Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 marzo 2018, n. 5066 - Stress lavorativo e rendita per inabilità permanente. Il cd. rischio specifico improprio


 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 05/03/2018

 

 

 

Fatto

 


che con sentenza n. 163/2012, la Corte d'Appello di Brescia ha rigettato il gravame, proposto da A.P., dipendente de Il Sole 24 Ore S.p.a., contro la sentenza con la quale era stata respinta la sua domanda di condanna dell'Inail al pagamento della rendita per inabilità permanente in relazione alla malattia professionale da lei contratta a causa dello stress lavorativo dovuto ad un numero elevatissimo di ore di lavoro straordinario e consistente in un grave disturbo dell'adattamento con ansia e depressione;
che a fondamento della sentenza la Corte d'Appello, mentre confermava l'esistenza, la natura e le cause della malattia professionale denunciata dalla ricorrente (consistente appunto in un disturbo dell'adattamento e stato depressivo con attacchi di panico), sosteneva tuttavia che la malattia non sarebbe stata indennizzabile dall'Inail perché non rientrava nell'ambito del rischio assicurato ex articolo 3 T.U. 1124 del 1965 che riguardava solo le malattie professionali tabéllate o non tabéllate, contratte nell'esercizio ed a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella;
che, secondo la Corte d'appello, la malattia in discorso era correlata a scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale che non sono considerate rischio assicurato dal TU e che non risultavano suscettibili di incidere sulla determinazione del premio dell'assicurazione obbligatoria, che come in qualsiasi contratto di assicurazione, copriva, per evidenti esigenze di corrispettività, soltanto i rischi considerati;
che non era pertinente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale numero 179/1988, poiché non si trattava di garantire la copertura assicurativa a patologie che non fossero espressamente contemplate nelle tabelle allegate al testo unico, ma che fossero comunque in nesso causale con i fattori di rischio indicate dalla tabelle medesime; ma si trattava invece della domanda di tutela per una patologia il cui rischio non era coperto dall'assicurazione obbligatoria;
che la Corte territoriale riteneva perciò di dover condividere la sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato, non tanto perché fosse vincolante nell'interpretazione della normativa in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quanto perché erano condivisibili i principi di diritto sui quali essa si fondava e perché la sentenza aveva reso definitivo l'annullamento della circolare dell'Inail che aveva contemplato come malattie professionali le patologie da costrittività organizzativa, ma anche statuito l'annullamento del decreto ministeriale del 7 aprile 2004, che aveva esteso alle malattie psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro l'oggetto della assicurazione, in assenza e in contrasto con gli articoli  1 e 3 del testo unico; né, per gli stessi motivi, la Corte territoriale riteneva di poter fare applicazione del successivo decreto ministeriale del gennaio 2008 che riproponeva (gruppo 7 lista II), quali patologie a possibili cause lavorative, le medesime malattie psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro;
che contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.P. con un unico articolato motivo, illustrato da memoria, col quale denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2087 c.c., degli articoli 3 e 211 del d.p.r. numero 1124/65, dell'articolo 10, comma 4 del decreto legislativo 38/2000, dell'articolo 28 del decreto legislativo 81 del 2008, dell'Accordo Quadro Europeo dell'8/10/2004 e dell'Accordo interconfederale del 9 giugno 2008, nonché violazione dell'articolo 445 c.p.c. (in relazione all'articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c.); e lamenta inoltre l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (ex articolo 360 comma 1 numero 5 c.p.c.); e ciò per avere la Corte d'appello negato l'indennizzabilità della malattia professionale non tabellata di natura psichica dipendente dal cosiddetto stress lavorativo, anche in base al vigente D.M. gennaio 2008 non annullato dalla sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato;
che l'INAIL si è costituito in giudizio con controricorso nel quale pur sostenendo l'inammissibilità del ricorso per l'irrilevanza delle censure, contestava tuttavia la motivazione ed il decisum della sentenza del Consiglio di Stato n. 1576/2009 e della conforme interpretazione adottata dalla Corte territoriale in relazione all'articolo 3 del testo unico n. 1124/1965 nel testo formulato dopo l'arresto della Corte Costituzionale di cui alla sentenza n. 179/1988 ed in particolare per aver la Corte d'appello affermato testualmente (pag. 5 della sentenza) che fosse "da escludere che l'assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlati a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle o in disposizioni legislative o regolamentari", rigettando sulla base di tale presupposto la domanda della signora A.P.;
che il procuratore generale ha depositato in data 13.11.2017 le proprie osservazioni con le quali ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
 

 

Diritto

 


che il ricorso è fondato, risultando per contro la decisione impugnata non in linea con l'ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa da questa Corte di legittimità - cui è riservata dall'ordinamento l'esercizio della funzione di nomofilachia - al concetto di rischio tutelato ex art. 1 del TU, richiamato, ai fini delle malattie professionali, dal successivo art. 3;
che, invero, secondo un risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, in materia, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ex art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16, Cass.7313/2016, Cass. 27829/2009; Cass. 10317/2006, Cass. 16417/2005, Cass.7633/2004, Cass.3765/2004, Cass. 131/1990; Cass. 12652/1998, Cass. 10298/2000, Cass. 3363/2001, Cass. 9556/2001, Cass. 1944/2002, Cass.6894/2002, Cass.5841/2002, , Cass. 5354/2002);
che lo stesso orientamento è stato riaffermato, a proposito dell'art. 3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, situazione ritenuta meritevole di tutela ancorché, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sé e per sé considerata (come "rischio assicurato"), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell’esecuzione di un lavoro all'Interno di un determinato ambiente;
che l'evoluzione in discorso si riallaccia pure a quella registrata a livello normativo nell'ambito dell'infortunio in itinere, ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. 38/2000, il quale esclude in realtà qualsiasi rilevanza all'entità professionale del rischio o alla tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto; apprestando tutela ad un rischio generico (quello della strada) cui soggiace, in realtà, qualsiasi persona che lavori (Cass.7313/2016);
che ulteriore estensione dell'ambito della tutela assicurativa è stata realizzata sulla scorta della nozione centrale di rischio ambientale, che vale oggi a delimitare tanto oggettivamente le attività protette dall'assicurazione (lo spazio entro il quale esse si esercitano, a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina); quanto ad individuare i soggetti che sono tutelati nell'ambito dell'attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla "manualità" della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina); in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela (con riferimento al rischio ambientale, Corte Cost. 4.7.74 n.206; 9.7.1977 n.114); in tal senso questa Corte si è espressa a Sez. Unite con la pronuncia 3476/1994 rapportando la tutela assicurativa "al lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine" essendo appunto la pericolosità data dall'ambiente di lavoro;
che, ancora, nella stessa direzione muove la nota sentenza della Corte Cost. n. 179/1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma primo, del testo unico numero 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata", talché, come riconosciuto da questa Corte con sentenza n. 5577/1998, l'assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato testo unico e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro;
che, pertanto, non può essere seguita la tesi espressa dalla sentenza impugnata e secondo cui sarebbe da escludere che l'assicurazione obbligatoria possa coprire patologie che non siano correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle; posto che, al contrario, nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l'origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravissuta ai fini dell'identificazione del rischio tipico, ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU;
che tale interpretazione è oggi confermata testualmente dall'art. 10 comma 4 Legge 2000 n. 38 dal quale risulta che "sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale";
che l'approdo, cui conduce questo lungo excursus, porta ad affermare che, nell'ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del tu. 81/2008);
che, in conclusione, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabéllate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata;
che a tale ricostruzione fa altresì riscontro il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell'art.38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sé; ed è questo e non la prima l'evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. l' "oggetto della tutela dell'art. 38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela" (sentenza n.100 del 2.3.1991);
che nella stessa ottica, pertanto, non può neppure sostenersi - al contrario di quanto affermato dalla sentenza impugnata - che il premio assicurativo abbia la funzione di delimitare la tutela assicurativa a rischi precisamente individuati in base alle tabelle; assolvendo invece la precipua funzione di provvedere al finanziamento del sistema, in conformità ai requisiti costitutivi della tutela nei termini fin qui ricostruiti: "il distacco dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro da! concetto statistico-assicurativo di rischio, al quale era originariamente legata (distacco che può considerarsi compiuto con la sentenza di questa Corte numero 179 del 1988) è sollecitata da un'interpretazione dell'articolo 38, secondo comma, coordinata con l'articolo 32 della costituzione allo scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori” (ancora Corte Cost. n. 100/1991);
che sulla scorta delle precedenti considerazioni il ricorso va quindi accolto e la sentenza cassata, con rinvio della causa per un nuovo esame al giudice designato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi sopra formulati in materia di tutela della malattia professionale discendente dall'organizzazione del lavoro; e provvederà altresì alla statuizione sulle spese di questa fase del giudizio.
 

 

P.Q.M.

 


la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 14.11.2017