Cassazione Civile, Sez. 6, 21 marzo 2017, n. 7209 - Domanda di riconoscimento di rendita ai superstiti. Nesso causale tra la tecnopatia e il decesso


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: PAGETTA ANTONELLA Data pubblicazione: 21/03/2017

 

 

 

FattoDiritto

 


Premesso che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata, ai sensi del decreto del primo Presidente in data 14/9/2016;
Rilevato
che la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda con la quale D.I., premesso che il coniuge, G.L., era titolare di rendita INAIL per silicosi polmonare ha chiesto il riconoscimento in proprio favore della rendita ai superstiti, sul rilievo del concorso causale della detta tecnopatia in relazione al decesso di questi; che la Corte di merito ha ritenuto infondati i rilievi critici alla consulenza tecnica d’ufficio di primo grado la quale aveva escluso il nesso concausale tra la patologia professionale e il decesso del G.L. per essere tale decesso ascrivibile unicamente alla patologia cardiaca acuta, caratterizzata da infarto del miocardio con conseguente scompenso cardiaco terminale ;
che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso, sulla base di due motivi D.I.;
che l’INAIL ha resistito con tempestivo controricorso;
Considerato
che il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma primo n 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 145 comma primo lettera b) e comma secondo d. P.R. n. 1124 del 1965, come modificato dalla legge n. 27.1.2 1975 n. 780, censurandosi la decisione sul rilievo che la modifica legislativa, espressione a livello normativo del recepimento di studi scientifici, riconosce il diritto alle prestazioni per la morte dell’assicurato affetto da silicosi, anche se di minima gravità, associata a qualsiasi altra forma morbosa dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio, intendendosi per malattia associata l’interdipendenza o interazione anatomo funzionale eziopatogenerica di essa e della tecnopatia, atta a far operare la presunzione di concausalità risultando quindi escluso la semplice coesistenza della tecnopatìa o di altra malattia - scompenso cardiaco o cuore polmonare acuto - , per il quale il de ciuius era deceduto, è manifestamente infondato;
che nella decisione impugnata non è ravvisabile il denunziato errore di diritto essendosi la Corte territoriale attenuta al principio, più volte affermato da questa Corte ed al quale occorre dare continuità, secondo il quale l'art. 4 della legge 27 dicembre 1975 n. 780 - che ha modificato l'art. 145 del D.P.R. n. 1124 del 1965 stabilendo il diritto alle prestazioni assicurative a favore del lavoratore o dei superstiti nel caso di invalidità o di morte causata da silicosi o asbestosi di gravità anche minima associate a qualsiasi altra forma morbosa dell'apparato respiratorio o cardiocircolatorio — non esclude l'esigenza che sia accertato se in concreto la morte o l'inabilità del lavoratore siano o meno derivate dalla silicosi o dall'asbestosi in concorso causale con la malattia associata, poiché in termini medico - legati, ai fini in esame, può propriamente parlarsi di "associazione" solo quando vi sia interferenza anatomo - clinica tra la tecnopatia e le altre forme morbose, che consenta la reciproca sfavorevole influenza in termini di decorso e di esaltazione del potenziale lesivo (così Cass. n. 6107 del, n.20947 del, n. 18820 del 2008, n. 11861 del 2016);
che, in coerenza con tale insegnamento, la conferma della statuizione di rigetto della domanda attorea è stata ancorata all’esclusione del ruolo concausale della tecnopatia nel prodursi dell’ evento-morte in danno dell’assicurato;
che il secondo motivo di ricorso, con il quale si denunzia “motivazione insufficiente e contraddittoria” circa un fatto controverso per il giudizio, è articolato con modalità non idonee alla valida censura della decisione;
che, invero, parte ricorrente affida le proprie doglianze alla considerazione che il consulente d’ufficio di primo grado, alle cui conclusioni aveva prestato adesione il giudice d’appello, aveva smentito se stesso in quanto da un lato aveva escluso che la tecnopatia avesse avuto un ruolo concausale nel prodursi dell’evento e dall’altro aveva, nel giudizio conclusivo, associato la patologia cardiocircolatoria alla ipertensione polmonare ed affermato che il quadro respiratorio non aveva seriamente interferito con la patologia neurologica e cardiaca, così implicitamente ammettendo un ruolo sia pure ridotto della tecnopatia nel cagionare l’evento morte;
che le censure articolate con tale motivo non sono coerenti con l'attuale configurazione del vizio di motivazione, in quanto, come chiarito dalle sezioni unite di questa Corte “la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione”. (Cass. ss.uu. n.8053 del 2014);
che, in particolare, è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
che parte ricorrente, come reso palese già della rubrica del motivo con la quale si censura la decisione esclusivamente per “motivazione insufficiente e contraddittoria”; incentra le proprie doglianze sulla presunta contraddittorietà delle conclusioni del consulente di ufficio rispetto alla ricostruzione delle complessive condizioni che avevano portato al decesso del Lombardo, senza individuare alcuno specifico fatto storico, di rilievo decisivo il cui esame sarebbe stato omesso ;
che a tanto consegue il rigetto del ricorso;
che le spese di lite, in assenza di idonea dichiarazione ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ sottoscritta dalla parte, sono liquidate secondo soccombenza; 
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 2.500,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 .
Roma, 24 gennaio 2017