• Infortunio sul Lavoro
  • Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Lavoratore 
  • Dirigente e Preposto

Responsabilità del marito della titolare di un'impresa che curava lavori di rifacimento di una conduttura sotterranea per lo scarico di acque piovane, per aver effettuato, con apposita macchina escavatrice, una trincea lunga circa dieci metri, larga metri uno e trenta, profonda metri tre e sei circa nella quale, l'operaio P.G. si era introdotto ed era rimasto schiacciato dalla intervenuta frana del terreno circostante, particolarmente friabile - Sussiste.

La Corte afferma che "al momento del sinistro, l'odierno imputato era il responsabile del cantiere in cui si svolgeva l'attività del P.", che a lui doveva comunque riconoscersi la qualifica di preposto e che, "chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sullavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori ...".

Hanno, altresì, rilevato che "non è credibile che il P. sia disceso nella indicata trincea di propria iniziativa ed in maniera del tutto imprevedibile ...", ed hanno spiegato le ragioni a tale divisamento inducenti.

E, sempre in punto di responsabilità, annota la integrativa sentenza di prime cure che l'imputato, anche "nella sua qualità di manovratore dell'escavatore ..., sapeva, ha visto e si è accorto che mancava qualsiasi protezione all'interno della buca ..." e "negligentemente ha continuato nei lavori di scavo, nonostante si fosse ulteriormente accorto che il P. era all'interno, e, quindi, era prevedibile il pericolo che quest'ultimo correva".


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RIZZO Aldo Sebastian - Presidente -
Dott. MARZANO Francesco - rel. Consigliere -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. IACOPINO Silvana Giovan - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.B.A., n. in (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data 28.4.2004.
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Fraticelli Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Non comparso il difensore del ricorrente.
Osserva:
Fatto

1. Il 28 aprile 2004 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza in data 18 dicembre 2002 del Tribunale di Benevento, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, D.B.A., riconosciutegli le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, era stato condannato a pena ritenuta di giustizia per imputazione di cui all'art. 589 cod. pen..
I giudici del merito chiarivano in fatto che il D.B., marito della titolare di un'impresa che curava lavori di rifacimento di una conduttura sotterranea per lo scarico di acque piovane, aveva effettuato con apposita macchina escavatrice una trincea lunga circa dieci metri, larga metri uno e trenta, profonda metri tre e sei circa.
Ad un certo punto l'operaio P.G. si era introdotto all'interno di tale trincea ed era rimasto schiacciato dalla intervenuta frana del terreno circostante, particolarmente friabile.
Ritenevano che "non vi è dubbio che, al momento del sinistro, l'odierno imputato era il responsabile del cantiere in cui si svolgeva l'attività del P." e che, in tale qualità, non aveva provveduto all'approntamento ed alla osservanza delle prescritte norme antinfortunistiche (richiamavano, in particolare, il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13).

2. Avverso tale sentenza ha personalmente proposto ricorso l'imputato, denunziando "insufficienza e manifesta illogicità della motivazione".
Assume che, quanto alla ritenuta sua qualifica di preposto, "dagli atti del procedimento non è dato desumere alcun potere di controllo e di direttiva esercitato nei confronti del lavoratore presente sul cantiere da parte del ricorrente; che "insufficiente è la motivazione" anche "nella parte in cui la Corte contesta la tesi secondo la quale il povero P. sia sceso nello scavo di propria iniziativa ed in maniera imprevedibile ..."; che, "anche a voler attribuire al ricorrente la qualifica di preposto ...", questo, "pur se ricompreso tra i destinatari delle norme antinfortunistiche ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, ha mansioni normalmente limitate alla mera sorveglianza sull'andamento dell'attività lavorativa ..."; che "infine, palesemente contraddittoria, oltre che insufficiente, risulta la motivazione nella parte in cui, nel disattendere la tesi secondo la quale l'appellante non poteva prevedere il verificarsi della frana per le sue scarse conoscenze ..., la Corte richiama semplicemente il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13 ...".
Conclude rilevando che la sentenza impugnata non avrebbe motivato sul mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante.
 
Diritto

3. Le proposte doglianze non sono condivisibili.

In punto di responsabilità, difatti, i giudici del merito hanno dato congrua e logica contezza del percorso argomentativo seguito nel pervenire alla resa statuizione, rilevando (incensurabilmente in fatto) che, "al momento del sinistro, l'odierno imputato era il responsabile del cantiere in cui si svolgeva l'attività del P.", che a lui doveva comunque riconoscersi la qualifica di preposto e che, "chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori ...". Hanno, altresì, rilevato che "non è credibile che il P. sia disceso nella indicata trincea di propria iniziativa ed in maniera del tutto imprevedibile ...", ed hanno spiegato le ragioni a tale divisamento inducenti.
E, sempre in punto di responsabilità, annota la integrativa sentenza di prime cure che l'imputato, anche "nella sua qualità di manovratore dell'escavatore ..., sapeva, ha visto e si è accorto che mancava qualsiasi protezione all'interno della buca ..." e "negligentemente ha continuato nei lavori di scavo, nonostante si fosse ulteriormente accorto che il P. era all'interno, e, quindi, era prevedibile il pericolo che quest'ultimo correva".
Nè ha mancato la sentenza impugnata di congruamente e logicamente motivare anche in punto di trattamento sanzionatorio, ritenendo - nel legittimo esercizio del potere che al riguardo la legge riserva al giudice del merito - congruo quello irrogato, "in relazione alla estrema gravità del fatto ascritto, frutto del totale disinteresse dell'imputato nel controllo delle condizioni di sicurezza degli operai".

4. Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
 
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2009