Cassazione Penale, Sez. 4, 10 febbraio 2017, n. 6376 - Responsabilità del comandante della nave per infortunio mortale di un lavoratore marittimo


 

 

"Secondo l'art. 2 lett.e) decreto 298/99, lavoratore marittimo è «qualsiasi persona che svolga un’attività professionale a bordo di una nave, nonché i tirocinanti e gli apprendisti, ad esclusione del personale a terra che effettua lavori a bordo di una nave all’ormeggio e dei piloti portuali». Il comandante della nave è tenuto, a norma dell'art. 1 del medesimo decreto legislativo, ad osservare nei confronti dei lavoratori marittimi la «vigente legislazione in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro»."

"Il generale potere-dovere del comandante di nave di sovraintendere alla salute dei passeggeri e l'ampio spettro delle attività che confluiscono nella definizione di lavoratore marittimo, rinvenibile nel testo normativo citato, costituiscono la chiave di lettura del caso concreto. Non può, infatti, ignorarsi che la normativa in vigore indichi la specificità del lavoro marittimo e la specialità delle regole di gestione dei rischi connessi all'attività di pesca, non solo nel corso della navigazione ma sin dal momento dell'imbarco, rispetto alla normativa che disciplina il rapporto di lavoro subordinato. L'indeterminatezza della figura datoriale desumibile in relazione alla nozione di lavoratore marittimo comporta che il comandante della nave, in quanto tale, assuma una posizione di garanzia nei confronti di coloro che prestano forza lavoro a bordo della nave, con obblighi di natura prevenzionistica, indipendentemente dall'accertamento della gestione professionale di un'attività di lavoro organizzata, in ragione della sua naturale posizione gerarchica rispetto a coloro che sono imbarcati."


 

Presidente: D'ISA CLAUDIO Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 20/01/2017

 

 

 

Fatto

 

1. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Palermo ricorre per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Appello palermitana, in riforma della sentenza del Tribunale di Trapani, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di C.M.E. in ordine al reato di omicidio colposo ascrittogli per difetto di giurisdizione dello Stato.
2. All'imputato era contestato di avere cagionato, in qualità di comandante della motobarca da pesca denominata Siroccos battente bandiera spagnola, la morte di V.A.P.; in particolare, di aver ordinato o comunque consentito al V.A.P. di immergersi da solo per effettuare la pesca del corallo pur essendo privo del brevetto di immersione, non adottando la pratica del «sistema di coppia» in un sito a lui non familiare, in una zona di mare aperto battuta da forti e variabili correnti, in un orario (18:00 circa) in cui la luminosità sul fondo cominciava a scarseggiare e dove vi è una profondità fino a 70 metri.
2.1. Nonostante la vittima risultasse dispersa in mare nei pressi del banco Silvia (Canale di Sicilia - Acque internazionali), il tribunale aveva attribuito rilievo al luogo in cui tra l'imputato e la vittima era stato instaurato un vero e proprio rapporto di lavoro di fatto, allorché il peschereccio era ormeggiato a Trapani ed il V.A.P. era stato inserito in una, pur rudimentale, struttura organizzativa in cui aveva il ruolo di cuciniere e di assistente dei subacquei che pescavano il corallo; quale contropartita gli era consentito di immergersi quando vi era tempo per farlo. Considerato che il datore di lavoro non aveva preteso che il lavoratore si sottoponesse alle visite mediche di idoneità all'immersione profonda, la giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana era stata affermata ai sensi dell'art.6 cod.pen. sul presupposto che tale condotta omissiva, antecedente del sinistro, fosse stata posta in essere in Trapani.
2.2. La Corte di Appello ha, al contrario, ritenuto che l'intera azione si fosse svolta in acque internazionali o comunque sulla nave dell'imputato, escludendo che vi fosse posizione di gerarchia tra l'imputato e la vittima o che fosse stato concluso un contratto di lavoro; ha, dunque, accolto l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa.
3. Il Procuratore ricorrente ritiene la pronuncia affetta da vizio di motivazione in quanto, pur avendo i giudici di appello riconosciuto che la vittima cucinasse a bordo e desse assistenza ai corallari quando si immergevano ottenendo «in cambio» di tenere per sé il corallo che lui stesso pescava, tale assunto sarebbe in contraddizione con l'altra affermazione, secondo la quale il V.A.P. aveva una posizione autonoma e svincolata da qualunque rapporto con l'imputato. In particolare, gli stessi giudici di appello avrebbero riconosciuto, come il giudice di primo grado, che le immersioni del V.A.P. fossero funzionali alla percezione dell'atipico compenso previsto dal rudimentale schema contrattuale, secondo il quale l'imputato aveva inserito la vittima nella propria organizzazione d'impresa a partire dall'imbarco. Con un secondo motivo deduce violazione dell'art.6, secondo comma, cod. pen. ritenendo che una parte della condotta, segnatamente l'inosservanza di fondamentali norme antinfortunistiche, si sia svolta all'interno del territorio nazionale.
4. Con memoria depositata il 17 ottobre 2016 Omissis, in qualità di parte civile, ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. In via preliminare, si osserva che la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che la previsione della inoppugnabilità delle sentenze sulla competenza contenuta nell'art.568, comma 2, cod. proc. pen. costituisce espressione del principio generale dell’ordinamento processuale della sottrazione al regime delle impugnazioni di tutti i provvedimenti che, a prescindere dalla forma con la quale sono adottati, possono dare luogo a conflitto a norma dell'art.28 cod. proc. pen. (Sez. l, n.23525 del 04/04/2013 Boubacar, Rv. 256284; Sez. 1, n. 48166 del 26/11/2008, P., Rv. 242438 in motivazione; Sez. 1, n. 19746 del 07/04/2005, Ancler, Rv. 231797). Le pronunce sulla competenza o sulla giurisdizione, ancorché adottate in forma di ordinanza, sono, pertanto sottratte agli ordinari mezzi di impugnazione, a meno che, a seguito della dichiarazione di incompetenza o di difetto di giurisdizione, non sia neppure ipotizzabile il conflitto previsto dall'art. 28 cod. proc. pen., il che si verifica nei casi di abnormità del provvedimento negativo, entro il cui ambito vanno ricondotti i provvedimenti con i quali l'incompetenza sia dichiarata senza designazione, neppure implicita, del giudice competente ovvero di designazione di un'autorità straniera ovvero inesistente (Sez.l, n.23525 del 04/04/2013, Boubacar, Rv. 256284; Sez.6, n.2442 del 28/06/1999, Pellegrini, Rv. 214078; con particolare riguardo alle pronunce sulla giurisdizione, Sez. U, n.20 dep. 10/12/1957, Schulties, Rv. 97845; Sez. 2, n. 20223 del 15/04/2009, Sabeur Ben, Rv. 244889). 
2. Nel merito, il ricorso è fondato.
2.1. La Corte di Appello ha ritenuto che le condotte colpose ascrivibili all'imputato fossero collegate esclusivamente allo status di comandante della nave e che fossero state interamente poste in essere in acque internazionali o sul natante battente bandiera spagnola.
2.2. Nella pronuncia si rinviene, poi, specifica confutazione degli argomenti spesi dal giudice di primo grado per ancorare al territorio italiano una frazione della condotta; in particolare, i giudici di appello hanno escluso che l'istruttoria dibattimentale avesse consegnato la prova di una posizione di gerarchia tra l'imputato e la vittima o che fosse stato concluso un contratto di lavoro, in altre parole la prova che l'imputato avesse l'obbligo, in quanto datore di lavoro, di accertare mediante certificazione medica l'idoneità del V.A.P. ad effettuare le immersioni.
2.3. La prima censura proposta dalla Procura Generale ricorrente involge la motivazione ed evidenzia una contraddizione in cui sarebbe incorso il giudice di appello, interpretando come autonoma l'attività di cuciniere ed assistente dei corallari svolta dalla vittima a bordo della motonave, pur avendo confermato che al V.A.P. fosse consentito pescare il corallo quale contropartita di tale assistenza. In altre parole, nella sentenza impugnata si è sostenuta la mancanza di prove che la vittima ricevesse una paga mensile e che lavorasse a bordo della barca ma, al contempo, si è ritenuto accertato che il V.A.P. svolgesse attività di cuciniere e di assistente ai corallari ricevendo come contropartita la possibilità di immergersi e pescare per sé il corallo.
2.4. Con riguardo al secondo motivo di ricorso giova evidenziare che il capo d'imputazione, quale sistema di riferimento della giurisdizione, individua la responsabilità dell'imputato sia nella sua qualità di comandante della motobarca da pesca, sia nella qualità di datore di lavoro di fatto della vittima; la contestazione della condotta colposa ascrivibile al C.M.E. è stata così integrata in udienza dal pubblico ministero: «ometteva di accertare che il V.A.P. fosse nelle condizioni di salute idonee per effettuare le immersioni, non richiedendo apposita certificazione medica (il V.A.P. era affetto da epatopatia cronica HCV correlata ad edema cronico da stasi dell'arto inferiore destro)». Nella sentenza impugnata, la giurisdizione italiana è stata esclusa sia perché l'evento si è verificato in acque internazionali, sia perché molte delle condotte colpose contestate erano collegate allo status di comandante della nave e si sono svolte su nave battente bandiera spagnola, sia perché non sarebbe configurabile alcun rapporto di lavoro tra l'imputato e la vittima. 
2.5. Con riguardo ad entrambi i motivi di ricorso si pone, dunque, la questione di verificare la legittimità del provvedimento sotto il profilo del rispetto del principio di territorialità sul quale si basa la giurisdizione dello Stato italiano.
3. Va, in primo luogo, ricordato che l'art.6 cod. pen. è stato interpretato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione nel senso che, per affermare la giurisdizione italiana, è «sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero» (Sez.6, n.13085 del 03/10/2013, dep.2014, Amato, Rv. 259486; Sez.4, n.44837 del 11/10/2012, Krasniqi, Rv. 254968; Sez.6, n.16115 del 24/04/2012, G., Rv.252507).
4. Con riguardo al fatto storico, la soluzione della presente questione non può prescindere dal sottolineare la peculiarità dei poteri-doveri propri del comandante della nave, dalla definizione normativa di «lavoratore marittimo» contenuta nell'art. 2 lett.e) d. lgs. 17 agosto 1999, n. 298, recante norme di «Attuazione della direttiva 93/103/CE relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca», e nell'art. 3 lett.n) d. lgs. 27 luglio 1999, n.271, nonché dalla distinzione tra servizi di bordo e servizi complementari di bordo ricavabile dall'art. 36 d. lgs. 18 luglio 2005, n. 171.
4.1. In generale, con riferimento ai doveri del comandante di nave in relazione alla salute dei passeggeri, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente sottolineato che si tratta di un soggetto che, in base all’ordinamento della navigazione marittima di cui al codice della navigazione (art.186 cod. nav., integrato per l'attività di pesca dall'art.7 d. lgs. n.271/1999 e dall'art. 2 lett.g) d.lgs. n. 298/1999), ha l’obbligo di sovraintendere a tutte le funzioni che attengono alla salvaguardia delle persone imbarcate. Rispetto a problematiche di salute riguardanti le persone imbarcate, il comandante può ben trovarsi ad interagire, in determinate contingenze, con le valutazioni e le iniziative di diverse figure professionali, assumendo una posizione di garanzia qualificata di natura concorrente (Sez. 4, n. 9897 del 05/12/2014, dep. 2015, Pennisi, Rv. 262435).
4.2. Secondo l'art.2 lett.e) decreto cit., poi, lavoratore marittimo è «qualsiasi persona che svolga un’attività professionale a bordo di una nave, nonché i tirocinanti e gli apprendisti, ad esclusione del personale a terra che effettua lavori a bordo di una nave all’ormeggio e dei piloti portuali». Il comandante della nave è tenuto, a norma dell'art. 1 del medesimo decreto legislativo, ad osservare nei confronti dei lavoratori marittimi la «vigente legislazione in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro».
4.3. Il generale potere-dovere del comandante di nave di sovraintendere alla salute dei passeggeri e l'ampio spettro delle attività che confluiscono nella definizione di lavoratore marittimo, rinvenibile nel testo normativo citato, costituiscono la chiave di lettura del caso concreto. Non può, infatti, ignorarsi che la normativa in vigore indichi la specificità del lavoro marittimo e la specialità delle regole di gestione dei rischi connessi all'attività di pesca, non solo nel corso della navigazione ma sin dal momento dell'imbarco, rispetto alla normativa che disciplina il rapporto di lavoro subordinato. L'indeterminatezza della figura datoriale desumibile in relazione alla nozione di lavoratore marittimo comporta che il comandante della nave, in quanto tale, assuma una posizione di garanzia nei confronti di coloro che prestano forza lavoro a bordo della nave, con obblighi di natura prevenzionistica, indipendentemente dall'accertamento della gestione professionale di un'attività di lavoro organizzata (Sez. l, n. 18015 del 13/04/2011, De Stefano; Sez. 1, n.16431 del 12/04/2005, Bincoletto, Rv. 231576), in ragione della sua naturale posizione gerarchica rispetto a coloro che sono imbarcati.
4.4. Negare la sussistenza degli obblighi funzionali alla prevenzione di infortuni sul lavoro sul presupposto che non sia emerso che la vittima ricevesse una paga mensile o che lavorasse a bordo della barca, oltre a collidere con quanto affermato dagli stessi giudici di appello («la vittima cucinava a bordo e dava assistenza ai corallari quando si immergevano e in cambio teneva per sé il corallo che prendeva»), risulta frutto di un'erronea applicazione della normativa concernente gli obblighi del comandante della nave nei confronti dei lavoratori marittimi. Si è, infatti, inteso il rapporto di lavoro di fatto in un'accezione civilistica; ma l'elaborazione giurisprudenziale della disciplina dettata dall'art.2126 cod. civ. è funzionale a definire i criteri distintivi della prestazione di fatto lecita da quella illecita, ancorché non trasfusa in un contratto scritto, al fine di affermare l'obbligazione retributiva e contributiva del datore di lavoro. Tale accezione si rivela inadeguata a definire l'ambito della posizione di garanzia del comandante della nave nei confronti dei lavoratori marittimi, necessariamente correlata ad un rapporto di lavoro in senso ampio, comprensivo di ogni mansione che venga svolta quantomeno sotto il controllo del comandante, in ragione della finalità di proteggere la vita e l'incolumità dei lavoratori in relazione ai particolari rischi che connotano tale settore di attività.
4.5. A ciò si aggiunga che l'art.36 d. lgs. 18 luglio 2005, n.171 (si tratta di una norma dettata in materia di nautica da diporto che riprende una categoria generale in precedenza disciplinata dall'art.216 cod. nav. sotto la rubrica «Personale di camera e famiglia»), stabilisce che i servizi complementari di bordo, di camera e di cucina possono essere svolti dalle persone imbarcate sulle navi da diporto in qualità di ospiti, cosi ammettendo che sulla nave talune mansioni (diverse dai servizi tecnici di bordo) possano essere svolte anche da chi non sia iscritto nelle matricole della gente di mare. Tale distinzione viene evidenziata in questa sede al fine di sottolineare ulteriormente la posizione gerarchica del comandante della motobarca da pesca sia in merito alla scelta delle persone da imbarcare sia in relazione alle attività che si svolgono sull'imbarcazione.
5. Applicando tali principi alla questione di giurisdizione all'esame del Collegio, se ne trae la conclusione che la Corte territoriale ha erroneamente limitato la propria cognizione all'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in senso civilistico tra l'imputato e la vittima, quale imprescindibile antecedente dell'azione successivamente svoltasi sulla nave straniera.
5.1. In ragione della specialità della disciplina che regola il lavoro marittimo sulle imbarcazioni che praticano la pesca (d. lgs. 17 agosto 1999, n. 298) e dell'ampiezza dei compiti di controllo del comandante di nave ai sensi dell'art.186 cod. nav., la parte dell'azione che, a norma dell'art.6 cod. pen., consentiva di affermare la giurisdizione italiana, consiste nell'omissione di un obbligo antinfortunistico gravante sul comandante della nave indipendentemente dall'obbligo di corrispondere al lavoratore una retribuzione, dunque indipendentemente dall'accertamento di un lavoro subordinato «di fatto».
5.2. Nel caso concreto, la scelta di imbarcare un passeggero che avrebbe svolto funzioni di cuciniere e si sarebbe altresì dedicato alla pesca del corallo, sufficiente a far sorgere l'obbligo antinfortunistico la cui violazione è qui contestata, è stata correttamente posta dal giudice di primo grado, ai soli fini dell'accertamento della giurisdizione, quale necessario antecedente logico e fattuale di quanto si sarebbe svolto a bordo. Risulta, pertanto, che la condotta di imbarco del V.A.P. sulla motonave diretta alla pesca del corallo senza alcun previo accertamento di natura medica, pacificamente posta in essere dall'imputato nel territorio italiano, possa qualificarsi come parte iniziale dell'azione delittuosa contestata nel capo d'imputazione.
6. L'erroneo diniego della giurisdizione italiana comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; in considerazione del raddoppio dei termini di prescrizione del reato previsto dall'art.157 cod. pen. per l'omicidio
aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica, gli atti devono essere trasmessi alla Corte di Appello di Palermo affinchè proceda al giudizio. Al giudice di appello sarà, altresì, demandata la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di cassazione.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Dispone trasmettersi gli atti alla Corte di Appello di Palermo per la celebrazione del giudizio di appello, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio tra le parti.
Così deciso il 20 gennaio 2017