Cassazione Civile, Sez. 6, 03 maggio 2017, n. 10747 - Risarcimento del danno da infortunio sul lavoro all'interno dell'esercizio commerciale. Ricorso inammissibile


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: PAGETTA ANTONELLA Data pubblicazione: 03/05/2017

 

 

 

FattoDiritto

 


Premesso che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata, ai sensi del decreto del primo Presidente in data 14/9/2016;
 

 

Rilevato
1. che con la domanda di primo grado R.F. ha chiesto la condanna di M. s.p.a. al risarcimento del danno scaturito da infortunio lavorativo che asseriva verificatosi in data 4 ottobre 2002, all’interno dell’esercizio commerciale presso il quale prestava la propria attività di lavoro alle dipendenze della convenuta;
2. che il giudice di primo grado, riunito il ricorso con altro avente ad oggetto la domanda di regresso (relativa al medesimo infortunio) dell’lNAIL nei confronti di M. s.p.a., ha respinto la pretesa risarcitoria della lavoratrice;
2.1 che la decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Perugia la quale, all’esito dell’esame della prova orale e documentale, ha ritenuto, sulla base degli elementi probatori acquisiti, che era rimasto indimostrato il verificarsi dell’infortunio lavorativo;
3. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso R.F. sulla base di un unico motivo.;
4. che M. s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso illustrato con meMO.a;
5. che l’INAIL è rimasto intimato;
 

 

Considerato
6. che con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, oggetto di discussione fra le parti. Censura la decisione per avere omesso di considerare: che la MO., collega di lavoro della R.F. all’epoca dei fatti, al momento di essere sentita era una dipendente della società di talché, anche non volutamente, avrebbe potuto indirizzare, come avvenuto, la propria testimonianza in favore della parte datoriale, che l’orario in cui si era verificato il sinistro - ore 19.30/20 , intorno, cioè all’orario di chiusura del negozio in cui prestava la propria attività la R.F., rendeva plausibile che la MO. al momento dell’evento si fosse già allontanata per avere terminato il proprio turno; che i testi favorevoli alla lavoratrice avevano dimostrato di conoscere bene il luogo del sinistro, con implicita conferma, quindi, della relativa attendibilità; che la scala sulla quale la R.F. asseriva essersi verificato l’infortunio, per come pacifico, era stata oggetto di rifacimento per adeguarla alle prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro. Evidenziava, in ogni caso, che le considerazioni del giudice di seconde cure peccavano, “anche da un punto di vista numerico” in quanto erano state ritenute inattendibili le testimonianze concordanti di ben quattro testi tutti presenti in loco;
7. che il motivo in esame è articolato con modalità non coerenti con l’attuale configurazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. , quale risultante della modifica del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. da parte del D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12 ;
7.1 che con riferimento alla nuova configurazione del motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 comma primo n. 5 cod.proc.civ. le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione”. In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extra testuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza, la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli arti. 366, primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) il come e il quando (nel quadro processuale)tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso
7.2 che nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale, sicché neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dall'odierna ricorrente;
7.3 che, invero, le circostanze dedotte dalla ricorrente, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla riconducibilità delle stesse al concetto di “fatto storico” nel senso precisato dalla richiamata pronunzia a sezioni unite, sono state prese in considerazione dal giudice di appello, avendo questi argomentato espressamente sia in ordine alle ragioni di attendibilità della teste MO. con riferimento all’epoca di un rapporto di lavoro dipendente con la M. s.p.a.,sia in relazione al rifacimento della scala per l’adeguamento alle misure antinfortunistiche, sia in ordine alle ragioni che inducevano a privilegiare la tesi opposta a quella dei clienti asseritamente presenti in negozio al momento dell’incidente (valutazione rispetto alla quale la dimostrata conoscenza dei luoghi è circostanza priva di decisività);
7.4 che non costituisce “fatto storico”, nel senso sopra precisato, il preteso allontanamento della MO., poco prima dell’orario di chiusura del negozio, allontanamento che alla stregua delle medesime prospettazioni della parte ricorrente costituisce frutto di mera congettura;
8. che a tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
9. che le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in € 200,00 per esborsi, € 3.000,00 per compenti professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dorato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 .
Roma, 8 marzo 2017