Cassazione Civile, Sez. 6, 15 marzo 2017, n. 6813 - Infortunio sul lavoro e postumi. Rendita


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: MAROTTA CATERINA Data pubblicazione: 15/03/2017

 

 

 

Rilevato che:
- la Corte di appello di Messina confermava la decisione del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che aveva riconosciuto il diritto di A.R. alla rendita in misura del 15% con decorrenza dalla domanda. In sede di ricorso introduttivo del giudizio, il A.R., premesso di aver subito un infortunio sul lavoro per il quale l’I.N.A.I.L. aveva riconosciuto la sussistenza di postumi invalidanti nella misura del 14% e quindi evidenziato che l’Ente aveva definito in sede di revisione l’infortunio (in data 5/5/2003), senza riconoscere alcun aggravamento (con provvedimento del 26/9/2003 era stata, infatti, disposta la conferma della rendita nella percentuale del 14%), aveva chiesto la maggiorazione della rendita nella misura del 24% o in quella ritenuta di giustizia. Sulla base della disposta consulenza, il Tribunale aveva ritenuto il ricorrente inabile nella misura del 15% e condannato l’Istituto alla corresponsione della rendita rapportata a tale grado di inabilità. Avverso tale sentenza l’I.N.A.I.L. aveva proposto appello dolendosi del fatto che il giudice di primo grado non avesse tenuto conto, anche ai fini della regolamentazione delle spese, del fatto che l’I.N.A.I.L., contrariamente all’assunto di cui al ricorso introduttivo del giudizio, aveva già riconosciuto al lavoratore il danno del 15%. La Corte territoriale aveva respinto l’appello ritenendo che non risultasse alcuna prova dell’avvenuto riconoscimento in sede di revisione dei postumi in misura del 15% e della corresponsione del relativo indennizzo;
- propone ricorso per cassazione l’I.N.A.I.L. affidando l’impugnazione a tre motivi;
- A.R. resiste con controricorso;
- la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
- l’I.N.A.I.L. ha depositato memoria;
- il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
 

 

Considerato che:
- con i motivi di ricorso l’I.N.A.I.L. lamenta omesso esame di un punto decisivo del giudizio, violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 91 cod. proc. civ.. Sostiene che, a fronte della prova, fornita dall'istituto del riconoscimento dell’aggravamento nella misura del 15%, la domanda del A.R. avrebbe dovuto essere rigettata con ogni consequenziale provvedimento in ordine alle spese processuali;
- i motivi sono manifestamente infondati;
- nell’insieme, le censure consistono in un’argomentata rilettura dei fatti di causa e della documentazione prodotta, all’esito della quale si afferma che la valutazione di fondatezza del ricorso di primo grado e quella di infondatezza dell’appello dell’I.N.A.I.L. effettuate rispettivamente dal Tribunale e dalla Corte di appello non troverebbero riscontro negli atti, e che, in particolare, la Corte di appello non avrebbe considerato o rettamente considerato determinati documenti e risultanze di causa;
- è di tutta evidenza che, pur con una intitolazione del motivo conforme al testo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione disposta dall’art. 54, co. 1, lett. b) d.l. n. 83/2012, convertito nella 1. n. 134/2012, la parte, in realtà, critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale. In quanto tale, esso non è più censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nel testo attualmente vigente, interpretato dal noto arresto n. 8053/14 delle S.U. di questa Corte secondo il quale il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., configurabile solo nel caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione;
- l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria). Tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica - e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente - che possa denunciarsi ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti;
- nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicché non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente;
- in ogni caso dallo stesso ricorso dell’I.N.A.I.L. si rileva che il 'Verbale in sede collegiale EPAS’ in cui sarebbe stata riconosciuta la percentuale del 15% era del 15/12/2003, e dunque successivo al deposito del ricorso giudiziario di primo grado (13/11 /2003), così come successiva a tale deposito era stata la comunicazione al A.R. dei postumi come accertati in sede collegiale (21/1/2004). Anche il pagamento delle differenze tra il 14% ed il 15% era avvenuto in corso di causa, risultando documentato daH’l.N.A.I.L. (in ottemperanza ad una ordinanza della Corte di appello) a mezzo della produzione di copia di un assegno emesso a favore di A.R., negoziato in data 31/5/2011;
- la sequenza temporale dei suddetti accadimenti è tale da escludere che, al momento del ricorso di primo grado, le pretese del ricorrente avessero già trovato totale soddisfazione in sede amministrativa;
- da tanto deriva, altresì, che nessun rilievo poteva essere mosso alla decisione di primo grado in ordine alla regolamentazione delle spese (non potendo l’I.N.A.l.L. essere considerato parte vittoriosa a cui carico tali spese non dovevano esse poste) e così egualmente che nessun rilievo può essere mosso alla decisione della Corte territoriale che ha disatteso le censure dell’I.N.A.I.L. sul medesimo punto;
- peraltro, si evince dalla sentenza impugnata (e ciò, invero, pare confermare la tesi del controricorrente secondo il quale il verbale collegiale di cui sopra si è detto non era agli atti del fascicolo dell'I.N.A.I.L.), che l’Istituto in sede di appello aveva contestato le conclusioni cui era giunto il consulente di primo grado (cfr. pag. 2 della sentenza - svolgimento del processo); non si vede, infatti, quali contestazioni l’I.N.A.I.L. avrebbe avuto interesse a svolgere in ordine ad una consulenza il cui esito età stato conforme al giudizio del verbale della visita collegiale EPAS del 15/12/2003. E proprio sulla base proprio di tali contestazioni, il giudice di appello aveva disposto nuova consulenza tecnica;
- in conclusione, la proposta va condivisa e il ricorso va rigettato;
- la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
- va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater., d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso; condanna l’I.N.A.I.L. al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 1.900,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi all’avv. Omissis, anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2017