Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 giugno 2018, n. 16440 - Asbestosi polmonare e aggravamento della malattia


Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 21/06/2018

 

Fatto

 


La Corte d'Appello di Napoli, con la sentenza n. 5936/2012, accoglieva l'appello proposto da B.C. e litisconsorti, quali eredi di B.A., e riformando la sentenza impugnata dichiarava che quest'ultimo era stato affetto da malattia professionale qualificata come asbestosi polmonare e presentava un'invalidità del 15% dalla data della domanda amministrativa del 10/5/2000 con conseguente diritto alla relativa rendita fino al decesso nella medesima misura percentuale.
A fondamento della sentenza la Corte sosteneva che non potesse condividersi la conclusione cui era pervenuto il primo giudice in ordine alla piena consapevolezza dell'origine professionale della malattia da parte del B.C. sin dal 1996, con conseguente prescrizione del diritto azionato con la domanda amministrativa del 10/5/2000 e successivamente con il ricorso giudiziario del 3 aprile 2003; e che, al contrario, solo dopo ulteriori accertamenti effettuati nel 2000, a seguito di un peggioramento di salute del ricorrente, fu per la prima volta formulata in forma dubitativa la diagnosi di asbestosi; ne conseguiva che del tutto tempestivamente nel maggio 2000 il B.C. presentò domanda per il riconoscimento della origine professionale della malattia. Riguardo alla percentuale della invalidità prodotta dall'asbestosi di cui era stato affetto il de cuius, la Corte sosteneva che il c.t.u. aveva indicato che essa fosse progressivamente aumentata dal 3-15% iniziale ad un 60% finale, con una media di un 15% annuo; tuttavia, per la Corte, doveva escludersi che potessero essere considerati gli aggravamenti verificatisi dopo la domanda amministrativa atteso che gli stessi sarebbero stati richiesti solo con l'atto di gravame e pertanto rappresentavano un novum inammissibile.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso B.C. e litisconsorti con due motivi di censura. L'Inail ha depositato procura in calce alla copia notificata del ricorso.
 

 

Diritto

 


1. - Con il primo motivo viene dedotto l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, la violazione dell'articolo 149 disp. att. c.p.c. e degli articoli 442 e 414 c.p.c. in relazione agli elementi della domanda, avendo la corte illegittimamente limitato il petitum ad una invalidità pari al 15% per l'intero periodo escludendo gli aggravamenti, mentre in tutti gli atti B.C. aveva chiesto genericamente il riconoscimento della malattia professionale con conseguente rendita, senza limitazione alcuna per quanto riguarda la quantificazione del grado di invalidità o della rendita; che in ogni caso, quando anche fosse stato formulata una quantificazione del grado di invalidità si verserebbe in un'ipotesi di emendatio libelli senza integrazione di alcun novum, come erroneamente indicato nella sentenza impugnata.
2. - Col secondo motivo viene dedotta la violazione dell'articolo 149 disp. att. c.p.c. e degli articoli 83, 6° comma, 146, 3° comma d.p.r. 1124/65, per aver limitato la misura della rendita nei limiti del 15% dalla domanda al decesso, nonostante il c.t.u. avesse stabilito che nel corso del procedimento amministrativo prima ed in quello giudiziario poi fossero intervenuti degli aggravamenti della invalidità nella misura del 30% dal 2011, del 45% dal 2012 e del 60% dal 1 gennaio 2003 al decesso del 9 luglio 2003.
3. - I due motivi di ricorso, i quali possono esaminarsi unitariamente per la connessione delle censure svolte, vanno accolti. Ed invero nella fattispecie è pacifico che, secondo la CTU espletata nel giudizio, la percentuale di invalidità della malattia subita dal de cuius fosse progressivamente aumentata dal 13-15% a un 60% finale, con una media di un 15% annuo; la Corte d'Appello invece ha liquidato la prestazione in relazione alla sola percentuale iniziale del 15% senza tener conto degli aggravamenti intervenuti successivamente, sostenendo che essi fossero stati inammissibilmente richiesti con una nuova domanda formulata in appello.
Così facendo, però, ha violato le norme indicate in ricorso atteso che anche per le prestazioni erogate dall'Inail (cfr. da ultimo Cass. n. 20954/2014, n. 3064/2016) si applica la disciplina dettata dall'art. 149 disp. att. c.p.c. - ispirata ad un principio di economia processuale ex art. III, primo e secondo comma, Cost. funzionale ad una sollecita risposta giudiziaria alla domanda di tutela di diritti considerati primari - in base al quale " deve essere valutato dal giudice anche l'aggravamento della malattia, nonché tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che di quello giudiziario". La stessa norma dunque non consente di qualificare come nuova la domanda intesa ad ottenere le prestazioni relative agli stessi aggravamenti verificatesi successivamente alla domanda amministrativa e nel corso del giudizio.
In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto; la sentenza deve essere cassata in parte qua, con rinvio al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Considerato l'accoglimento del
ricorso non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa in parte qua la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 aprile 2018.