Cassazione Penale, Sez. 4, 11 luglio 2017, n. 33775 - Mancanza dei dispositivi di trattenuta contro la caduta dei pezzi di lavorazione: responsabile il DL/RSPP. Reato estinto per prescrizione.


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 20/06/2017

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di Appello di Lecce, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente DP.L., con sentenza del 13.4.2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce sezione di Casarano, emessa in data 11.6.2013, appellata dall'imputato, dal responsabile civile e, in via incidentale, dalla parte civile, fissava in € 4.000,00 la somma concessa a titolo di provvisionale, confermando nel resto.
Il Tribunale di Lecce sezione di Casarano aveva dichiarato l'imputato responsabile del reato di cui all'art. 590 c. 3 cod. pen. e artt. 71 e 3 D.L.vo 81/2008 per avere, per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e inosservanza delle norme della prevenzione degli infortuni sul lavoro, in qualità di datore di lavoro e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione della Tekne s.r.l., corrente in Omissis, omesso di adottare adeguate misure tecniche ed organizzative tali da ridurre i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro (nella fattispecie i sostegni dei pezzi da lavorare siti nei laboratori della Teckne srl, risultavano sprovvisti dei dispositivi di trattenuta contro la caduta dei pezzi di lavorazione cosicché all'atto di liberare dalla morsa una sbarra in lavorazione, la suddetta perdeva di stabilità e cadeva dal pianale colpendo il C. alla gamba sinistra), cagionando a C. M. lesioni personali consistite in "frattura scomposta pluriframmentaria della tibia sx al terzo medio superiore e del perone al terzo inferiore" giudicate guaribili in gg. 40 s.c. In Casarano il 21/9/2010.
L'imputato veniva condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 3 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali (pena sospesa subordinata al pagamento della provvisionale entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza); veniva altresì condannato, in solido con il responsabile civile al risarcimento del danno subito dalla parte civile da liquidarsi in separata sede, sull'ammontare del quale riconosceva una provvisionale di € 4.000,00.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, DP.L., deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. per errata applicazione degli artt. 157 cod. pen. e 29, 529 e 530 cod. proc. pen. nonché art. 21 comma 2 D.Lgs. 758/94.
Il ricorrente eccepisce la mancata dichiarazione di avvenuta prescrizione del reato a causa dell'errore nell'indicazione, nel capo di imputazione, del tempus commissi delicti.
Rileva il ricorrente che nella motivazione di entrambe le sentenze di merito si dà atto che la contestazione attiene a condotte consumatesi in data 21.9.2009, nonostante nel capo di imputazione sia riportata la data del 21.9.2010. Trattandosi di una contravvenzione, come previsto dall'art. 71 comma 3 D.Lgs 81/2008, il reato si sarebbe prescritto alla data del 21.9.2014, prima della sentenza di appello.
Aggiunge, inoltre, che ai sensi dell'art. 87 comma 6 D.Lgs 81/2008 , mod. dall'art. 20 D.Lgs. 151/2015, è prevista una particolare causa di estinzione per regolarizzazione, in seguito al pagamento della sanzione amministrativa e all'adempimento della prescrizione, ma, nel caso di specie, nonostante la difesa avesse dato prova dell'avvenuto pagamento della sanzione e della regolarizzazione delle prescrizioni, i giudici di primo e secondo grado hanno condannato l'imputato per il reato di cui all'art. 71 comma 3 del D.Lgs. 81/2008.
b. Violazione art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 192 e 546 lett. e) cod. proc. pen.
Il ricorrente rileva che il giudizio di inattendibilità del teste Ca., consista in realtà in un mero giudizio sul merito delle dichiarazioni, senza offrire una valida motivazione su oggettive criticità del contenuto delle stesse dichiarazioni.
c. Mancata valutazione in ordine alla rinuncia della costituzione di parte civile.
La Corte di appello avrebbe trascurato l'atto di rinuncia alla costituzione di parte civile depositato il 30.3.2016, condannando l'imputato al pagamento della provvisionale e subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena all'avvenuto pagamento della provvisionale.
Pertanto, la sentenza andrebbe annullata senza rinvio.
d. Violazione art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed errata applicazione di legge nonché carenza di motivazione in merito all'omessa declaratoria di non doversi procedere in ordine al reato contestato all'imputato per mancanza di querela.
Rileva il ricorrente che, nel caso di specie, avendo riportato la parte offesa lesioni colpose lievi, guaribili entro i 40 giorni, la fattispecie risentirebbe tra le ipotesi di reato procedibili a querela di parte, con conseguente necessità di annullamento della sentenza impugnata.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni effetto di legge. 
 

 

Diritto

 


1. Non essendo tutti i motivi sopra illustrati manifestamente infondati, il Collegio non può che prendere atto, ai fini penali, dell'intervenuta prescrizione del reato e pertanto annullare senza rinvio la sentenza impugnata per l'estinzione del reato.
Ai fini civili, inoltre, come si avrà modo di evidenziare, la sentenza andrà parimenti annullata, in quanto all'atto della pronuncia della Corte leccese già risultava ex actis l'intervenuta rinuncia alla costituzione di parte civile.
2. Manifestamente infondato si palesa il motivo circa la prescrizione del reato contravvenzionale di cui all'art. 71 D.lg 81/2008 (recante "Obblighi del datore di lavoro", secondo cui "il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle Direttive comunitarie".), che non è contestato autonomamente, ma solo richiamato in relazione al profilo di colpa specifica di cui all'art. 590 c. 3 cod. proc. pen.
Non sono manifestamente infondati, invece, i motivi in ordine alla esistenza della querela (di cui questa Corte non dispone e di cui le sentenze di merito non danno atto, pur trattandosi di lesioni personali lievi, anche se -va evidenziato- trattasi di motivo non dedotto in appello), ma soprattutto in ordine alla mancata valutazione da parte della Corte in relazione all'intervenuta rinuncia alla costituzione di parte civile e alla errata indicazione in imputazione della data del commesso reato.
Quanto alla prima, risulta dagli atti -cui questa Corte ha ritenuto di accedere in ragione del tipo di doglianza proposta- che in data 30.3.2016, dunque prima della sentenza oggi impugnata (che data 13.4.2016), venne depositata in atti rinuncia alla costituzione di parte civile e all'appello incidentale da parte di C. M.. Erroneamente, dunque, la Corte di appello di Lecce ha operato le relative statuizioni, che vanno eliminate.
Quanto alla data del fatto, in realtà, all'udienza del 12.3.2012 dinanzi al Tribunale di Lecce -sez. dist. di Casarano- il PM venne autorizzato a correggere la data dell'avvenuto infortunio da quella errata (21.9.2010) di cui all'imputazione a quella corretta di 18/9/2009.
Sennonché sia il giudice di primo grado, allorquando ha redatto la sentenza, che la Corte territoriale in secondo grado, hanno omesso di indicare a margine dell'imputazione l'avvenuta correzione. 
Peraltro, lo stesso giudice di primo grado indicava correttamente in motivazione la data dei fatti (18/9/2009), circostanza peraltro avvalorata in punto di logica dal fatto che -come si afferma nella sentenza di secondo grado a pag. 3- il teste V. venne sentito dai tecnici dello SPESAL il 12.10.2009 "dopo oltre venti giorni dal grave incidente occorso al collega".
Riscontrata ex actis la mancanza di periodi di sospensione della prescrizione, al 18.3.2017 risulta dunque decorso per il reato in imputazione il termine prescrizionale massimo di sette anni e mezzo.
Alla luce delle pronunzie di merito nemmeno si configura, infatti, l'evidenza della prova che consentirebbe l'adozione di una decisione liberatoria nel merito ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quanto alle statuizioni penali, perché il reato è estinto per prescrizione, e quanto alle statuizioni civili per la pregressa rinunzia alla costituzione di parte civile.
Così deciso in Roma il 20 giugno 2017