Cassazione Penale, Sez. 4, 13 luglio 2017, n. 34373 - Crollo di una pensilina e caduta dell'operaio. Responsabilità del committente, del progettista e del direttore dei lavori


 



Fatto

 




1. La Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza in epigrafe, ha parzialmente riformato, ai soli effetti civili, la pronuncia assolutoria emessa in data 17/10/2013 dal Tribunale di Gela nei confronti di I.M. e M.L., ed ha confermato la condanna, rideterminando la pena irrogata, nei confronti di L.V. con esclusivo riferimento al capo c) dell'imputazione. La Corte territoriale ha, quindi, condannato gli imputati in solido al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile Lo.Ma.. I.M., M.L. e L.V. erano imputati, per quanto ancora rileva in questa fase, del reato previsto dagli artt. 81, 113 c.p., art. 590 c.p., comma 3, perchè avevano per colpa determinato, in (OMISSIS) il (OMISSIS), il ferimento dell'operaio Lo.Ma. con violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro; I.M. in qualità di titolare dell'omonima impresa edile, M.L. e L.V. quali tecnici incaricati di eseguire i lavori.

2. Il fatto oggetto d'imputazione era relativo al crollo di una pensilina in un cantiere organizzato per opere di ristrutturazione di un edificio; si contestava, in particolare, la violazione di norme antinfortunistiche per omessa predisposizione del Piano di Sicurezza, per omesse informazione e formazione del lavoratore, per omesso allestimento di ponteggi ed opere provvisionali sul prospetto posteriore, all'interno del fabbricato ove si stavano eseguendo i lavori sulla pensilina, per l'omessa realizzazione di parapetti sulle solette dei balconi, per l'omesso puntellamento della pensilina prima della demolizione del solaio, per l'omessa nomina del RSPP, per l'esecuzione di opere di demolizione sul muro perimetrale senza mezzi di protezione delle persone, per non avere eseguito la demolizione del muro portante al primo piano con ordine dall'alto verso il basso, evitando di lasciare parte del muro sospesa.

Il giudice di primo grado aveva così ricostruito la dinamica dell'infortunio: l'infortunato si trovava sul terrazzo del terzo piano insieme a B.A., con il quale stava inserendo piccole travi di cemento con un martelletto e con un trapano in modo da collocare successivamente delle tegole; il muretto di tufo di tale terrazzo, sul quale l'operaio si appoggiava, aveva ceduto provocando la sua caduta verso il basso dall'interno verso l'esterno; il crollo era stato causato dalla precedente demolizione del solaio di copertura, che costituiva un'unica costruzione con la pensilina del balcone perchè tale demolizione era stata eseguita tagliando i ferri che ne costituivano l'armatura e che collegavano il solaio alla predetta pensilina; la tranciatura delle barre di ferro aveva lasciato la pensilina priva di idoneo supporto e le vibrazioni provocate dall'utilizzo del martello ne avevano provocato il cedimento.

3. I.M. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 185 e 590 c.p. perchè la qualifica di Lo.Ma. quale compartecipe nei reati di elusione della normativa antinfortunistica esclude la possibilità di riconoscere il diritto al risarcimento dei danni in favore del medesimo quale lavoratore e persona offesa;

b) violazione e falsa applicazione dell'art. 192 c.p. perchè nel percorso di valutazione della prova la Corte di Appello ha discutibilmente separato le due versioni, tra loro antitetiche ed inconciliabili, fornite dal medesimo soggetto ritenendolo attendibile pur escludendo una delle due versioni;

c) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove ha ritenuto verosimile che, per motivi fiscali, le parti si fossero accordate per simulare un rapporto di appalto ed al contempo ha indicato quale elemento di riscontro le fatture intestate all' I.; difetta, secondo il ricorrente, l'indicazione degli elementi essenziali per l'individuazione di un'impresa in capo all' I.;

d) violazione e falsa applicazione dell'art. 96 c.p.c. perchè la corretta valutazione delle prove avrebbe dovuto condurre al rigetto dell'appello della parte civile ed alla condanna di quest'ultima al pagamento delle spese di lite di secondo grado.

4. M.L. propone ricorso per i seguenti motivi:

a) violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. per essere stato ritenuto responsabile delle lesioni riportate dal Lo. per fatti e circostanze diversi da quelli contestati. In particolare, essendogli stata contestata la responsabilità in qualità di tecnico incaricato di eseguire i lavori, la Corte di Appello lo aveva ritenuto responsabile quale redattore del progetto per l'intervento di ristrutturazione ed assuntore di un ruolo nella direzione dei lavori per aver omesso di indicare graficamente la pensilina nel progetto anche per evitare specifiche prescrizioni di sicurezza per la fase esecutiva. Tale diverso rimprovero ha pregiudicato il diritto di difesa;

b) erronea applicazione di legge penale sostanziale e vizio di motivazione in merito alle competenze del direttore dei lavori, avendo la Corte territoriale attribuito obblighi di natura antinfortunistica ad un soggetto che secondo la normativa ha oneri ed obblighi pertinenti esclusivamente all'osservanza della normativa urbanistico-edilizia e non ha responsabilità inerenti alla sicurezza del lavoro ove non sia accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere;

c) vizio di motivazione per avere la Corte territoriale desunto la responsabilità del M. da alcune premesse fattuali contraddette dalle prove acquisite, posto che il ricorrente mai aveva preso parte all'esecuzione dell'opera, nè aveva dato disposizioni circa l'esecuzione tecnica della stessa. Si è confusa la figura del direttore dei lavori in fase di progettazione con quella del direttore dei lavori in fase di esecuzione. La mancata previsione, nel progetto, della pensilina era argomento a favore dell'imputato in quanto dimostrava che tale pensilina non si sarebbe dovuta toccare; è stata, invece, utilizzata per attribuirgli una condotta omissiva neppure contestata;

d) contraddittorietà della motivazione per avere la Corte trascurato che mai il M. si era ingerito nell'organizzazione del cantiere;

e) violazione di legge penale sostanziale (artt. 42, 113 e 590 c.p. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 299) e correlato vizio di motivazione per avere i giudici di appello riformato la sentenza di primo grado facendo malgoverno del principio di effettività, posto che le indicazioni circa l'abbattimento delle opere erano state date dal geometra L., anche formalmente incaricato dal committente quale direttore tecnico in fase di esecuzione dei lavori;

f) vizio di motivazione per non avere assolto la Corte di Appello all'obbligo di motivazione rafforzata, limitandosi a fornire una ricostruzione alternativa;

g) vizio di motivazione per avere la Corte di Appello riconosciuto al Lo. il diritto al risarcimento del danno nonostante quest'ultimo avesse assunto, sia formalmente sia sostanzialmente, compiti di datore di lavoro.

5. L.V. propone ricorso per i seguenti motivi:

a) violazione di legge penale, inesistenza ed illogicità della motivazione sul punto inerente all'assenza di delega delle funzioni correlate alla sicurezza del cantiere e delle lavorazioni, essendo egli investito delle sole funzioni di direttore dei lavori con responsabilità attinenti alla normativa urbanistico-edilizia; la nomina come direttore dei lavori, attesa la sua qualifica di geometra, si estendeva ai soli lavori edili non correlati alle parti strutturali dell'edificio ed alla verifica della rispondenza di quanto in corso di realizzazione a quanto progettato;

b) violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione, sub specie del travisamento della prova, in merito alle deduzioni difensive nelle quali si rappresentava che la nomina del RSPP, così come la predisposizione di opere provvisionali (ponteggi, impalcature, ecc.) sono compiti propri del datore di lavoro e del committente; la Corte territoriale ha posto a fondamento della decisione, senza alcun vaglio critico, le dichiarazioni rese dal Lo., portatore di interessi risarcitori quale parte civile, trascurando le emergenze istruttorie, segnatamente le dichiarazioni del lavoratore B., che dimostravano come quest'ultimo rivestisse il ruolo di datore di lavoro, nonchè l'assoluta estraneità del L., in quanto tecnico progettista direttore dei lavori, nel rapporto tra committente e appaltatore, vero o presunto che fosse.


 

 

Diritto
 

 

 
1. Osserva preliminarmente il Collegio che il reato per il quale il solo imputato L. era stato condannato agli effetti penali è prescritto.

2. Si tratta di fatto commesso in data (OMISSIS). Posto che la pronuncia della sentenza di primo grado ha interrotto il decorso della prescrizione, in base al combinato disposto degli artt. 157 e 160 c.p., come vigenti a seguito della modifica intervenuta con L. n. 251 del 2005, alla data odierna (inclusi i periodi di sospensione del termine dal 16 dicembre 2014 per 57 giorni e dal 24 giugno 2011 per 60 giorni) si è compiuto il termine massimo previsto dalle norme citate.

3. Al riguardo, rilevato che il ricorso non risulta affetto da profili di inammissibilità, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito dalla Corte di Cassazione, come, in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice sia legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275). Sul punto, l'orientamento della Corte è univoco.

3.1. Coerente con questa impostazione è la uniforme giurisprudenza di legittimità che, fondandosi anche sull'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, esclude che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre all'annullamento con rinvio, possa essere rilevato dal giudice di legittimità che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato (Sez. 4, n. 14450 del 19/03/2009, Stafissi, Rv. 244001).

3.2. Nei casi in cui sia stata proposta azione civile nel processo penale, tale principio è, tuttavia, applicabile, con riferimento alla responsabilità penale dell'imputato, solo nel giudizio di primo grado, all'esito del quale il giudice non può dichiarare estinto il reato e pronunciarsi sull'azione civile (Sez. 4, n. 10471 del 1/10/1993, Conversi, Rv. 195462). Nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell'art. 578 c.p.p., è tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell'azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in esame, dal giudice di appello.

4. Con riguardo, in particolare, all'impugnazione proposta in relazione alle statuizioni civili, le posizioni dei tre ricorrenti devono essere esaminate partitamente.

5. I.M..

5.1. In linea di principio, occorre ricordare che la responsabilità del committente per gli infortuni verificatisi in occasione dei lavori commissionati non è esclusa sulla base del mero rilievo formale per cui il destinatario degli obblighi antinfortunistici è il datore di lavoro. Occorre infatti verificare, in concreto, quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonchè alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 26774401; Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Heqinni, Rv. 26497401; Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangio, Rv. 25267201; Sez. 4, n. 46515 del 19/05/2004, Fracasso, Rv. 23039801).

5.2. Ed è proprio sulla base della situazione concreta che il giudice di appello ha ritenuto che la posizione di garanzia di I.M. concernesse l'area di rischio degli obblighi gravanti sul datore di lavoro.

Il tribunale, assumendo come prova rilevante ai fini della decisione la testimonianza della stessa persona offesa Lo. e degli operai presenti nel cantiere al momento dell'infortunio ( B. e A.), nonchè la deposizione dell'Ispettore del lavoro S. in merito alle cause del cedimento della pensilina, aveva escluso che I.M., al quale l'ispettore S. aveva contestato una serie di violazioni in materia antinfortunistica, potesse qualificarsi come datore di lavoro. Essendo emerso che, in qualità di proprietario dell'edificio da ristrutturare, aveva affidato l'esecuzione dell'opera al Lo., che a sua volta aveva assunto quale vero e proprio datore di lavoro due lavoratori esperti in murature, il giudice di primo grado ha attribuito all' I. la posizione di mero committente; ne ha, quindi, escluso la responsabilità ritenendo che non fosse provata la sua ingerenza in merito allo svolgimento delle opere.

La Corte di Appello, ribaltando tale ricostruzione dei rapporti in concreto intercorsi tra l'imputato e la parte civile, ha invece considerato che tra le parti fosse stato fittiziamente istituito un rapporto di appalto, a fini fiscali, che celava un rapporto di lavoro di fatto. Tanto sulla base delle dichiarazioni dello stesso Lo., persona offesa costituita parte civile, che la Corte ha voluto fossero corroborate dal riscontro fornito dalla deposizione dell'Ispettore del lavoro S.. Quest'ultimo aveva, infatti, riferito che l'impresa ACR del Lo. non eseguiva lavori edili, occupandosi esclusivamente di lavori di rifinitura. La ricostruzione dei rapporti intercorrenti tra l' I. ed il Lo. rinvenibile nella sentenza di primo grado è stata, poi, confutata sulla base di ulteriori acquisizioni istruttorie, anche documentali: l'acquisto dei materiali con fattura intestata all' I., le responsabilità per lo smaltimento dei rifiuti da demolizione, desunte dal formulario allo stesso intestato, la segnalazione da parte dell' I. dell'inizio dei lavori all'amministrazione, la necessità per il Lo. di ottenere la collaborazione di un muratore per l'esecuzione dell'opera. I giudici dell'appello hanno affermato, con motivazione non manifestamente illogica, che per individuare le posizioni di garanzia non si potesse attribuire rilievo dirimente alla titolarità di partita IVA in capo al Lo., dovendosi piuttosto ritenere accertata la mancanza di correlazione tra i ruoli da ciascuno formalmente assunti e le condotte concretamente poste in essere.

5.3. Sulla base di tale, antitetica, ricostruzione della vicenda il ricorso proposto da I.M. risulta nel suo complesso infondato. Non corrisponde, infatti, al testo del provvedimento impugnato l'asserita qualifica di Lo.Ma. quale compartecipe nei reati di elusione della normativa antinfortunistica, avendo la Corte territoriale nettamente delineato la sua posizione di lavoratore subordinato di fatto, quindi di persona offesa avente diritto al risarcimento del danno. Nel percorso di valutazione della prova, la seconda versione dei fatti fornita dal Lo. non è stata acriticamente sovrapposta, come attendibile, alla prima; la Corte territoriale ha, infatti, dato atto dei numerosi riscontri che confermavano la tesi accusatoria, quindi la seconda versione del Lo., peraltro strettamente inerente alla sua posizione di lavoratore piuttosto che di appaltatore. L'asserita contraddittorietà della sentenza nella parte relativa alla fittizietà del rapporto di committenza tra l' I. ed il Lo. per ragioni fiscali cela una lettura parcellizzata del provvedimento impugnato, posto che i vantaggi ai quali si fa riferimento della sentenza riguardano propriamente i compensi per la prestazione di lavoro. Il quarto motivo risulta, conseguentemente, assorbito.

6. M.L..

6.1. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che l'imputato M., firmatario del progetto dei lavori e delle relazioni tecniche allegate alla richiesta dell'autorizzazione alla esecuzione delle opere, non avesse avuto alcun ruolo nella concreta esecuzione dei lavori e non avesse fornito alcuna indicazione tecnica per lo svolgimento di essi, essendo persino ignaro dell'inizio dei lavori. La lettera di dimissioni dall'incarico di direttore dei lavori che, in data (OMISSIS), egli aveva sottoscritto su sollecitazione del L., non poteva costituire, secondo il tribunale, prova del fatto che egli avesse ricoperto quel ruolo.

6.2. La Corte di Appello ha, invece, ritenuto non credibile la versione dei fatti resa da tale imputato ed ha considerato che la predetta lettera di dimissioni dimostrasse il ruolo svolto dal M.. Per la progettazione e l'esecuzione delle opere in questione doveva considerarsi necessaria ai fini della direzione lavori la nomina di un ingegnere, non essendo sufficiente la prestazione di un geometra. Il M. aveva predisposto il progetto ed i calcoli ed aveva mostrato di essere consapevole del fatto che non fosse stato nominato il responsabile per la sicurezza. L'imputato aveva omesso di indicare nel progetto, anche graficamente, la pensilina poi crollata.

6.3. Il criterio di giudizio fatto proprio dai giudici di appello risulta conforme alle risultanze istruttorie. La Corte territoriale ha, infatti, sottolineato che tale ricorrente era indicato come direttore dei lavori nella nota emessa dall'Ufficio del Genio Civile sulla base della redazione dei calcoli inoltrati a tale ufficio a nome del M. in qualità di ingegnere calcolista. Di fatto, la posizione di garanzia di tale imputato, quale titolare di una qualifica tecnica indispensabile per l'esecuzione dell'opera, è stata desunta dalla predisposizione del progetto e dei calcoli funzionali all'autorizzazione dell'opera.

6.4. I motivi di ricorso risultano infondati e possono essere esaminati congiuntamente in quanto, richiamati i parr. 5.2 e 5.3 con riguardo al ruolo del Lo. in relazione al settimo motivo, concernono sotto diversi profili la medesima questione della posizione di garanzia del M..

7. Va premesso che il progettista dei luoghi di lavoro è destinatario degli obblighi in materia antinfortunistica e dunque, nel compiere le scelte progettuali, deve tenere conto dei principi generali di prevenzione della sicurezza e della salute dei lavoratori (Sez. 4, n. 13866 del 06/02/2009, Stendardo, Rv. 24320101); su tale premessa, i giudici di appello hanno ritenuto che la posizione di garanzia di M.L. fosse provata sia in ragione della sottoscrizione del progetto e dei calcoli inviati all'Ufficio del Genio Civile, sia in ragione della lettera di dimissioni dall'incarico di direttore dei lavori che il M. aveva inviato il giorno stesso dell'infortunio.

7.1. Quanto alla mancanza di correlazione con l'accusa, giova ricordare che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv.260161).

Con riguardo ai poteri del giudice, le norme che si assumono violate sono da porre in relazione al principio enunciato dall'art. 521 c.p.p., in base al quale, ove il pubblico ministero non abbia provveduto a modificare l'imputazione, il giudice non può pronunciare sentenza per un fatto diverso da quello ivi descritto ma deve disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero. Ma la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carrelli, Rv.248051), ha affermato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti di difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza non può esaurirsi nel mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Nel ricorso, a tale proposito, non si rinviene alcuna deduzione concernente la specificazione dell'attività difensiva che sarebbe stata preclusa.

Ad ulteriore specificazione è stato affermato che, a fondamento del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, sta l'esigenza di assicurare all'imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell'imputazione. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita. Pertanto, nei limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che compone l'accusa sia sfuggito alla difesa dell'imputato, non si può parlare di mutamento del fatto e il giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini, quindi, siffatta violazione non ricorre quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza (Sez. 5, n. 2074 del 25/11/2008, dep. 20/01/2009, Fioravanti, Rv. 242351; Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata, Rv. 236099; Sez. 6, n. 34051 del 20/02/2003, Ciobanu Rv. 226796; Sez. 5, n. 7581 del 5/05/1999, Graci, Rv. 213776).

Non si può, dunque, nel caso concreto, accedere alla tesi difensiva in virtù del fatto che nel capo d'imputazione si trova contestata una serie di condotte omissive concernenti l'obbligo di "predisporre il Piano di Sicurezza", nonchè l'obbligo di "puntellare la pensilina prima della demolizione del solaio" ovvero di "eseguire la demolizione del muro portante posto al primo piano del fabbricato con ordine dall'altro verso il basso, evitando di lasciare parte del muro sospeso"; si tratta di contestazione che risulta pienamente indicativa del contenuto dell'accusa anche in relazione agli obblighi specificamente previsti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 90 e 142 in relazione alle attività proprie del progettista.

A ciò si aggiunga che il fatto, di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p., va definito come l'accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. Per fatto diverso deve, perciò, intendersi un dato empirico, fenomenico, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta, lo schema legale nel quale collocare quell'episodio della vita umana (Sez. 1, n. 28877 del 4/06/2013, Colletti, Rv. 256785; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 205619). La violazione del suddetto principio postula, quindi, una modificazione - nei suoi elementi essenziali - del fatto, inteso appunto come episodio della vita umana, originariamente contestato. Si ha, perciò, mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza quando vi sia stata un'immutazione tale da determinare uno stravolgimento dell'imputazione originaria (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).

7.2. Il principio in base al quale deve essere valutata la sentenza impugnata con riguardo alla posizione del ricorrente M.L. è quello per cui, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, nè che tale valutazione sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 256869; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 34487 del 13/06/2012, Gobbi, Rv. 253434). Dall'esame del provvedimento impugnato è agevole desumere che la Corte territoriale, riformando la sentenza di assoluzione, ha applicato la regola di giudizio, introdotta formalmente dalla L. 6 febbraio 2006, n. 46, art. 5, mediante la sostituzione dell'art. 533 c.p.p., comma 1, che impone al giudice di procedere ad un completo esame degli elementi di prova rilevanti e di argomentare adeguatamente circa le opzioni valutative della prova, giustificando, con percorsi razionali idonei, che non residuino dubbi in ordine alla responsabilità dell'imputato. Si è, infatti, affermato (Sez. 2, n. 7035 del 9/11/2012, dep. 2013, De Bartolomei, Rv. 254025) che "la previsione normativa della regola di giudizio dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio", che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato" (conf. nn. 7036, 7037, 7038, 7039, 7040/2013). La codificazione di tale principio ha assunto, nella giurisprudenza della Corte, particolare rilievo nel giudizio di legittimità circa la motivazione della sentenza di appello che abbia riformato la sentenza di assoluzione in primo grado (Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 2, n. 11883 del 8/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 2013, Andrini, Rv. 254024), anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU (Corte EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33), imponendo, in tale ipotesi, particolare rigore metodologico ed argomentativo al giudice di secondo grado. Il giudice di appello potrà, dunque, pervenire a differente esito decisorio purchè sulla base di elementi istruttori trascurati dal giudice di primo grado, in particolare mettendo in rilievo di quali elementi decisivi quest'ultimo non abbia tenuto adeguato conto, ovvero rinnovando l'istruttoria ove ritenga di non condividere la valutazione della prova operata in primo grado.

Anche alla luce di tale principio, il ricorso è infondato. Dal tenore della decisione impugnata è dato evincere, infatti, che la Corte territoriale ha fondato il differente esito decisorio valutando elementi istruttori non esaminati dal giudice di primo grado, segnatamente l'indipendenza del ruolo, dunque delle responsabilità ad esso connesse, assunto dal M. in ragione della qualifica professionale di ingegnere calcolista rispetto alla funzione di direttore dei lavori dichiarata al Genio Civile, la necessaria prestazione di un ingegnere ai fini della progettazione in area sismica, ammessa dallo stesso M., la circostanza che quest'ultimo fosse a conoscenza della mancata nomina di un responsabile della sicurezza, la mancata indicazione nel progetto della pensilina che, invece, si sarebbe dovuta evidenziare proprio in relazione all'intervento da eseguire sul solaio. Sono state, dunque, indicate le prove che i giudici di appello hanno considerato dirimenti ed idonee a confutare la decisione del primo giudice.

8. L.V..

8.1. Pacifica, e riscontrata nelle due pronunce di merito, conformi in relazione a tale ricorrente, è la posizione di garanzia assunta da L.V. quale direttore dei lavori con acclarata ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, la Corte territoriale ha esaminato criticamente la prova dichiarativa ed indicato le ragioni per le quali la testimonianza di B.A., che peraltro aveva assunto il ruolo di "mastro", non inficiasse il quadro probatorio già delineato. Il vizio di travisamento della prova, nel caso in cui i giudici delle due fasi di merito siano pervenuti a decisione conforme, può peraltro essere dedotto solo nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep.2014, Nicoli, Rv. 258432) ovvero qualora entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forme di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili (ossia in assenza di alcun discrezionale apprezzamento di merito), il riscontro della persistente infedeltà delle motivazioni dettate in entrambe le decisioni di merito (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837).

8.2. Giova ricordare che è principio interpretativo ripetuto della giurisprudenza di legittimità che, sebbene il direttore dei lavori nominato dal committente svolga normalmente un'attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di questi, egli risponde dell'infortunio subito dal lavoratore solo se sia accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Sez. 3, n. 1471 del 14/11/2013, dep. 2014, Gebbia, Rv. 25792201). La motivazione offerta dalla sentenza di primo grado, che come detto integra la pronuncia conforme emessa in grado di appello, risulta pienamente rispettosa del principio, evocato dalla difesa, che esige la prova rigorosa dell'ingerenza del direttore dei lavori nell'organizzazione del cantiere, piuttosto che nell'esecuzione dell'opera (Sez. 4, n. 29792 del 17/06/2015, Pracanica, n.m.). Il tribunale aveva, infatti, richiamato l'esito della prova dichiarativa, dalla quale era stato possibile delineare la posizione del L. quale soggetto quotidianamente presente all'interno del cantiere, al quale era riconducibile ogni decisione tanto in merito all'organizzazione quanto alle attività da svolgere.

9. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di L.V. ai soli effetti penali per intervenuta prescrizione del reato. Il ricorso di L.V. va, invece, rigettato agli effetti civili.

Al rigetto dei ricorsi proposti da I.M. e M.L. segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna di tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Tutti i ricorrenti devono, quindi, essere condannati, in solido, al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni penali nei confronti di L.V. perchè il reato è estinto per prescrizione.

Rigetta i ricorsi quanto alle statuizioni civili e condanna I.M. e M.L. al pagamento delle spese processuali.

Condanna tutti i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile, liquidate in Euro 2.500,00 oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017