Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 maggio 2018, n. 12325 - Danno biologico da malattia professionale. Non dimostrato l'inadempimento datoriale agli obblighi di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c..


Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: PONTERIO CARLA Data pubblicazione: 18/05/2018

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza n. 266 pubblicata il 12.4.2016, ha respinto l'appello proposto da Z.M.M. avverso la sentenza del Tribunale di Rimini di rigetto della domanda volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 29.10.07 per superamento del periodo di comporto e al risarcimento del danno biologico da malattia professionale.
2. La Corte territoriale ha ritenuto, pur a fronte della accertata natura professionale delle patologie diagnosticate alla appellante, come non fosse stato assolto da quest'ultima l'onere di allegare e dimostrare la nocività insita nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque presente nell'ambiente di lavoro, quale fattore causale delle patologie stesse. Ha sottolineato come elementi probatori utili non fossero ricavabili dagli atti del separato procedimento (proc. n. 884/2008 definito con sentenza n. 161/2012) instaurato dalla lavoratrice nei confronti dell'Inail e come nel ricorso in appello non fossero state reiterate le istanze istruttorie formulate nel ricorso introduttivo di primo grado.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la sig.ra Z.M.M., affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la Celli Holding spa (già Celli spa). La Unipolsai Assicurazioni spa è rimasta intimata.
 

 

Diritto

 


1. Col primo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art., art. 112 c.p.c. in relazione all'art.. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per avere la Corte d'appello ritenuto insussistente la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art.. 2087 c.c. nonostante la mancata devoluzione in appello di tale motivo di gravame.
2. Ha specificato come col ricorso in appello fosse stata dedotta la contraddittorietà tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza di primo grado posto che il Tribunale, attraverso il richiamo alle deposizioni testimoniali (rese nel proc. n. 884/2008 R.G.L. ed acquisite), ai documenti in atti e alle conclusioni della c.t.u. medico legale, aveva accertato l'inadempimento della società alle prescrizioni di cui all'art. 2087 c.c. ma aveva poi contraddittoriamente respinto entrambe le domande proposte.
3. Col secondo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, In relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la Corte d'appello ritenuto non provato l'Inadempimento datoriale senza esaminare le prove orali acquisite nel procedimento di primo grado (prove testimoniali e interrogatorio formale del legale rappresentante della Celli spa), In ipotesi di Inapplicabilità della regola cd. della doppia conforme per essere diverse le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo e secondo grado.
4. Col terzo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2087 e 2697 c.c., con riferimento all'art.. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d'appello ritenuto non provato l'Inadempimento datoriale e/o la nocività dell'ambiente di lavoro.
5. Col quarto motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto vizio di omessa pronuncia in violazione dell'art.. 112 c.p.c., con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per non avere la Corte territoriale esaminato alcuno del motivi svolti nel ricorso in appello, specificamente riprodotti.
6. Il primo motivo di ricorso si fonda sul presupposto logico dell'avvenuto accertamento nella sentenza di primo grado, non solo della natura professionale delle patologie diagnosticate alla lavoratrice, ma anche della responsabilità datoriale nella causazione delle stesse, per violazione dell'art. 2087 c.c.. La lavoratrice ha infatti censurato la "omessa dichiarazione in dispositivo della accertata responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.".
7. Tale presupposto è assolutamente non dimostrato. Nel ricorso in esame non sono riportate le parti della motivazione della sentenza di primo grado contenenti l'accertamento di una responsabilità datoriale per violazione dell'art. 2087 c.c. sicché il motivo appare privo di specificità. Non solo, dal punto di vista logico, il rigetto, ad opera del Tribunale, della domanda di illegittimità del licenziamento per superamento del comporto in ragione della attribuibilità delle assenze, nel periodo dal 22.2.2006 al 29.10.2007, a malattia comune ed il mancato riconoscimento di un danno differenziale (di cui si dà atto a pag. 10 del ricorso per cassazione) depongono in senso opposto a quanto preteso dalla lavoratrice. Parimenti, le conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado e riportate a pag. 11 del ricorso in esame, secondo cui le patologie da cui è affetta la sig.ra Z.M.M. sarebbero state "contratte nell'esercizio e a causa delle lavorazioni svolte con una componente tecnopatia del danno riconducibile etiologicamente al lavoro svolto", non dimostrano l'inadempimento datoriale agli obblighi di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c..
8. Peraltro, escluso che la sentenza di primo grado contenesse l'accertamento della responsabilità datoriale ai sensi dell'art. 2087 c.c. e considerate le conclusioni rassegnate dalla lavoratrice nel ricorso in appello, con cui si chiedeva, tra l'altro, di "dichiarare in dispositivo, sulla base di quanto già accertato nella motivazione della sentenza di primo grado, che la sig.ra Z.M.M. è affetta da ... le quali hanno origine professionale, in quanto contratte a causa delle mansioni svolte dalla ricorrente alle dipendenze della società Celli spa e che gli infortuni sul lavoro subiti dalla ricorrente in data 18.11.2005, 22.2.2006 e 26.5.2006 sono stati causati dall'inadempimento contrattuale della società Celli spa in violazione degli obblighi ex art. 2087 c.c.", deve escludersi qualsiasi violazione nel giudizio di appello dell'art. 112 c.p.c. risultando il tema della responsabilità datoriale oggetto di specifica devoluzione.
9. Deve al riguardo ribadirsi come, secondo l'indirizzo consolidato (cfr. Cass. n. 11455 del 2004; Cass. n. 18991 del 2003), il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione, implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, sicché tale principio deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione ("petitum" e "causa petendi"), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, elementi in alcun modo ravvisabili nella fattispecie in esame. 
10. Sotto un diverso profilo, ove si ritenesse censurata nel ricorso in cassazione l'interpretazione data dalla Corte territoriale al motivo di appello, dovrebbe, comunque, escludersi la configurabilità del vizio di cui all'art. 112 c.cp., dedotto dalla ricorrente quale error in procedendo. Questa Corte ha ripetutamente statuito (cfr. Cass. n. 8953 del 2006; Cass. n. 17451 del 2006; Cass. n. 11639 del 2004) che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata - ed era compresa nel "thema decidendum" - , tale statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella medesima motivazione. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come "error in procedendo", ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte e può concretizzare unicamente un vizio sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, nel caso di specie inammissibile secondo quanto esposto nei paragrafi che seguono.
11. Il secondo motivo di ricorso, formulato in relazione all'art.. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., deve essere dichiarato inammissibile in base a quanto disposto dall'art. 348 ter, comma quinto, c.p.c., introdotto dall'art.. 54, comma 1, lett. a) del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012.
12. Il comma quinto dell'art.. 348 ter c.p.c. prevede che la disposizione di cui al precedente comma quarto - ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 c.p.c. - si applica, fuori dei casi di cui all’art.. 348 bis, secondo comma, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (cosiddetta "doppia conforme").
13. Secondo l'orientamento consolidato, richiamato dalla stessa ricorrente, nell’ipotesi di "doppia conforme" prevista dal quinto comma dell’art.. 348 ter c.p.c., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’ad. 360 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 5528 del 2014; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n. 26774 del 2016).
14. La diversità delle ragioni di fatto poste a base delle decisioni di primo e di secondo grado è argomentata dalla ricorrente sul presupposto dell'accertamento, che si assume contenuto nella pronuncia del Tribunale, della responsabilità datoriale per violazione delle prescrizioni imposte dall'art.. 2087 c.c. a tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore e del rigetto dell'appello, al contrario, per difetto di prova dell'inadempimento datoriale agli obblighi di cui alla disposizione citata.
15. Come già detto, l'assunto dell'accertamento della responsabilità datoriale ad opera della sentenza di primo grado non trova alcun riscontro nel testo della motivazione, venendo così meno la diversità delle ragioni di fatto (esistenza o meno di una condotta inadempiente di parte datoriale all'obbligo di protezione e prevenzione) poste a base delle due decisioni, sostenuta dalla parte ricorrente al fine di escludere gli effetti della cd. doppia conforme.
16. Il motivo di ricorso in esame sarebbe inammissibile anche ove si prescindesse dalle preclusioni di cui all'art. 348 ter, comma 5, c.p.c., vertendo la censura ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, non su un fatto storico bensì sulla valutazione delle prove raccolte che si assume svolta in modo errato.
17. Secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8053 del 2014, il controllo previsto dall'art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
18. Nel caso di specie, secondo quanto si legge nel ricorso per cassazione (pag. 17), "il fatto storico che la sentenza della Corte d'appello di Bologna ha totalmente omesso di considerare è costituito sia dalle prove orali assunte nel procedimento promosso dalla ricorrente nei confronti dell'Inail... sia dall'interrogatorio formale del legale rappresentante della Celli Holding spa... sia dalla documentazione prodotta in atti, che se considerate avrebbero integrato i presupposti della responsabilità contrattuale di cui all'art. 2087 c.c.".
19. E' evidente come la censura investa l'omesso esame non di un fatto storico, inteso quale accadimento fenomenico, bensì di elementi istruttori. Peraltro, la Corte di merito a pag. 9 ha fatto esplicito riferimento all'inadempimento datoriale e alla nocività dell'ambiente di lavoro ed ha ritenuto come, dagli atti del procedimento instaurato nei confronti dell'Inail e dal materiale probatorio raccolto, non fosse ricavabile l'adibizione della lavoratrice a mansioni usuranti o, comunque, l'inosservanza da parte dell'azienda di norme precauzionali a tutela della salute, risultando peraltro la parte appellante decaduta dalla facoltà di prova per non avere riproposto nel ricorso in appello le istanze istruttorie formulate in primo grado.
20. Anche il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile. Anzitutto perché basato sulle risultanze delle prove testimoniali rese nei separato procedimento n. 884/2008, trascritte in modo non integrale, ed i cui verbali non sono stati prodotti in allegato al presente ricorso e neppure identificati attraverso l'esatta collocazione negli atti processuali. Inoltre, in quanto il motivo in esame, se pure prospettato come violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., mira a provocare una rivisitazione dell'intero materiale probatorio, non possibile in questa sede in base alla previsione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis.
21. Come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. può porsi, rispettivamente, ove il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi probatori soggetti invece a valutazione; abbia invertito gli oneri probatori. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nel motivo di ricorso in esame ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, censura consentita solo ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. nel caso di specie non operante in ragione della c.d. doppia conforme e, comunque, privo dei requisiti richiesti dal nuovo testo.
22. Il quarto motivo di ricorso è infondato atteso che i motivi di appello sono stati tutti esaminati dalla Corte territoriale che ha respinto il primo in ragione del difetto di prova dell'inadempimento datoriale e, in conseguenza di ciò, ha ritenuto assorbiti i residui motivi tutti logicamente presupponenti l'accertamento della responsabilità datoriale nella causazione delle patologie diagnosticate alla lavoratrice.
23. In base alle considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto con condanna della parte ricorrente, in base al criterio di soccombenza, alla rifusione nei confronti della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
24. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art.. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art.. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228
25. L’infondatezza del ricorso rende superflua la rinnovazione della notifica dello stesso all'intimata Unipol Assicurazioni spa nei cui confronti la notifica non si è perfezionata.
26. Come già statuito da questa S.C. (cfr. Cass. n. 15106 del 2013; Cass. n. 6826 del 2010; Cass. n. 2723 del 2010; Cass. n. 18410 del 2009), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 epe) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in
particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.
27. Da tali premesse discende che, acclarata l'infondatezza del ricorso in oggetto alla stregua delle considerazioni sopra svolte, sarebbe comunque vano disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti.
28. Nulla va disposto, conseguentemente, in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità nei confronti della società intimata.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Celli Holding spa delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
Così deciso in Roma il 10 gennaio 2018