Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 marzo 2017, n. 7125 - Risarcimento per infortunio sul lavoro. Nessun comportamento abnorme del lavoratore


 

 

 

Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: MANNA ANTONIO Data pubblicazione: 20/03/2017

 

 

 

Fatto

 


Con sentenza depositata il 29.11.12 la Corte d'appello di L'Aquila, in riforma della sentenza di rigetto n. 348/11 emessa dal Tribunale di Vasto, condannava Denso Manufacturing Italia S.p.A. a pagare in favore di E.M. la somma di € 7.824,00 a titolo di risarcimento del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro occorsogli il 21.11.01.
Per la cassazione della sentenza ricorre Denso Manufacturing Italia S.p.A. affidandosi a quattro motivi.
E.M. resiste con controricorso.
Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.
Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.
 

 

Diritto

 


1- Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 434 e 346 c.p.c., per avere la sentenza accolto l'appello del lavoratore nonostante che le sue conclusioni fossero state formulate mediante generico e non univoco rinvio a quelle del primo grado.
Doglianza sostanzialmente analoga viene fatta valere con il secondo motivo di ricorso, sotto forma di denuncia di violazione o falsa applicazione degli artt.111  Cost, e 112 c.p.c.
Il terzo motivo prospetta un vizio di omesso esame d'un punto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, nonché una violazione dell'art. 1227 c.c., per avere la sentenza impugnata ricostruito la dinamica e la responsabilità dell'infortunio senza tenere conto delle ammissioni rese in sede di interrogatorio formale dall'odierno controricorrente, dalle quali era dato desumere che il sinistro si era verificato a cagione d'una sua manovra su un macchinario, manovra da ritenersi eccezionale, abnorme ed esorbitante rispetto al procedimento produttivo, oltre che in contrasto con le direttive aziendali ricevute; in subordine - conclude il motivo - la responsabilità dell'evento dannoso si sarebbe dovuta ripartire equamente fra le parti ex art. 1227 c.c.
Con il quarto motivo si lamenta violazione dell'art. 1223 c.c. nella parte in cui la gravata pronuncia non ha detratto dal risarcimento la somma che il lavoratore aveva ricevuto dal L'INAIL in conseguenza dell'infortunio.
2- I primi due motivi di ricorso - da trattarsi congiuntamente perché connessi - sono infondati.
Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che le conclusioni del primo grado, cui nel proprio atto d'appello aveva fatto espresso rinvio E.M., sono state chiaramente percepite e analiticamente riportate dalla Corte territoriale.
Pertanto, non si ravvisa violazione alcuna dell'art. 434 c.p.c. (che non impone alla parte di ritrascrivere specificamente le conclusioni del primo grado coltivate con l'appello mediante rinvio agli scritti del primo grado) né, a maggior ragione, dell'art. 346 c.p.c. (riferibile alla parte vittoriosa in prime cure e applicabile alle domande e alle eccezioni non coltivate, mentre nel caso di specie non v'è dubbio che il lavoratore fosse appellante e avesse coltivato tutte le domande non accolte dal Tribunale).
3- Il terzo motivo va disatteso perché, ad onta del richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita soltanto una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento circa la ricostruzione della dinamica dell'infortunio e l'accertamento delle responsabilità.
Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri il nuovo testo dell'art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. (applicabile, ai sensi del cit. art. 54, co. 3°, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata): l'omesso esame cui si riferisce la norma deve riguardare (come statuito da Cass. S.U. 7.4.14 n. 8053 e dalle successive pronunce conformi) un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significatività del fatto medesimo) e non determinati elementi probatori (come, invece, si invoca in ricorso).
Nel caso in oggetto, la dinamica del sinistro e le sue cause sono state puntualmente ricostruite e valutate dalla Corte territoriale: ogni doglianza a riguardo sconfina sul piano del merito, estraneo al giudizio di legittimità.
Né si verte in ipotesi di c.d. rischio elettivo e di conseguente responsabilità del lavoratore, di cui può parlarsi soltanto ove questi abbia tenuto un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere (cfr., ex aliis, Cass. n. 21694/11; Cass. n. 4656/11; Cass. n. 19494/09).
In altre parole, la responsabilità dell'infortunato sorge esclusivamente in presenza di condotte del tutto anomale, inopinabili e imprevedibili, che esulano dai sistemi e dai procedimenti di lavoro e sono con essi incompatibili, oppure qualora vi sia stata una violazione, da parte del prestatore di lavoro, di precise disposizioni antinfortunistiche o di specifici ordini (il che il decreto impugnato non ha accertato in alcun modo).
Diversamente, la condotta colposa del lavoratore è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento (cfr. Cass. 18.2.2004 n. 3213 Cass. 8.4.2002 n. 5024; Cass. 17.2.1998, n. 1687; Cass. 7.4.1992, n. 4227; Cass. 8.2.1993, n. 1523; Cass. 6.7.1990, n. 7101), atteso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela.
In breve, non essendo né imprevedibili né anomale le eventuali imprudenze, negligenze o imperizie dei prestatori di lavoro nell'espletare le mansioni loro assegnate, esse non sono idonee ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del datore di lavoro che non abbia provveduto ad adottare tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle concrete condizioni di svolgimento del lavoro.
Ne consegue l'esclusione, in tale ipotesi, del c.d. rischio elettivo, idoneo ad interrompere il nesso causale solo quando l'attività non sia in alcun rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante da esso.
Nella vicenda in esame la Corte territoriale ha evidenziato che al lavoratore non può muoversi rimprovero se non quello di essersi attivato per far ripartire la macchina, condotta - questa - tutt'altro che biasimevole, inopinabile, imprevedibile, esorbitante od abnorme.
4- Il quarto motivo è infondato, poiché l'odierno controricorrente ha ricevuto dall'INAIL (secondo quel che si ricava dalla sentenza impugnata) soltanto l'indennizzo per la perdita della retribuzione giornaliera, che non va detratto dal ristoro economico per il danno non patrimoniale oggetto della liquidazione operata dalla gravata pronuncia.
5- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell'alt. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 14.12.16.