Cassazione Penale, Sez. 4, 07 giugno 2018, n. 25846 - Sindrome compartimentale da elettrocuzione


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: COSTANTINI FRANCESCA Data Udienza: 15/03/2018

 

Fatto

 

 

 

1. Con ordinanza del 06.06.2017, la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza resa da tribunale della stessa città, in data 01.07.15, che aveva condannato L.S. alla pena di mesi due di reclusione per il reato di cui all'art. 590 commi 1 e 2 cod. pen. commesso in danno di M.M..
2. Avverso tale pronuncia ricorre la L.S., tramite il difensore di fiducia, deducendo:
- violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto che le lesioni indicate nel capo di imputazione ("lesioni personali da elettrocuzione non ancora guarite [...] con indebolimento permanente dell'organo della prensione") fossero causalmente connesse alle condotte commissive o omissive dell'odierna imputata, negando nel contempo la sussistenza del medesimo nesso in relazione alla condotta tenuta dal coimputato S. la cui posizione è stata definita con sentenza di assoluzione. Osserva la ricorrente che la corte di appello ha ritenuto la sussistenza di un nesso di causalità fra l'evento infortunistico, ovvero l'elettrocuzione, e la lesione riportata dal sig. M.M., da intendersi quale sindrome compartimentale, pur in presenza di emergenze processuali e probatorie di segno contrario. Invero, la perizia disposta su richiesta del pubblico ministero nel corso del giudizio di secondo grado in ordine alla posizione del coimputato dott. Stefano S., sanitario che aveva avuto in cura il M.M., aveva dato atto dell'impossibilità di ritenere con certezza che la malattia fosse stata conseguenza della elettrocuzione e tuttavia la Corte di Appello valutava tale prova soltanto a beneficio del medico e non a favore dell'imputata. Alla stregua di quanto affermato dai periti: a) la sindrome compartimentale è annoverabile fra gli effetti di una scossa elettrica ad alto voltaggio; b) nel caso di specie la scossa elettrica che ha attraversato il lavoratore era di 220 V; c) la sindrome compartimentale dà immediata o rapida manifestazione di sé; d) non emergono, invece, in letteratura casi di danni muscolari a distanza di tempo, salvo che con la mediazione di differenti lesioni; e) si tratta di una complicanza che si presenta assai raramente; f) la scansione temporale dei fatti è compatibile con il sopraggiungere della sindrome compartimentale, ma non lo si può affermare con sufficiente grado di certezza attesa la mancanza di accertamenti di siffatto tipo; g) ulteriore possibilità è quella della contemporanea presenza di un processo infettivo che abbia sostenuto la sindrome compartimentale, ma anche al riguardo non vi può essere una valutazione univoca. La lesione indicata nel capo di imputazione, e cioè la sindrome compartimentale, non poteva pertanto essere considerata una conseguenza certa dell'evento infortunistico riferibile all'azione o omissione dell'imputata. Per tali ragioni la motivazione della sentenza impugnata risulterebbe gravemente insufficiente nella parte in cui non spiega il motivo per cui le risultanze peritali non sono state ritenute utili ad escludere la riferibilità del fatto all'omissione dell'imputata, nonché gravemente contraddittoria nella parte in cui conferisce valore differente alla perizia considerandola sufficiente ad escludere la responsabilità del sanitario senza al contempo valutarla negli stessi termini in favore dell'imputata;
- violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto di quantificare il danno in favore delle parti civili in ragione della sindrome compartimentale riscontrata nonostante le risultanze della perizia disposta avessero accertato la dubbia riferibilità della sindrome compartimentale alla elettrocuzione. Sotto tale profilo la sentenza impugnata sarebbe viziata da erronea applicazione dei criteri di determinazione del danno e la motivazione sarebbe contraddittoria in quanto, una volta riconosciuta l'esistenza di un danno minore, indicato in perizia nella lesione nervosa conseguenza immediata della elettrocuzione, la corte avrebbe potuto determinare la quantificazione del danno in ragione di tale evento;
- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 133 cod. pen. nella parte in cui la corte territoriale non ha ritenuto di ridurre la pena inflitta in primo grado all'imputata sebbene avesse accertato un grado di colpa inferiore. In riforma della sentenza di primo grado infatti l'entità della somma riconosciuta a titolo di provvisionale in favore delle persone offese, è stata ridotta ritenendosi che alla verificazione dell'evento colposo avessero concorso, da un lato, la colpa dei sanitari intervenuti e, dall'altro, la grave imprudenza addebitabile allo stesso lavoratore infortunato. Ciò avrebbe dovuto conseguentemente imporre anche una riduzione della pena inflitta;
- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 539, 540 e 605 cod. proc. pen. nella parte in cui la corte di appello, pur in accoglimento parziale dell'appello dell'imputata, riducendo la somma liquidata a titolo di provvisionale in favore delle parti civili, ha determinato tale somma in complessivi euro 195.000,00, senza dar conto in motivazione delle ragioni di tale quantificazione;
- violazione di legge in relazione agli artt.. 521 e 522 cod. proc. pen. e art. 590 cod. pen. e violazione del diritto di difesa avendo i giudici del merito condannato l'imputata per il reato di lesioni personali colpose con violazione della normativa
antifortunistica ex art. 590, comma 3 cod. pen., pure in presenza di una contestazione ex art. 590 commi 1 e 2 cod. pen. Eccepisce il ricorrente che, pur essendo contestati nell'imputazione profili di colpa generica, in capo alla ricorrente è stata ritenuta sussistente una posizione di garanzia in quanto committente dei lavori nell'ambito dei quali si è verificato l'infortunio. Inoltre, in capo alla stessa è stato ritenuto sussistente un profilo di colpa specifico consistito nel mancato adempimento degli obblighi di cooperazione e coordinamento di cui all’art. 26 del d.lgs. 81/2008. La corte di appello, ancora, nel confermare l’impianto di condanna del tribunale, avrebbe poi individuato ulteriori profili di colpa specifica a carico della L.S.. Tutto ciò avrebbe reso la decisione totalmente difforme rispetto al fatto contestato e all'oggetto dell'accertamento nei due gradi di giudizio con conseguente violazione del diritto di difesa. Conseguentemente la pronuncia sarebbe afflitta da un difetto di motivazione nella parte in cui esclusi i profili di colpa specifici non oggetto di contestazione, ha omesso di individuare un profilo di colpa generico secondo le categorie di cui all'art. 43 cod. pen. Sotto il medesimo profilo la sentenza impugnata sarebbe altresì viziata in quanto la corte, pur avendo riconosciuto la sussistenza dell'aggravante di cui al comma 3 dell'art. 590 cod. pen., non ha al contempo fornito adeguata motivazione in merito all'adottato criterio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle aggravanti;
- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 541 cod. proc. pen., nella parte in cui la Corte di Appello ha liquidato in favore delle parti civili costituite le spese del giudizio di secondo grado, atteso che la riforma della sentenza impugnata è stata unicamente favorevole all'imputata e la conferma della responsabilità penale della stessa non consentiva alla Corte la liquidazione delle spese in sentenza 3.1 Con memoria ex art. 611 cod. proc. pen., depositata in data 27 febbraio 2018, la difesa della L.S. ha proposto un nuovo motivo di impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 192 stesso codice e 40 e 590 cod. pen. in quanto la corte avrebbe omesso di considerare l'ipotesi alternativa della riconducibilità della malattia al fatto sopravvenuto del bendaggio che era stato apposto al braccio dell'infortunato nel periodo immediatamente successivo all'evento di elettrocuzione, senza fornire sul punto adeguata motivazione.
4. Con memoria, depositata in data 13 marzo 2018, la parte civile M.M., a mezzo del proprio difensore, ha chiesto che venga dichiarata la inammissibilità del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo non coglie nel segno. Si assume l'erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto la sussistenza del nesso causale tra la condotta posta in essere dalla L.S. e l'evento lesivo escludendola invece rispetto al coimputato S., omettendo tuttavia di mettere adeguatamente a fuoco le argomentazioni poste a sostegno della pronuncia liberatoria nei confronti del S.. A ben vedere, infatti, dalla lettura delle sentenze di merito si evince che quanto riferito dal perito nominato nel corso del giudizio di appello in ordine alle cause tipiche della sindrome compartimentale non si discosta dalle conclusioni raggiunte dalle consulenze espletate nel corso del dibattimento di primo grado. Il tribunale, infatti, proprio sulla base degli elaborati tecnici, aveva già rilevato come la sindrome compartimentale da elettrocuzione fosse da considerare un evento inusuale, che comunque si sarebbe dovuta verificare in tempi molto ravvicinati all'evento e avrebbe dovuto manifestarsi con dolore acuto e forte tensione della massa muscolare, tale da rendere la parte interessata tesa, compatta, intrattabile: evenienze che invece non si erano verificate nel caso esaminato. Tali indagini di natura tecnica, inoltre, avevano riguardato espressamente la posizione del coimputato S. ed erano volte dunque esclusivamente a valutare la sua condotta quale sanitario che aveva avuto in cura il M.M., per non aver correttamente interpretato i segni clinici presentati dal paziente. Ciò premesso, gli esperti non hanno, invero, escluso che la sindrome compartimentale potesse essere derivata dalla folgorazione subita dalla persona offesa, ma si sono limitati ad affermare che il quadro lesivo non era univocamente riferibile al passaggio di corrente elettrica e permetteva di ipotizzare una lesione vascolare oppure una complicanza infettiva locale, sicché la mancata immediata diagnosi della patologia non poteva essere rimproverata al S.. Entrambi i giudici, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, non hanno conferito valore differente al medesimo dato probatorio in relazione alle posizioni dei due coimputati, atteso che non sono pervenuti ad una pronuncia liberatoria nei confronti del S. per assenza del nesso di causalità assumendo che la patologia non poteva avere trovato la sua origine nella elettrocuzione, ma si sono limitati ad escludere la ravvisabilità di profili di colpa nella sua condotta e dunque la sua rimproverabilità per non aver riconosciuto e tempestivamente diagnosticato la patologia proprio in considerazione della sua evoluzione in modo del tutto atipico e raro. Deve pertanto escludersi il denunciato vizio di travisamento della prova o eventuali profili di illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata.
2. Il secondo ed il quarto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto logicamente avvinti ed in parte coincidenti, presentano evidenti profili di inammissibilità, tenuto conto del condivisibile e consolidato indirizzo interpretativo delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte secondo il quale non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata. La pronuncia circa l'assegnazione di una provvisionale in sede penale infatti non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione deM'ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto. Ne consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (tra le altre, Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054; Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 248348).
3. Quanto al terzo motivo se ne deve rilevare l'infondatezza per genericità. Invero la corte di appello, pur avendo ritenuto di dover procedere ad una riduzione dell'entità della provvisionale posta a carico dell'imputata, in considerazione dell'eventuale coinvolgimento di altri medici e della disattenzione della parte lesa, ha precisato che tali elementi non potevano comunque ritenérsi idonei ad incidere sulla riscontrata responsabilità penale della L.S. in considerazione della omessa adozione da parte della stessa di alcun presidio antinfortunistico. Deve dunque escludersi alcuna diversa valutazione in ordine al grado della colpa della ricorrente e dunque alcun vizio della pronuncia impugnata per la conferma del trattamento sanzionatorio disposto dal primo giudice.
4. Anche il quinto motivo va rigettato. Il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in quanto, a fronte di una originaria contestazione di colpa generica, i giudici di merito avrebbero ricollegato la responsabilità della L.S. a profili di colpa specifica non contestati. Sul tema giova rammentare che, in linea generale, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'Imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'Imputazione (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051). Questa stessa Sezione ha successivamente chiarito che qualora l'evento, del quale l'imprenditore (o il responsabile della sicurezza nell’ambiente di lavoro) è chiamato a rispondere a titolo di colpa, sia eziologicamente collegato all'omissione di condotte dovute in forza della posizione di garanzia da lui rivestita, non si ha violazione del principio di correlazione fra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, quando sia rimasta inalterata la condotta omissiva, intesa come dato fattuale e storico contenuto nell'imputazione, ma sia stata, bensì, dal giudice mutata solo la fonte (normativa, regolamentare o pattizia) in base alla quale l'imprenditore era tenuto a porre in essere la condotta doverosa omessa, atteso che non può ritenersi che la fonte di imputazione dell'obbligo sia parte del fatto e che incida, perciò, nella sostanza della fattispecie concreta, intesa, questa, come accadimento storico che si inquadra nell'ipotesi astratta prevista dalla norma incriminatrice (cfr. sez. 4 n. 47365 del 10/11/2005, Codini, Rv. 233182). Pertanto, in tema di colpa per omissione, non si ha violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza quando, fermo restando il fatto storico addebitato, consistente nell'omissione del comportamento dovuto, in sentenza sia stata individuata una diversa fonte della posizione di garanzia che non abbia comunque inciso in concreto sul diritto di difesa (Sez. 4, n. 4622 del 15/12/2017 (dep. 2018), Gorini, Rv. 271948). E' stato, inoltre, affermato che non viola il principio di correlazione con l’accusa la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo a seguito di infortunio sul lavoro laddove, a fronte di una contestazione di colpa generica per omesso controllo dello stato di efficienza di una macchina per la tutela della sicurezza dei lavoratori, venga affermato la responsabilità a titolo di colpa specifica, riconducibile all’addebito di colpa generica (Sez. 3, n. 19741, del 08/04/2010, Minardi, Rv. 247171); ed ancora, che quando la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione del principio di correlazione non sussiste, essendo consentito al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata (Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007 (dep. 2007), Lanzellotti, Rv. 237469). Orbene, nella specie, non può dubitarsi che la ricorrente sia stata ritenuta responsabile proprio della condotta così come descritta nell'editto accusatorio ovvero l'omessa adozione di sistemi di prevenzione e protezione volti ad impedire il contatto di terzi con oggetti sotto tensione. La sostanza dell'accusa pertanto non è mai mutata rispetto alla descrizione dell'addebito quale contenuta in imputazione, laddove si rinviene anche uno specifico riferimento al contesto lavorativo nell'ambito del quale ebbe a verificarsi l'infortunio, si da consentire un compiuto esercizio del diritto di difesa. L'individuazione di ulteriori e specifiche fonti della posizione di garanzia, inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha poi avuto alcuna incidenza sul trattamento sanzionatorio dovendosi escludere che sia stata riconosciuta l'aggravante di cui all'art. 590 comma 3 cod. pen. Come chiaramente evincibile dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, la corte di appello ha ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante (art. 590 comma 2) irrogando una pena corrispondente alla fattispecie di lesioni semplici di cui al primo comma dell'art. 590 cod. pen.
5. Parimenti infondato deve ritenersi anche il sesto motivo con cui la ricorrente censura la avvenuta liquidazione in favore delle parti civili costituite delle spese del giudizio di secondo grado, dovendo darsi seguito al principio di diritto secondo cui l'esercizio dell'azione civile nel processo penale realizza un rapporto processuale avente per oggetto una domanda privatistica (alla restituzione o al risarcimento del danno), con la conseguenza che il regime delle spese va regolato secondo il criterio della soccombenza, di cui all'art. 91 cod. proc. civ., in base al quale l'onere delle spese va valutato, nell'ipotesi di alterne vicende nei diversi gradi del giudizio, con riferimento all'esito finale, a nulla rilevando che una parte, risultata infine soccombente, sia stata vittoriosa in qualche fase o grado (Sez. 4, n. 4497 del 15/10/1999 (dep. 2000), Barbisan, Rv. 216462).
6. Deve, infine, rilevarsi la inammissibilità del motivo nuovo di cui alla memoria depositata in data 27/02/2018. Sul punto, è sufficiente rammentare che i "motivi nuovi", consentiti ai sensi dell'art. 611 cod. proc. pen., devono comunque avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259). Infatti, la presentazione di motivi nuovi è consentita entro i limiti in cui essi investano capi o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di gravame, poiché la "novità" è riferita ai "motivi", e quindi alle ragioni che illustrano ed argomentano il gravame su singoli capi o punti della sentenza impugnata, già censurati con il ricorso (Sez. 1, n. 40932 del 26/05/2011, Califano, Rv. 251482). Il motivo dedotto, inoltre, riguarda una questione mai prospettata in precedenza e dunque non esaminata dai giudici di secondo grado sicché la rilevata inammissibilità è evidente anche sotto altro profilo non potendo, in sede di legittimità, essere proposte questioni non enunciate nei motivi di appello tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez. 2, Sentenza n. 6131 del 29/01/2016, Rv. 266202). Tale principio, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen., ha lo scopo di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non dedotto nei motivi di gravame e, conseguentemente non sottoposto al vaglio del giudice di secondo grado (Sez. 4, n.. 10611 del 04/12/2012, Rv. 256631).
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al rimborso delle spese di giudizio in favore delle costituite parti civili.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese di giudizio in favore delle parti civili Omissis, liquidati in complessivi euro 3.500,00 oltre agli accessori di legge.
Così deciso il 15 marzo 2018