Cassazione Civile, Sez. Lav., 31 maggio 2017, n. 13819 - Morte per mesotelioma pleurico dipendente da polveri di amianto inalate a causa del rapporto di lavoro


Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Data pubblicazione: 31/05/2017

 

 

 

Fatto

 


Con sentenza 27 novembre 2012, la Corte d'appello di Venezia rigettava l'appello principale di B.R., OMISSIS M. (congiunti del de cuius G.M., dipendente dal 1943 al 1983 della s.p.a. Cantiere Navale Breda, poi incorporata in Fincantieri s.p.a. e deceduto per mesotelioma pleurico dipendente da polveri di amianto inalate a causa del rapporto di lavoro) e quello incidentale della società datrice avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva riconosciuto la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. e l'aveva condannata al pagamento, in loro favore a titolo risarcitorio iure hereditatis, della somma di € 69.105,00 oltre interessi.
A motivo della decisione, la Corte ribadiva, con ampia e critica illustrazione, la responsabilità datoriale per la mancata adozione delle misure protettive all'epoca esigibili a norma degli artt. 21 e 4 d.p.r. 303/1956 e 387 d.p.r. 547/1955; e così pure la corretta applicabilità al caso di specie del d.lg. 38/2000, in vigore dal 9 agosto 2000, per l'avvenuta denuncia della malattia professionale in documentata epoca successiva (3 luglio 2001).
Essa riteneva infondate anche le altre doglianze degli appellanti principali in ordine all'eventuale possibilità di regresso dell'Inail e della mancanza di aggravamento del danno da parte dell'assicurato: senza peraltro censure sui criteri di detrazione e quantificazione dell'importo adottati al Tribunale, né parimenti sull'entità della liquidazione del danno biologico, congrua in base alle tabelle previste per l'invalidità temporanea, debitamente aumentate per l'intensità del danno.
Con atto notificato il 22 novembre 2013, B.R., OMISSIS M. ricorrono per cassazione con tre motivi, cui resiste Fincantieri s.p.a. con controricorso; le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. in vista di precedente udienza di discussione: a seguito di rinvio fissata in quella odierna, per la quale la controricorrente ha depositato ulteriore memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per inadeguatezza del criterio tabellare adottato, sia pure adattato (in misura di € 280,00 al giorno per i 125 giorni di invalidità al 100% e di € 224,00 al giorno per il periodo di inabilità all'80%), per la specificità del danno da "malattia terminale", senza alcun idoneo criterio di personalizzazione, secondo le richiamate indicazioni della giurisprudenza di legittimità.
2. Con il secondo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 c.c. e 28 d.lg. 38/2000, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per arbitraria detrazione di rendita Inail da malattia professionale non erogata (in quanto non richiesta), per un danno erroneamente liquidato sulla base del d.lg. 38/2000 dipendente da malattia professionale (diagnosticata nel giugno 2000 e quindi prima della sua entrata in vigore, ma) erroneamente ritenuta denunciata il 3 luglio 2001, in realtà data della morte del lavoratore e per la quale la vedova ha presentato il 10 febbraio 2003 domanda per il trattamento di rendita di reversibilità.
3. Con il terzo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea riduzione del risarcimento del danno liquidato, non avendo il comportamento di M. in alcun modo aggravato l'obbligazione datoriale, avendola anzi resa meno gravosa con la mancata richiesta di rendita Inail (con relativo esercizio di regresso).
4. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c., per inadeguatezza dell'adottato criterio tabellare, sia pure adattato, per la specificità del danno da "malattia terminale", senza alcun idoneo criterio di personalizzazione, è infondato.
4.1. La Corte territoriale ha correttamente applicato una congrua liquidazione in via equitativa, sulla base di criterio tabellare opportunamente adeguato alle circostanze del caso concreto (come illustrato per le ragioni dal penultimo capoverso di pg. 17 al settimo alinea di pg. 18 della sentenza), ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero e ha il suo esito nella morte: pertanto in linea con l'indirizzo giurisprudenziale in tema di danno "biologico terminale" (Cass. 8 luglio 2014, n. 15491; Cass. 28 aprile 2006, n. 9959).
4.2. La censura è pure inammissibile, a fronte della generica doglianza formulata in sede di merito (come rilevato al primo capoverso di pg. 17 della sentenza), anche in riferimento alla richiesta liquidazione in misura di € 1.000,00 al giorno (senza deduzione di ”specifiche circostanze idonee a giustificare importi così elevaticosì dal terzo al settimo alinea di pg. 18 della sentenza), in quanto soltanto in sede di legittimità è stata prospettata l'applicazione delle tabelle milanesi, che mai risulta posta (né ciò è stato specificamente allegato) in sede di merito (Cass. 7 giugno 2011, n. 12408): neppure, infine, le suddette tabelle sono state prodotte, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso (Cass. 15 giugno 2016, n. 12288).
5. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 c.c. e 28 d.lg. 38/2000 per arbitraria detrazione di rendita Inail, dipendente da malattia professionale non erogata, per danno erroneamente liquidato sulla base del d.lg. 38/2000 a malattia, è infondato.
5.1. In proposito, occorre subito affermare l'esatta detrazione della rendita Inail dall'importo liquidato a titolo di danno differenziale.
Essa è, infatti, operazione di scomputo che ben può essere compiuta d'ufficio ed anche se l'INAIL non abbia in concreto provveduto all'indennizzo, come accaduto nella fattispecie: trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda. Depone per tale soluzione il tenore letterale dell'art. 10 d.p.r. 1124/1965 compatibile anche col caso del difetto di un già intervenuto indennizzo. Infatti, i comma dal sesto all'ottavo della disposizione parlano di indennità o rendita "liquidata a norma" del decreto. Dunque non dicono "che è stata liquidata", né "pagata", ma parlano di mera "liquidazione", che è operazione contabile astratta che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Di contro l'art. 11 dello stesso decreto, in materia di regresso, usa la ben diversa espressione di "somme pagate", certamente presupponendo il reale ed effettivo pagamento degli importi. Quindi, l'indennizzo può essere anche un termine di raffronto solo virtuale, cioè astrattamente liquidabile secondo un puro criterio tabellare. 
Altrimenti ragionando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare né al dipendente (perché il risarcimento al lavoratore, anche in casi di responsabilità penale, è dovuto solo per l'eccedenza), né all'INAIL (che può agire in regresso solo per le somme versate e, quindi, senza indennizzo non vi sarebbe regresso).
Inoltre la mancata liquidazione dell'indennizzo potrebbe essere dovuta allo stesso comportamento del lavoratore, che, ad esempio, non ha denunciato l'infortunio o la malattia ovvero ha lasciato prescrivere l'azione; detta condotta non può determinare una maggiore esposizione del datore e il lavoratore non può incidere, con una sua scelta, sull'esonero parziale da responsabilità civile inderogabilmente prescritto dall'art. 10 d.p.r. 1124/1965.
5.2. Pure corretta è la liquidazione del danno biologico sulla base del d.lg. 38/2000, in quanto dipendente da malattia professionale denunciata dopo la sua entrata in vigore, a norma dell'art. 13, secondo comma d.lg. 38/2000, come modificato dall'alt. 1 d.lg. 202/2001, che ha chiarito la distinzione tra "infortuni sul lavoro verificatisi" e "malattie professionali denunciate", in relazione alla data di decorrenza (dal 25 luglio 2000) per l'applicazione della nuova disciplina. Ciò in quanto dalla stessa certificazione Inail 26 marzo 2009, integralmente trascritta dai ricorrenti (a pg. 23 del ricorso), risulta che "il caso è stato segnalato all'INAIL con certificato medico 10/02/2003, data successiva al decesso dell'assicurato avvenuto il 03/07/2001", con costituzione di una rendita ai superstiti dal giorno successivo al decesso; con ulteriore precisazione per la quale "nessuna richiesta di indennizzo del danno biologico è pervenuta ... da parte dell'assicurato".
Sicché appare evidente, al di là dell'erronea indicazione dalla Corte territoriale della data del decesso del lavoratore come di denuncia della malattia professionale ma con esatta applicazione dei principi di diritto in materia (a pg. 16 della sentenza), che la denuncia in questione sia avvenuta in epoca di vigenza del d.lg. 38/2000.
6. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 c.c. per erronea riduzione del risarcimento del danno liquidato in assenza di aggravamento dell'obbligazione datoriale dal comportamento di M. non richiedente rendita Inali, è Inammissibile.
6.1. Esso difetta di specificità, In assenza di una confutazione puntualmente idonea, In violazione della prescrizione appunto a pena di Inammissibilità contenuta nell'art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l'illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti Invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza Impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, In relazione al motivo come espressamente Indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202): consistendo In una sostanziale reiterazione, pure Involuta, delle argomentazioni proposte in appello e già confutate dalla Corte territoriale (per le ragioni esposte all’ultimo capoverso di pg. 16 della sentenza).
7. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione, In favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.
Al sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso In Roma, Il 9 marzo 2017