorie formulate, l’espletamento delle quali sarebbe stato precluso dalla statuizione della Corte di mento.
12. In conclusione il ricorso va rigettato.
13. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 
14. Pur essendo il ricorso notificato dopo l’entrata in vigore della novella al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, che apporta innovazioni al regime delle spese di giustizia per il caso di rigetto dell’impugnazione, il ricorrente, risultando ammesso al gratuito patrocinio, non deve essere onerato delle conseguenze ivi previste, vale a dire del pagamento aggiuntivo collegato al rigetto integrale o alla definizione in rito dell’impugnazione (cfr., ex multis, Cass. 2023/2015; 18523/2014).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del quindici per cento. Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dichiara insussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 -bis
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016