Cassazione Penale, Sez. 4, 12 gennaio 2018, n. 1242 - Operaio muore travolto da un carrello elevatore.  Il capoturno non può supplire al ruolo di formatore ed informatore del lavoratore


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 23/11/2017

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 23/9/2016, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Palermo, quanto alla declaratoria di penale responsabilità di M.A., in ordine al reato di omicidio colposo, derivato da violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, del dipendente T.G.. La Corte territoriale, riformava la sentenza di primo grado limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena inflitta all'imputata, cui venivano concesse le circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza alle contestate aggravanti, in quella di anni uno mesi due di reclusione. Confermava la condanna al risarcimento del danno a carico della M.A. e del responsabile civile della soc. "Riplast srl", in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio, nonché, la condanna al pagamento di una provvisionale per ciascuna parte civile fissata nella misura di cui al dispositivo della sentenza impugnata.
2. La vicenda attiene ad un infortunio avvenuto in Favara in data 19/11/2008, nel quale perse la vita l'operaio T.G., che era alla guida di un carrello elevatore munito di benna, con l'incarico di raccogliere materiale plastico. A causa di una manovra compiuta con la benna sollevata, il lavoratore perdeva il controllo del mezzo che, ribaltandosi, lo travolgeva. La dinamica dell'infortunio risultava interamente ripresa dalle telecamere di videosorveglianza installate all'interno dell'azienda, la cui registrazione era acquisita agli atti.
Alla M.A., titolare della ditta "Riplast s.r.l.”, datore di lavoro del T.G., era contestato di avere cagionato la morte del dipendente, per colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché per colpa specifica, consistita nella violazione delle seguenti norme: artt. 18, comma 1, lett. I) e 36, comma 1, lett. a) d.lgs. 81/2008, sulla mancata formazione ed informazione dei lavoratori sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro connessi all'attività di impresa in generale; art. 71, comma 4, lett. a), n. 1), d.lgs. 81/2008, sulla mancata adozione delle misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso; art. 71, comma 7, lett. a) d.lgs. 81/2008, sulla mancata adozione delle misure necessarie affinché le attrezzature che richiedono per il loro impiego conoscenze e responsabilità particolari, in relazione ai loro rischi specifici fossero riservate ai lavoratori allo scopo incaricati, adeguatamente e specificamente formati; art. 71, comma 4, lett. a) n. 2, d.lgs. 81/2008, sulla mancata adozione delle misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero correttamente manutenute;
art. 163, commi 1, 2, 3, d.lgs. 81/2008, sulla mancata adozione della segnaletica di sicurezza; art. 18, comma 1, lett. g), d.lgs. 81/2008 sulla mancata richiesta al medico competente della osservanza degli obblighi previsti a suo carico.
In ordine alla colpa specifica, i giudici di merito escludevano i profili riguardanti la manutenzione e l'idoneità del mezzo, l'omessa visita medica e la mancata adozione di segnaletica di sicurezza, valorizzando il profilo riguardante l'omessa formazione ed informazione del dipendente.
3. Avverso la pronuncia di condanna proponeva ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore, affidando le proprie deduzioni ad un motivo unico di ricorso, in cui lamentava violazione di legge sotto il profilo della erronea applicazione della normativa penale in tema di nesso causale; erronea applicazione della normativa penale in tema di elemento soggettivo del reato; contraddittorietà della motivazione rispetto alle prove dibattimentali assunte nel giudizio.
Il motivo unico si articolava in quattro paragrafi, ciascuno contenente un separato profilo di doglianza.
Prima doglianza: erronea applicazione del giudizio controfattuale. La difesa osservava che nella manovra risultata fatale all'operaio, visibile dalla registrazione del filmato acquisito in atti, il T.G. pose in essere una serie di comportamenti imprudenti, che sarebbero stati da soli sufficienti a causare l'infortunio. La ricorrente poneva in rilievo che: il T.G., dopo avere effettuato più volte le operazioni di carico e scarico in maniera adeguata e sicura, all'atto del verificarsi dell'infortunio, procedette ad una velocità elevata; si avvicinò eccessivamente al nastro trasportatore con la benna sollevata; effettuò una repentina curva sulla destra, con una sterzata troppo stretta. Pertanto, l'incidente, era da imputarsi, eziologicamente, alla circostanza che il muletto procedette con la benna alzata la quale, spostando il baricentro del mezzo, ne provocò lo sbilanciamento.
La Corte di appello di Palermo avrebbe individuato nella non corretta formazione dell'operaio la causa che determinò l'evento, addebitando alla ricorrente tale profilo di responsabilità. Tuttavia, il giudice avrebbe trascurato di considerare taluni principi ineludibili che regolano la materia oggetto di esame.
Nei reati omissivi impropri, evidenziava la difesa, alla luce degli insegnamenti delle Sezioni Unite, il rapporto di causalità tra omissione ed evento, non può ritenersi esistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzando come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza dei decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo o avrebbe avuto luogo in epoca significamente posteriore o con minore intensità lesiva. (Sez. U. n. 30328 del 10/7/2002, Rv. 222138 Franzese).
La colpa del datore di lavoro, inoltre, doveva essere accertata in concreto, individuando la regola di condotta generica o specifica che si assume violata e, rispetto a tale regola, procedendo a verificare la prevedibilità ed evitabilità del fatto dannoso verificatosi. Ciò in quanto, per potere formalizzare l'addebito colposo, è necessario accertare la sussistenza di un rapporto di causalità materiale tra la condotta del datore di lavoro, l'evento lesivo e la sussistenza della violazione della regola cautelare prescritta nel caso concreto,
Nel caso in esame, afferma la difesa, la Corte territoriale non avrebbe individuato la specifica regola cautelare omessa, ma avrebbe individuato una regola generica (mancato obbligo di formazione), non aderente al caso concreto ed eziologicamente non collegata all'evento occorso al T.G.; non avrebbe operato il necessario giudizio controfattuale; non avrebbe effettivamente accertato se il T.G. fosse stato adeguatamente formato sulle modalità di guida del muletto e sulla pericolosità delle manovre effettuate con la benna alzata durante gli spostamenti.
Seconda doglianza: violazione di legge, ai sensi dell'art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. pen. per illogicità della sentenza e travisamento della prova con riferimento all'omessa valutazione della testimonianza del teste P.F.M..
La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare che, all'epoca dell'infortunio, non occorrevano patenti o competenze tecniche specifiche per potere guidare i muletti. Inoltre, come hanno pacificamente ammesso anche i giudici della cognizione, non vi erano obblighi di legge per la formazione dei mulettisti.
La ricorrente, in tale contesto normativo, aveva assegnato l'incombenza della formazione degli autisti al responsabile del turno, che prendeva in carico i lavoratori. Nel caso in esame, della formazione del T.G., si era occupato il capoturno P.F.M., il quale ha confermato, durante la sua testimonianza, di essere stato incaricato oralmente, dalla titolare dell'azienda, di istruire il T.G.. 
Pertanto, la formazione del lavoratore era stata correttamente eseguita ad opera del suddetto capoturno, che aveva effettuato con la persona offesa anche delle prove pratiche.
Terza doglianza: violazione di legge ai sensi dell'art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. penale. Dalle testimonianze raccolte, affermava la difesa, era emerso che tutti gli operai erano stati ammoniti di non procedere con la benna alzata ed a velocità sostenuta. La formazione era avvenuta anche nei riguardi del T.G., a cui era stato spiegato come guidare il muletto ed il significato della segnaletica presente nella cabina di guida, dove erano apposti tre adesivi con i quali si segnalavano i comportamenti corretti: allacciare le cinture, non procedere con la benna alzata; non portare passeggeri. Sul punto, sono state acquisite numerose testimonianze, di cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto. L'intero contenuto di tali testimonianze dimostrerebbe, contrariamente a quanto ritenuto dalia Corte di d'appello che l'operaio deceduto fu formato adeguatamente.
Quarta doglianza: violazione di legge ai sensi dell'art. 606 lett. c), cod. proc. pen. sotto il profilo dell'abnormità e della esorbitanza della condotta serbata dal lavoratore. Insufficienza della motivazione sotto il profilo dell'individuazione dell'elemento soggettivo del reato, della prevedibilità dell'evento e della sussistenza del rapporto di causalità. Secondo la difesa, il comportamelo tenuto dal T.G. doveva ritenersi imprevedibile e, in quanto tale, giuridicamente sufficiente ad interrompere il nesso di causalità. L'evento si sarebbe verificato per un comportamento negligente, avventato ed imprudente del lavoratore. Sul punto, il giudice, si sarebbe limitato a valutare l'abnormità del comportamento del T.G., mancando di svolgere valutazioni sull'elemento soggettivo del reato In capo all'imputata, che avrebbe considerato esistente in re ipsa, attribuendole una mera responsabilità oggettiva. Non si affronterebbe, in sentenza, l'aspetto della prevedibilità del comportamento del T.G., alla luce delle regole di comune esperienza ed in base alle circostanze del caso concreto. Non si valuterebbe l'aspetto della esorbitanza del comportamento posto in essere dall'operaio rispetto all'alea di prevedibilità entro la quale il datore di lavoro è tenuto ad intervenire.
3. Con memoria depositata in data 30/10/2017, la difesa di parte civile, ai sensi dell'art. 611, cod. proc. pen., chiedeva di rigettare le avverse deduzioni e di condannare la ricorrente ed il responsabile civile al pagamento delle spese legali in favore della parte civile.

 

Diritto

 


1. I motivi di doglianza proposti dalla difesa sono infondati e, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
2. In linea generale, la ricorrente, non senza evocare in larga misura talune censure in fatto, ha sostanzialmente ripercorso le medesime argomentazioni che aveva dedotto innanzi al giudice di appello.
In proposito si ritiene, diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, che il giudice della sentenza impugnata abbia risposto adeguatamente a tutte le questioni sollevate dalla difesa in sede di appello, oggi riproposte innanzi alla Corte, principalmente incentrate sulla critica alla mancata formazione del lavoratore e sul comportamento imprudente e negligente della vittima dell'infortunio che, in ragione dell'eccessiva velocità e dell'improprio uso del muletto, adoperato nello spostamento con la benna sollevata, avrebbe per ciò solo determinato l'infortunio occorso, con esclusione di ogni forma di responsabilità da parte della ricorrente.
Le conclusioni prospettate dalla difesa, frutto di un ragionamento che si discosta dalla corretta ricostruzione giuridica offerta dalla Corte di appello, non sono condivisibili.
3. Prendendo le mosse dalle censure riguardanti il comportamento asseritamente abnorme ed esorbitante del dipendente (contenute nell'ultimo paragrafo del motivo di ricorso), occorre rilevare come la Corte territoriale abbia correttamente escluso che la condotta del lavoratore potesse essere da sola idonea ad interrompere il nesso causale con l'evento verificatosi.
Il giudice della sentenza impugnata ha ritenuto che, nel caso in esame, fosse stato rispettato il necessario rapporto di causalità tra la condotta omissiva del garante della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo, rapporto che deve ritenersi interrotto, ai sensi dell'art. 41, comma secondo, cod. pen., solo nel caso in cui sia dimostrata l'abnormità del comportamento del lavoratore. Ha poi correttamente affermato che la condotta del lavoratore non poteva ritenersi connotata dall'abnormità, per stranezza ed imprevedibilità delle sue caratteristiche.
L'assunto del giudice d'appello è corretto e conforme ai principi più volte affermati dalla Corte di legittimità in proposito, ampiamente richiamati nella sentenza impugnata. E' orientamento costante, in materia di infortuni sul lavoro, quello in base al quale la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l'evento, quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (così ex multis, Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Rv. 236721).
Pertanto, può definirsi abnorme soltanto la condotta del lavoratore che si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e sia assolutamente estranea al processo produttivo o alle mansioni che gli siano state affidate (così, Sez. 4, n. 38850 del 23/06/2005, Rv. 232420).
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente del lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Ciò in quanto, tali disposizioni, secondo orientamento conforme della giurisprudenza di questa Corte, sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli, (così, ex multis Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Rv. 269255; Sez. 4 n. 22813 del 21/4/2015 Rv. 263497; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Rv. 232421 ).
Orbene, risulta evidente, dai principi richiamati, come non sia possibile inquadrare nell'ambito delle condotte connotate da abnormità ed esorbitanza, il comportamento serbato dal lavoratore deceduto, non essendosi realizzato, tale comportamento, in un ambito avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto e non potendosi sostenere che si trattasse di una condotta assolutamente eccentrica ed imprevedibile, come evidenziato in maniera appropriata dalla Corte territoriale. Al contrario, nel caso in esame, come ha rimarcato la sentenza impugnata, la esorbitanza ha riguardato la scelta del datore di lavoro, che aveva adibito l'operaio deceduto a mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto. Il T.G., infatti, era stato assunto dall'azienda con la qualifica di addetto alla "selezione manuale", venendo poi incaricato, di fatto, della guida del carrello elevatore, senza che fosse stato formato sull'utilizzo del veicolo.
Quanto alla prevedibilità dell'evento, è indubbio che l'applicazione del principio di colpevolezza, escluda qualunque automatismo rispetto all'addebito di responsabilità colposa a carico del garante. Sotto questo profilo, si impone la verifica, in concreto, sia della violazione, da parte del soggetto agente, della regola cautelare da osservarsi, sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, che la regola cautelare mira a prevenire, secondo il principio della cd. "concretizzazione" del rischio (così, ex multis Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, Rv. 264128).
Pertanto, l’individualizzazione della responsabilità penale, impone di verificare, non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento (aspetto che si risolve nell'accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalia violazione di una regola cautelare, ma anche se l'autore della stessa abbia potuto prevedere, con giudizio "ex ante" quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo. In tale ambito ricostruttivo, oltre all'accertamento della violazione della regola cautelare e della sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l'evento, il giudice dovrà necessariamente verificare se l'evento derivato rappresenti o meno la "concretizzazione" del rischio, che la regola cautelare mirava a prevenire e, se tale evento dannoso, fosse o meno prevedibile, da parte dell'imputato (così Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526).
Ebbene, le doglianze difensive riguardanti l'attribuzione di una responsabilità oggettiva all'imputata, nel caso in esame, appaiono, alla luce dell'analisi della sentenza Impugnata, destituite di fondamento.
Facendo corretta applicazione del ragionamento appena richiamato, i giudici di merito hanno ritenuto indubbia l'esistenza di un nesso causale tra l’inosservanza delle norme che miravano a prevenire eventi come quello verificatosi e l’accadimento mortale concretamente realizzatosi, avendo affermato, che la predisposizione di adeguati corsi di formazione dell'operaio sull'uso dei carrelli e l'impiego puntuale delle attrezzature di lavoro, con l'utilizzazione, da parte dell'operaio, della cintura di sicurezza e del casco, avrebbero potuto evitare quell'evento, quantomeno, nella forma più grave ed estrema in cui si è verificato.
In ordine alla prevedibilità delle circostanze che hanno determinato l'evento letale, i giudici di merito, affermando la non abnormità ed esorbitanza del comportamento del lavoratore ed evidenziando come l'operazione a cui era stato adibito il lavoratore rientrasse perfettamente nel complessivo ciclo produttivo della soc. "Riplast", hanno sostenuto la ragionevole prevedibilità del rischio a cui era esposto il lavoratore. D'altro canto, lo stesso rilievo difensivo riguardante la presenza nella cabina di guida, di adesivi che indicavano i comportamenti corretti da tenere alla guida, tra cui quello di non tenere la benna sollevata, rivela la esistenza di una valutazione preventiva di tale rischio.
4. In relazione alla prima doglianza, la Corte territoriale ha correttamente sostenuto che non vi è prova, agli atti, dell'avvenuta formazione del lavoratore, individuando nella violazione di tale regola cautelare una delle cause che, innestatasi sul rapporto causale, ha determinato l'evento mortale. 
Come ha illustrato il giudice di appello in sentenza, sulla base delle risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio, alle riunioni predisposte dall'azienda per la formazione dei lavoratori, il T.G., non ebbe mai a partecipare. Dal capoturno, P.F.M., l'operaio, assunto da pochi giorni, apprese i rudimenti necessari alla conduzione del muletto, ma non fu adeguatamente informato sui rischi a cui si esponeva nel suo utilizzo e istruito in maniera puntuale sulla circostanza che il veicolo, quando viaggiava con le forche sollevate, era instabile. Tali aspetti, evidenziati in sentenza dalla Corte d'Appello all'esito di una attenta disamina delle prove acquisite, sono stati considerati determinanti per il verificarsi dell'evento mortale, avendo, la Corte stessa, ipotizzato che, ove fosse stata posta in essere un'adeguata formazione dell'operaio in ordine al funzionamento del muletto, con precisa informazione dei rischi connessi al suo utilizzo, l'evento mortale, "con alto o elevato grado di credibilità razionale" non si sarebbe verificato. Con ciò, dovendosi ritenere correttamente realizzata nel ragionamento esplicitato dal giudice, la nozione di "certezza processuale", propugnata nella sentenza Franzese ove si è stabilito che:« è compito ineludibile del diritto e della conoscenza giudiziale stabilire se la postulata connessione nomologica, che forma la base per il libero convincimento del giudice, ma non esaurisce di per se stessa la verifica esplicativa del fenomeno, sia effettivamente pertinente e debba considerarsi razionalmente credibile, sì da attingere quel risultato di "certezza processuale" che, all'esito del ragionamento probatorio, sia in grado di giustificare la logica conclusione che, tenendosi l'azione doverosa omessa, il singolo evento lesivo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe inevitabilmente verificato, ma (nel quando) in epoca significativamente posteriore o (per come) con minore intensità lesiva» (così in motivazione Sez. U., n. 30328 del 10/07/2002, Rv. 222138).
In ordine all'aspetto della formazione dell'operaio è indiscutibile, come rilevato dai giudici di merito, che fosse preciso compito del datore di lavoro, provvedere all'adeguata formazione del lavoratore, che non poteva essere affidata, in modo generico ed approssimativo, alla disponibilità ed al buon senso dei dipendenti più esperti che si trovavano in azienda.
La difesa ha ricordato come le Sezioni Unite della Cassazione, nella nota sentenza Franzese, (Sez. U. n. 30328 del 10/07/2002 Rv. 222138), abbiano espresso il principio generale in base al quale «Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente dì probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva». Dal riferimento a tale principio, ha tratto spunto per sostenere che il giudice della sentenza impugnata, essendosi limitato ad una valutazione astratta della violazione addebitata alla ricorrente, non avrebbe effettuato alcun giudizio controfattuale volto a verificare, in concreto, se il rispetto della regola cautelare addebitata alla ricorrente avesse realmente impedito l'evento mortale.
Il giudizio controfattuale, tipico della categoria d'interesse dei reati colposi omissivi, serve ad accertare l'evitabilità di un evento, attraverso un ragionamento logico nell'ambito del quale, data per realizzata la regola cautelare omessa, si verifica, con giudizio ipotetico, se l'evento si sarebbe egualmente prodotto.
Ebbene, nel caso in esame, appare Infondato il denunziato difetto di giudizio controfattuale lamentato dalla difesa.
La Corte territoriale ha analiticamente descritto il succedersi degli eventi, ricostruendo con attenzione la dinamica dell'incidente e sottolineando gli aspetti critici dello svolgimento dell'attività lavorativa dell'operaio al momento dell'infortunio.
Pertanto, ha dato corso, in maniera adeguata e corretta, al cd. giudizio esplicativo, che costituisce il necessario presupposto del giudizio controfattuale (così Sez. 4, n. 23339 del 31/01/2013, Rv.256941). Sulla base del concreto svolgimento dei fatti, acquisita una conoscenza completa della dinamica dell'infortunio, ha evidenziato le regole cautelari violate, esprimendo il giudizio predittivo circa l’attitudine salvifica del comportamento doveroso che il datore di lavoro aveva mancato di attuare, consistente nella formazione del lavoratore e nell'obbligo di vigilanza.
Tutto ciò, ha indotto il giudice ad affermare, a pagina 44 della sentenza impugnata, che i comportamenti errati tenuti dalla vittima, che avevano determinato l'infortunio mortale, non si sarebbero verificati ove il datore di lavoro avesse adempiuto ai suoi obblighi di informazione, formazione e vigilanza.
Può quindi affermarsi che il giudice non si sia sottratto, in sentenza, al ragionamento controfattuale propugnato dalla difesa, con conseguente infondatezza del relativo motivo di impugnazione.
5. Parimenti infondato è il secondo profilo di doglianza, riguardante la omessa valutazione delle dichiarazioni del teste P.F.M.. La difesa lamenta, in tale paragrafo, un travisamento della prova che non è dato riscontrare dalla lettura degli atti. Occorre osservare come la ricorrente, deducendo in tale parte del ricorso un vizio logico della motivazione, ha svolto una serie di considerazioni in fatto che hanno lo scopo di prospettare una diversa ricostruzione del merito della vicenda e di evidenziare una maggiore validità delle tesi difensive. Si tratta di aspetti che non possono formare oggetto di valutazione in sede di legittimità, essendo chiaramente attinenti alla ricostruzione del fatto. Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945).
A ciò deve aggiungersi che il travisamento della prova, nel caso di cd. "doppia conforme", non è deducibile in relazione a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori, suscettibili di autonoma considerazione, comuni al primo ed al secondo grado di giudizio (così Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Rv. 269906). Ciò è avvenuto proprio nel caso in esame, avendo le sentenze dei giudici di merito valutato in modo conforme le prove assunte.
E' solo il caso di aggiungere che la Corte territoriale, diversamente da quanto asserisce la difesa, ha valutato adeguatamente il contenuto delle testimonianze raccolte nel corso del dibattimento, di cui ha riportato diversi passaggi in forma testuale, nel corpo della motivazione. Ha inoltre analizzato, in maniera precisa, la natura del rapporto esistente tra la vittima dell'infortunio ed il teste P.F.M., affermando, in modo condivisibile, che il capoturno non potesse supplire al ruolo di formatore ed informatore del lavoratore.
In proposito, il giudice d'appello, ha applicato correttamente i principi stabiliti dalla Corte di legittimità, che ha recentemente ribadito come gli obblighi di formazione ed informazione dei dipendenti, gravanti sul datore di lavoro, non possano essere surrogati dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore o dal "travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro" (così Sez. 4, n. 22147 del 11/02/2016, Rv. 266860).
Immune da censure, è l'affermazione del giudice nella parte in cui esclude che il capoturno fosse stato investito, da parte della M.A., di una delega in materia di formazione del lavoratore, in assenza di elementi indicatori tipici in questo senso, rappresentati da una formale delega scritta, dall'assegnazione di un'autonomia di poteri di programmazione, organizzazione e gestione. 
D'altro canto, come ha precisato la Corte territoriale, ammesso pure che sia intervenuta una delega orale di funzioni, la M.A. era comunque tenuta a vigilare in modo preciso sul corretto svolgimento delle funzioni trasferite (così ex multis Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Rv. 267319).
6. In ordine alla terza doglianza si osserva: la difesa sostiene che la formazione del lavoratore sia avvenuta attraverso le istruzioni impartite dal capoturno di servizio, P.F.M. ed attraverso la segnaletica presente nella vettura. La segnaletica, come ha affermato correttamente la Corte palermitana, non era sufficiente ai fini dell'esaustivo adempimento dell'obbligo imposto al datore di lavoro di formare ed informare adeguatamente i lavoratori.
La giurisprudenza di legittimità, ha più volte affermato, in proposito, che l'apposizione di segnaletica, non è sufficiente per escludere la colpa del soggetto garante e ritenere assolto l’obbligo di informazione dei lavoratori (così Sez. 4, n. 6398 del 18/01/2012, Gortani, n.m.; Sez. 4, n. 40386 del 24/11/2017, Rottigni, n.m.).
Quanto alla funzione del capoturno, la Corte territoriale ha affermato, sulla base di un'attenta disamina delle dichiarazioni dei testi assunti in dibattimento, che "I capiturno si limitavano ad indicare la segnaletica apposta sul muletto od a dare fugaci consigli, in via del tutto informale ed eventuale, al di fuori di alcuna seria programmazione." Ha quindi ritenuto, sulla base di una valutazione che non può formare oggetto di rivisitazione in sede di legittimità, che le prove raccolte non potessero consentire di ritenere che la formazione dei lavoratori si fosse adeguatamente realizzata attraverso l'intervento degli altri dipendenti dell'azienda.
La doglianza difensiva riguardante la non corretta interpretazione delle testimonianze in atti, appare comunque non fondata. La trama logica della sentenza impugnata che si dipana attraverso il fitto riferimento alle parti salienti delle testimonianze assunte, rivela la correttezza della ricostruzione offerta della Corte territoriale e la sua aderenza alle emergenze processuali.
5. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per il giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali; la condanna inoltre a rimborsare alle parti civili Omissis le spese sostenute per questo giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 23/11/2017