Cassazione Penale, Sez. 4, 16 giugno 2017, n. 30235 - Infortunio mortale durante i lavori di sbancamento. Mancanza di formazione


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: MICCICHE' LOREDANA Data Udienza: 08/03/2017

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 9 aprile 2015, accogliendo parzialmente l'appello della parte civile, riformava la sentenza del locale Tribunale che aveva assolto L.E., L.D., P.G., C.D.e G.R. dal reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2 cod pen loro contestato per avere, con condotte colpose indipendenti, cagionato la morte dell'operaio M.N., e condannava il solo G.R. al risarcimento dei danni subiti dall'appellante, da liquidare in separata sede, oltre alla refusione delle spese processuali.
2. Il sinistro si era verificato nel pomeriggio del 3 marzo 2000 all'interno di un cantiere realizzato per l'esecuzione di lavori di sbancamento e sistemazione dell'area urbana e di ampliamento della sede stradale, appaltati dal Comune di Fiumara Calabra alla Petrosa Immobiliare srl, di cui L.E. e L.D. erano rispettivamente legale rappresentante e amministratore, mentre P.G. era il direttore dei lavori. I lavori di sbancamento risultavano appaltati alla Ditta C.D. . La vittima si trovava alla guida di un autocarro, munito di braccio gru cui era legata una catasta di tavole di legno da carpenteria, mezzo di proprietà della SAM Edil srl, di cui il M.N. era dipendente, mentre G.R. era il legale rappresentante e datore di lavoro. Secondo l'ipotesi accusatoria, a seguito del parziale smottamento del ciglio della strada su cui era collocato l'autocarro condotto dal M.N., dovuto alla omessa predisposizione di strutture di sostegno dello sbancamento, nonché all'eccessivo carico portato dal braccio meccanico della gru posizionato verso l'interno dello scavo, il mezzo subiva una inclinazione improvvisa, tale da scaraventare all'esterno il M.N., il quale veniva investito e travolto dalla caduta del materiale trasportato. Veniva dunque contestato a tutti gli imputati di aver cagionato il sinistro mortale per negligenza e imperizia, e con colpa specifica consistita nella violazione degli artt. 12 e 77 DPR n.164 del 1956 per avere omesso di provvedere all'armatura o al consolidamento del terreno nel corso dei lavori di sbancamento eseguiti dal C.D.; dell'art.168 DPR n.547/1955 per aver consentito l'utilizzo della gru non appropriata alla forma e al volume del carico al cui sollevamento e trasporto era destinato il mezzo; nonché per aver omesso di predisporre l'idonea imbracatura di un notevole carico di legname e di materiale edile.
3. Il giudice di primo grado aveva ritenuto non convincente la prova circa l'intervenuto smottamento del terreno aggiungendo, inoltre, come non fosse stata dimostrata la sussistenza delle condizioni di particolare natura del terreno che avrebbero imposto il consolidamento dello scavo. Aveva inoltre ritenuto che il sinistro fosse ascrivibile a colpa esclusiva del lavoratore, il quale aveva omesso di utilizzare correttamente i pistoni di ancoraggio, di cui era regolarmente dotato il mezzo, impedendone così la adeguata stabilizzazione. Il M.N., infatti, non aveva azionato i pistoni di ancoraggio laterali di cui il mezzo era dotato e, quindi, l'altezza del piano di appoggio nonché l'eccessività del carico rispetto alla posizione del mezzo ne avevano determinato il ribaltamento. Per di più il M.N. aveva agito da solo, mentre dette operazioni richiedono normalmente la presenza di due operai il comportamento della vittima, così ricostruito, doveva considerarsi anomalo ed imprevedibile, tale da escludere il nesso causale tra l'evento e la condotta degli imputati, posto che sul mezzo risultavano esposti gli avvisi e le istruzioni per l'uso dell'apparecchio, che peraltro aveva superato solo qualche mese prima le verifiche di sicurezza. Quanto, poi, alla posizione del datore di lavoro, era da escludersi che il mezzo fosse inadeguato alla portata del carico, e comunque, l'eziologia del sinistro non era riconducibile ad una cattiva assicurazione delle assi di legno trasportate, ma alla perdita di equilibrio dell'autocarro a causa del mancato regolare ancoraggio. Infine, relativamente alla posizione del C.D., il Tribunale escludeva la qualità di subappaltatore di quest'ultimo, il quale aveva invece stipulato con la ditta appaltatrice un contratto di noleggio di mezzi meccanici, effettivamente rinvenuti sul cantiere.
4. La Corte d'Appello, dopo aver acquisito agli atti la consulenza tecnica espletata nell'ambito del giudizio civile, che aveva escluso la necessità di opere di consolidamento del terreno nello scavo ed aveva però affermato che il sinistro si era verificato a causa della inidoneità del mezzo sul quale era stato caricato un peso incompatibile con le caratteristiche del complesso veicolare, disponeva un nuovo accertamento peritale relativo alle caratteristiche dell'autocarro. Detto accertamento concludeva nel senso che l'autocarro era idoneo al carico da movimentare, e che lo sbilanciamento del mezzo - causa del sinistro - era ricollegabile all'errato posizionamento degli stabilizzatori da parte del lavoratore, il quale però non aveva ricevuto alcuna formazione circa l'utilizzo delle complesse attrezzature consegnategli in dotazione, come emergeva dalla totale assenza di documentazione in proposito nonché dal complesso delle prove raccolte. La Corte territoriale, dunque, confermava la sentenza impugnata quanto alla esclusione di condotte colpose in capo ai responsabili del cantiere, ma affermava la responsabilità del datore di lavoro del M.N., G.R., ravvisando una palese violazione degli obblighi di informazione e sicurezza all'epoca positivamente stabiliti dagli artt. 21 e 22 d.lgs 626/1994 ed non rilevando alcun comportamento abnorme del lavoratore, al quale era ascrivibile un concorso di colpa, determinato nella misura del 30%.
5. Propongono ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, la parte civile Omissis e G.R..
6. G.R. lamenta, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione di legge e delle norme processuali, per essere stato violato il principio di correlazione tra imputazione e sentenza. La Corte d'Appello aveva proceduto alla modifica dell'imputazione direttamente con la motivazione della sentenza impugnata, in violazione del diritto di difesa. In particolare, il perito nominato nel giudizio di appello, dopo aver confermato l'analisi del primo giudice, secondo cui il sinistro era riconducibile a imperizia del M.N. (in particolare ad un errato posizionamento degli stabilizzatori, nonostante all'interno del mezzo fossero esposti gli avvisi di istruzione per l'uso e la manovra dell'apparecchio) aveva aggiunto che il mezzo non era stabile a causa del mancato posizionamento di piastre di appoggio suppletive, addebitando suddetta mancanza alla assenza di formazione e informazione specifica del M.N. da parte del datore di lavoro. Erano entrati dunque nel processo fatti del tutto nuovi rispetto alla originaria imputazione ed era pertanto necessaria una riformulazione dell'addebito; i fatti apprezzati dalla Corte territoriale erano - rispetto a quelli contestati - eterogenei e incompatibili; si era ritenuta violata una norma di sicurezza diversa da quelle in origine contestate, con la conseguenza che l'imputato non era stato messo in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa, fornendo le prove a discarico.
7. Con il secondo motivo, G.R. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 606, lett c) ed e) cod proc pen, in relazione agli art. 350, 192 e 603 cod proc pen, nnochè agli art. 21 e 22 del d.lgs n.626 del 2004, per avere la Corte disatteso le indicate disposizioni quanto all'accertamento della violazione delle norme di sicurezza da parte dell'imputato. Rilevava, sul punto, l'inutilizzabilità delle dichiarazioni dell'ispettore del lavoro, che aveva testimoniato su circostanze a lui riferite dall'indagato, in assenza di avviso ex art. 350, commi 2 e 3, cod proc pen. Inoltre, la Corte d'Appello, attraverso una erronea interpretazione delle norme di cui agli artt. 21 e 22 del d.lgs n.626/1994, aveva ritenuto violati detti obblighi ( di informazione sui rischi e di formazione) solo in base alla assenza di documentazione mentre, in proposito, non era prescritto alcun obbligo di documentare per iscritto l'avvenuta formazione. Risultava, al contrario, che sull'autocarro erano esposti gli avvisi di istruzione per l'uso e la manovra dell'apparecchio, e inoltre nel certificato di omologazione era indicato che era obbligatorio mettere in opera tutti gli stabilizzatori prima di azionare la gru. La Corte aveva altresì trascurato le dichiarazioni dell'ispettore del lavoro e del socio del G.R., P., dal quale emergeva invece che era stato delegato alla formazione proprio il detto P., che la aveva espletata. Infine, non vi era alcun obbligo normativo di posizionamento delle piastre di appoggio suppletive in considerazione della natura del terreno.
8. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606, lett e) cd proc pen, per contraddittorietà della motivazione in ordine all'accertamento del nesso causale tra la violazione addebitatagli e il sinistro, avendo aderito supinamente alle valutazioni del perito senza spiegare perché l'accertata condotta imperita del M.N. non fosse stata di per sé sufficiente a determinare l'evento. Con il quarto motivo, infine, lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 606, lett b) ed e) in relazione all'art.192 comma 1, cod proc pen, non avendo la Corte indicato i criteri in base ai quali aveva quantificato il concorso colposo della vittima soltanto nella misura del 30% .
9. Propone altresì ricorso la parte civile. Deduce, con il primo motivo, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), relazione all'art. 2087 del codice civile, al d.lgs n.626/1994, al D.lgs n.494/1996 nonché al DPR n. 164/1956. La Corte territoriale non aveva valutato le violazioni agli obblighi imposti dalla normativa citata da parte di tutte le persone che avevano svolto ruoli nel cantiere, così come indicate dalla relazione dell'ispettore del lavoro e riportate anche dalla consulenza tecnica espletata nel giudizio civile. In particolare La Corte aveva apoditticamente affermato che vi era alcuna connessione causale tra le condizioni del terreno e del cantiere, cui erano riferibili le suddette violazioni, e il sinistro mortale, omettendo di valutare le considerazioni del Consulente di parte, ing DS. nonché quanto emerso anche dal resoconto e dalla descrizione del teste m.llo M.. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione di legge in relazione all'art. 2087 cod civ e d.lgs n.626/1994. Stante l'assenza di formazione impartita al M.N., che risultava assunto come autista solo 15 giorni prima, non era logicamente sostenibile la sussistenza di un concorso di colpa del lavoratore. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte d'Appello del tutto trascurato i dati probatori da cui, invece, emergeva che il M.N. non aveva operato da solo nel cantiere ( precisamente, il fatto che il materiale fosse stato consegnato al C.D., ivi presente, come emergeva dalla bolla di consegna); nonché le risultanze della relazione dell'ispettore del lavoro, dalla quale emergevano le precarie condizioni del cantiere, elementi, tutti, che conducevano alla esclusione dell'affermato concorso di colpa della vittima.
10. Ha depositato memoria il difensore di G.R., anche in qualità di difensore C.D. , insistendo per il rigetto del ricorso della parte civile.
 

 

 

 

Diritto

 


l. Il primo motivo di ricorso della parte civile, che per ragioni di priorità logica deve essere preliminarmente esaminato, è infondato.
1.1. Con la doglianza in esame, la parte civile censura l'impugnata sentenza prospettando vizio di violazione di legge, ma lamenta, in realtà, l'omessa valutazione - da parte della Corte territoriale - degli elementi probatori dai quali sarebbe emersa la connessione causale tra le omissioni colpose poste in essere dai responsabili del cantiere (consistenti nel non aver apposto la necessaria segnaletica sul cantiere nonché per non aver predisposto le opere di consolidamento del terreno) e il sinistro mortale.
1.2 Il motivo prospettato, astrattamente ammissibile nella specie nonostante la presenza di una c.d. doppia conforme, essendo stata acquisita in grado di appello la perizia espletata nella causa civile, non coglie nel segno. Invero, il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito. (Cass., n. 5223/07, Rv. 236130, Medina). Tanto premesso, e sviluppando coerentemente i principi suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata regge al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione. In particolare, il giudice di merito ha risposto con adeguata motivazione a tutte le osservazioni del ricorrente che in sostanza ripropongono motivi di fatto. La Corte territoriale, in particolare, ha diffusamente e puntualmente valorizzato gli elementi escludenti la penale responsabilità dei responsabili delle ditte appaltatrice e subappaltatrice, nonché del direttore dei lavori, costituiti:
1) dalla ininfluenza delle violazioni relative alle omissione della segnaletica di cantiere, non aventi alcun collegamento causale con il sinistro mortale occorso al M.N., dal momento che il divieto di transito non era vincolante per i soggetti che operavano sul cantiere, quali la parte offesa;
2) parimenti, dalla ininfluenza della mancata apposizione di un parapetto nel bordo della vecchia sede stradale, poiché - secondo la ricostruzione recepita dal perito incaricato in sede civile nonché nella perizia espletata in appello - il M.N. si trovava, al momento del sinistro, sul pianale del cassone e al momento del ribaltamento era stato sbalzato nella quota bassa dello scavo;
3) sulla assenza di frane o cedimenti del terreno, emergente dagli analitici rilievi della consulenza eseguita nel giudizio civile, di cui la stessa ricorrente Omissis aveva chiesto l'acquisizione.
1.4.E' dunque evidente che la Corte territoriale ha compiutamente esaminato tutto il compendio probatorio acquisito e ne ha tratto una ricostruzione logica e coerente che si sottrae alle censure dedotte nel ricorso, fornendo puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza e procedendo alla corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto. E' invero consolidato il principio per cui la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito propone effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione è compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito sotto il profilo della violazione dell'obbligo motivazionale, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, Rv. 258679; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Rv. 259643).

 


2. Il primo motivo del ricorso G.R. è infondato.
2.1.In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'Imputazione (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051). Corollario di tale principio è che, ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 c.p.p. , deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013 , Di Guglielmi , Rv. 25727; Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, Rv. 258941; si veda ancora Sez. 5, n. 44862 del 06/10/2014, Rv.261286, secondo cui l'attribuzione in sentenza al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'Imputazione non determina la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'art. 111, secondo comma, Cost., e dell'art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla corte europea, qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla stessa).
2.2. E' dunque del tutto consolidata una interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 c.p.p.), per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull'addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti - e in particolare l'imputato - non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio. Ed è rilevante aggiungere che, con riferimento specifico ai reati colposi, in continuità con l'orientamento sopra illustrato, questa sezione - in fattispecie sovrapponibile - ha specificato che non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori, cfr.Sez. 4, Sentenza n. 51516 del 21/06/2013, Rv. 257902). 
2.3. Tanto premesso, l'impugnata sentenza, facendo corretta applicazione dei principi esposti, ha sottolineato come la violazione degli obblighi di formazione e informazione era chiaramente emersa nella relazione peritale redatta dall'ing P. e dall'esame dibattimentale del perito, svoltosi in contraddittorio nella fase di appello, e, per di più, era altresì emersa in primo grado dalla relazione dell'Ispettore del lavoro, ing. M., ritualmente acquisita al fascicolo del dibattimento all'esito dell'esame del predetto ispettore. Le parti, dunque, hanno avuto ampiamente modo di intervenire nel dibattito processuale e di difendersi sul punto e, conseguentemente, non è rilevabile quella irrimediabile lesione del diritto di difesa, presupposto per la configurabilità della ipotesi di violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo del ricorso G.R..
3.1. Lamenta il ricorrente l'inutilizzabilità delle dichiarazioni dell'ispettore del lavoro ing M., che aveva testimoniato su circostanze a lui riferite dall'indagato, in assenza di avviso ex art. 350, commi 2 e 3, cod proc pen. Dette dichiarazioni non hanno alcun rilievo decisivo, avendo la Corte fondato le proprie statuizioni su altri importanti e risolutivi elementi ritualmente acquisiti al processo (per la decisività della prove inutilizzabili, si veda per tutte Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216249; da ultimo Sez. 4, n. 18232 del 12/04/2016, Rv. 266644). Nella specie, l'impugnata sentenza ha sottolineato come il M.N. avesse ricevuto solo in forma verbale, da parte del collega P. (dichiarazioni invocate a propria difesa dall'odierno ricorrente, pag. 14 del ricorso), le istruzioni sull'uso del mezzo, ritenendole del tutto inadeguate rispetto alle prescrizioni della normativa di cui agli artt. 21 e 22 del d.lgs n.626/1994, vigente all'epoca dei fatti. Così argomentando, la Corte di Appello ha preso in esame il valore di una conoscenza generica delle modalità di utilizzo dell'autogrù e dei connessi rischi insiti, affermando che una siffatta cognizione non surroga l’attività di formazione che il datore di lavoro è tenuto a somministrare al lavoratore. Si tratta di affermazione corretta, perché coerente al quadro normativo. La giurisprudenza di questa Corte ha tratteggiato i contorni ed i contenuti dell’obbligo di formazione gravante sul datore di lavoro in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Questi ha l’obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni, in maniera tale da renderlo edotto sui rischi inerenti ai lavori a cui è addetto (cfr. Sez. 3, n. 4063 del 04/10/2007, Rv. 238540; Sez. 4, n. 41997 del 16/11/2006, Rv. 235679). Il D.Lgs. n. 626 del 1994, al quale occorre fare riferimento ratione temporis, all’art. 3, comma 1 lett. s) pone la "informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro" tra le misure generali di tutela, distinguendole peraltro dalla diversa ed ulteriore misura generale costituita dalle "istruzioni adeguate ai lavoratori D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, comma 1, lett. t); similmente il D.Lgs. n. 81 del 2008, all'art. 15, comma 1, lett. da n) a q). Gli artt. 21 e 22 del citato decreto prevedono e definiscono i contenuti degli obblighi di informazione e di formazione, intesi quindi come attività ed obiettivi distinti. In particolare, il citato complesso normativo definisce sia l'oggetto della formazione, dovendo aver attinenza specifica al posto di lavoro e alle mansioni assegnate al lavoratore, che la tempistica, essendo evidenziati per la somministrazione della formazione i momenti dell'assunzione, del trasferimento o cambio di mansioni, dell'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi, nonché la modifica per evoluzione o per innovazione del quadro dei rischi, e prevede anche il coinvolgimento degli organismi paritetici previsti di cui all'art. 20. Va altresì sottolineato che il regolamento di attuazione del d.lgs 626/1994 (dm 16/1/1997, n.27, intitolato " individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e protezione") stabilisce, all'art. 4, che " l'attestazione della avvenuta formazione deve essere conservata in azienda a cura del datore di lavoro". Correttamente, dunque, l'impugnata pronuncia dà atto che non risultava alcun documento scritto che attestasse l'effettivo svolgimento della attività formativa, scandita secondo le sopra descritte modalità e tempistica.
3.2. Detto breve richiamo del profilo normativo dell'attività di formazione che il datore di lavoro deve assicurare permette di ribadire il seguente principio, già affermato da questa Sezione, secondo cui "in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenze del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenze che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e delle prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione legislativamente previste, le quali vanno compiute nella cornice formalizzata prevista dalla legge" (Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014; Rv. 259219 ; Sez. 4, n. 22147 del 11/02/2016, Rv. 266860). Ne consegue che la prova dell'assolvimento degli obblighi di informazione e di formazione del lavoratore non può ritenersi data dalla dichiarazione del collega del lavoratore che affermi di averlo istruito sull'uso del mezzo. Nè è surrogabile allo specifico obbligo di informazione l'esistenza di istruzioni scritte poste a bordo del mezzo, essendo intuitivo che il corretto utilizzo dello stesso avrebbe dovuto essere insegnato adeguatamente al lavoratore, trattandosi di mezzo meccanico il cui uso era non solo rischioso, ma certamente anche complesso. Sul punto, dunque, la sentenza impugnata si appalesa del tutto corretta, e pienamente rispettosa - sulla base del fatto cosi come tratteggiato - dei principi sopra ricordati.
4. E' infondato anche il terzo motivo.
4.1. E' principio costantemente affermato che in tema di causalità la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015; Rv. 263386, Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014 Rv. 259229; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011 Rv. 250710). Nel caso di specie, correttamente la Corte territoriale - rilevata la violazione della normativa antinfortunistica - ha addebitato la responsabilità al datore di lavoro, posto che la condotta del M.N. rientrava pienamente nei compiti assegnatigli, senza che potesse essere rilevata alcuna assoluta estraneità al processo produttivo e alle mansioni assegnatigli. Né la motivazione presenta le denunciate censure in punto di gradazione delle percentuali di responsabilità in tema del rilevato concorso colposo del lavoratore, avendo I indicato i parametri fattuali di riferimento (accertata condotta imperita e gravità della violazione dell'obbligo informativo), con argomentazioni che risultano logiche, coerenti ed adeguate.
5. Stesse considerazioni si impongono con riferimento al secondo e terzo motivo di ricorso della parte civile, inerenti alla lamentata erroneità del ritenuto concorso di colpa del lavoratore, valutazione ancorata al fatto che il M.N. avrebbe agito da solo sul cantiere, nonostante l'azionamento del mezzo prevedesse la necessaria presenza di due persone, e che avesse compiuto palesi errori nel posizionamento degli stabilizzatori sul terreno. In proposito, il ricorso della parte civile fa leva sulla mancata valutazione, da parte della Corte territoriale, delle dichiarazioni del teste m.llo M. e della deposizione del consulente di parte, proponendo però questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio, non ammissibile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, Rv. 258679; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Rv. 259643). Parimenti, si sottrae alle censure lamentate l'argomentazione della Corte territoriale circa la rilevata condotta colposa concorrente della vittima, che non aveva provveduto all'esatto posizionamento degli stabilizzatori del mezzo. L'accertata inadeguatezza dell'obbligo di formazione da parte del datore di lavoro, infatti, non esimeva la parte offesa dalla adozione delle necessarie minime cautele nella manovra e uso del mezzo: sul punto, la valutazione della Corte territoriale si sottrae alle lamentate censure di contraddittorietà e illogicità.
6. Si impone, dunque, il rigetto dei ricorsi. L'esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese di lite tra la parte civile e l'imputato.
 

 

PQM

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara compensate le spese di lite tra la parte civile e l'imputato G.R..
Roma, 8 marzo 2017