Cassazione Penale, Sez. 4, 25 giugno 2018, n. 29144 - Poncho a frange della lavoratrice impigliato nell'albero motore di un telaio tessile. Mancanza di un adeguato dispositivo di protezione


Nella specie, come correttamente rilevato dalla Corte perugina, il rischio non era stato adeguatamente fronteggiato, atteso che non veniva scongiurato il rischio che il lavoratore, anche solo accidentalmente o per distrazione, potesse avvicinarsi all'albero di rotazione in movimento, essendone eventualmente trascinato in caso di incaglio. L'unico modo per evitare detto rischio era quello di approntare un dispositivo di protezione da applicarsi allo stesso macchinario, in modo da impedire l'avvicinamento alle parti in movimento, e non affidare solo a uno specifico obbligo di attivarsi del lavoratore il funzionamento in sicurezza. Tale dispositivo, si legge nella sentenza impugnata, fu introdotto però solo dopo l'incidente (a riprova del fatto che era possibile attivarsi per consentire una volta per tutte l'impiego in sicurezza del telaio), e deve ragionevolmente escludersi che, se esso fosse stato già applicato sul macchinario in uso alla L.P., l'incidente si sarebbe ugualmente verificato.


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 30/05/2018

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Perugia, con sentenza resa in data 19 giugno 2017, in parziale riforma di quella emessa in primo grado dal Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno, il 19 giugno 2013, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.F. dal reato a lui ascritto in rubrica perché estinto per maturata prescrizione, rideterminando le statuizioni civili in favore della parte civile costituita L.P..
Tanto in relazione al delitto di cui all'art. 590 cod.pen., con violazione dell'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, contestato al S.F. in riferimento a un infortunio sul lavoro occorso in Spello il 22 ottobre 2008.
L'incidente si verificava ai danni della L.P., dipendente della impresa individuale Julia Tessile, della quale il S.F. era titolare responsabile del servizio di prevenzione e protezione. La L.P. era addetta all'impiego di un telaio tessile, che aveva un albero rotante sprovvisto di protezione; essendosi costei abbassata per effettuare un intervento sul macchinario, il poncho a frange indossato dalla donna rimaneva impigliato nell'albero motore che la trascinava verso il basso, provocandone l'urto con lo sterno e con il mento, con tale violenza che le venivano diagnosticate lesioni guaribili in 220 giorni.
Al S.F. é contestato di avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di sistema di protezione atto a impedire ai lavoratori di entrare in contatto con parti in movimento, in violazione del combinato disposto degli artt. 71, comma 1 e 70, comma 2, del D.Lgs. 81/2008, nonché dell'Allegato V allo stesso decreto, prima parte, punto 6.1.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il S.F., congiuntamente al suo difensore di fiducia. Il ricorso é articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla valutazione e al travisamento del fatto e della prova per plurimi motivi.
In primo luogo, l'esponente denuncia l'abnormità del comportamento della L.P., da considerarsi imprevedibile e tale da sollevare il S.F. da responsabilità, atteso che l'avere indossato un abito decisamente controindicato per il compito cui la dipendente era stata adibita non costituiva fattore rientrante nella prevedibilità da parte del datore di lavoro, trattandosi di comportamento del tutto anomalo. Inoltre il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della motivazione, con la quale la Corte di merito ha ritenuto che un comportamento negligente e disattento come quello tenuto dalla L.P., dipendente con esperienza lavorativa pluriennale la quale aveva inopinatamente eseguito in modo errato una manovra (con macchinario in movimento), non abbia interrotto il nesso causale tra la condotta attribuita al S.F. e l'evento lesivo, in guisa tale da non potersi considerare esigibile la condotta da lui pretesa; nell'articolare il motivo in esame il ricorrente assume che la persona offesa era stata regolarmente formata e informata sui rischi presenti in azienda (ed anche sugli indumenti da indossare nell'ambiente di lavoro), attraverso apposite attività formative, in ordine alle quali hanno riferito in aula altri dipendenti della ditta; evidenzia inoltre il ricorrente che fu compiuta e riportata nel DVR e in apposito "Manuale per la formazione e l'informazione dei lavoratori" l'analisi dei rischi in azienda. Sotto altro profilo, il deducente evidenzia che alcun rimprovero poteva muoversi al S.F. in ordine al macchinario, che presentava caratteristiche che lo rendevano idoneo a fini di sicurezza, sia perché era munito di un meccanismo di arresto e di altri dispositivi di blocco, sia perché rispettava i requisiti minimi di sicurezza previsti dalla normativa vigente. Infine, l'esponente deduce che lo svolgimento dei fatti rende evidente che egli non poteva prevenire e prevedere l'accaduto, non essendo nelle condizioni di vedere la L.P. che lavorava indossando un poncho a frange.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la mancata assunzione di prova decisiva, con riferimento al mancato espletamento di una perizia o consulenza tecnica, richiesta dalla difesa dell'imputato per ricostruire l'esatta dinamica dell'infortunio.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, anche per travisamento del fatto e della prova, con riferimento all'incompletezza dell'esame degli elementi istruttori e al mancato rispetto del principio dell'affermazione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
3. All'odierna udienza é comparso altresì il difensore della parte civile, che ha chiesto che il ricorso venga rigettato e ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso é infondato, ponendosi anzi ai limiti della manifesta infondatezza, in tutti i motivi in cui esso si articola.
Quanto alla censura riferita a travisamento della prova, va ricordato che, in presenza di "doppia conforme" (come nel caso di specie), il vizio di travisamento della prova é deducibile sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez, 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837; nello stesso senso, Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014- Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014 - Rv. 258438).
Tanto premesso, é evidente che tale condizione non si é verificata: la Corte di merito ha infatti adeguatamente valutato, in più passaggi della pronunzia impugnata, la circostanza che la L.P. aveva posto in essere un'azione evidentemente improntata a negligenza e distrazione. Tuttavia la stessa circostanza, addotta dal ricorrente, che il personale era stato avvertito del rischio insito nell'indossare capi inadeguati significa che detto rischio, concretizzatosi nel caso di specie, era stato in qualche modo previsto dall'azienda (e dunque non presentava caratteristiche di eccezionalità e imprevedibilità ai fini di cui all'art. 41, comma 2, cod.pen.). Inoltre, il fatto che nel macchinario fosse presente un meccanismo di blocco (peraltro nella specie non azionatosi) e che fossero state date istruzioni ai dipendenti per impiegare la macchina in sufficienti condizioni di sicurezza non significa che in tal modo detto rischio fosse stato adeguatamente prevenuto.
Quanto alla disposizione cautelare violata, l'art. 71 D.Lgs. 81/2008 fa obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Sez. 4, sent. N. 4549 del 29/01/2013); l'allegato V, parte prima, punto 6.1, così recita: "Se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione".
Nella specie, come correttamente rilevato dalla Corte perugina, il rischio non era stato adeguatamente fronteggiato, atteso che non veniva scongiurato il rischio che il lavoratore, anche solo accidentalmente o per distrazione, potesse avvicinarsi all'albero di rotazione in movimento, essendone eventualmente trascinato in caso di incaglio. L'unico modo per evitare detto rischio era quello di approntare un dispositivo di protezione da applicarsi allo stesso macchinario, in modo da impedire l'avvicinamento alle parti in movimento, e non affidare solo a uno specifico obbligo di attivarsi del lavoratore il funzionamento in sicurezza. Tale dispositivo, si legge nella sentenza impugnata, fu introdotto però solo dopo l'incidente (a riprova del fatto che era possibile attivarsi per consentire una volta per tutte l'impiego in sicurezza del telaio), e deve ragionevolmente escludersi che, se esso fosse stato già applicato sul macchinario in uso alla L.P., l'incidente si sarebbe ugualmente verificato.
Quanto poi alle ulteriori censure mosse dal ricorrente, va ricordato che il datore di lavoro é responsabile delle lesioni occorse all'operaio in conseguenza dell'uso del macchinario, il quale, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (Sez. 4, n. 22819 del 23/04/2015, Baiguini, Rv. 263498: in motivazione la Corte ha precisato che il datore di lavoro é tenuto ad accertare la compatibilità dei dispositivi di sicurezza adottati, i quali, pur se sofisticati, potrebbero rilevarsi insufficienti in ragione delle modalità con cui la macchina é in concreto utilizzata). Orbene, il fatto stesso che subito dopo l'infortunio sia stata avvertita la necessità di corredare il macchinario con un dispositivo di maggiore sicurezza, atto a evitare che anche per mera distrazione l'operatore si avvicinasse pericolosamente all'albero di rotazione in movimento, rende evidente che il rischio poteva essere ridotto tempestivamente osservando la dovuta diligenza.
La Corte ha poi correttamente escluso che il comportamento della L.P. potesse considerarsi abnorme e idoneo a interrompere il nesso causale fra la condotta contestata al S.F. e l'evento lesivo: invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, sicché la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.
In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che é interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento é "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri).
Nella specie, é di tutta evidenza che la condotta della L.P. si inseriva invece pienamente, e in modo tutt'altro che imprevedibile o eccentrico, nell'area di rischio affidata alla gestione del S.F., nella sua qualità datoriale: da un lato perché questi, sul piano generale, era affidatario in base all'art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 della posizione di garanzia connessa alla messa a disposizione dei dipendenti di strumenti e macchinari corredati dei necessari dispositivi di sicurezza; dall'altro perché, come si é accennato poc'anzi, proprio il rischio di un utilizzo inidoneo del macchinario aveva formato oggetto di espressa previsione e di apposita informazione ai dipendenti, ancorché mediante l'individuazione di una procedura di sicurezza inidonea, per le ragioni già viste. Va aggiunto che l'inidoneità di detta procedura all'utilizzo in sicurezza della macchina era a sua volta prevedibile ed evitabile, non concretizzandosi nell'adozione di dispositivi interni al macchinario che ne condizionassero in modo automatico il funzionamento rendendolo più sicuro e meno rischioso, ma implicando un tacere da parte dell'operatore, che omettendolo avrebbe poi potuto trovarsi ugualmente esposto al rischio, come in effetti avvenne.
2. E' manifesta l'infondatezza della lagnanza contenuta nel secondo motivo di ricorso: come recentemente affermato dalla giurisprudenza a Sezioni Unite, la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all 'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A e altro, Rv. 270936). Oltretutto il ricorrente si astiene totalmente dallo spiegare, in termini specifici e comprensibili, in che cosa consisterebbe la decisività di siffatta integrazione probatoria rispetto agli elementi posti a base della ricostruzione fattuale accolta dalla sentenza impugnata.
3. E', infine, affatto generico il terzo e ultimo motivo di ricorso, non essendo dato comprendere in quali specifici termini si sia manifestata la violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Sul punto va ricordato che la regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D'Urso e altri, Rv. 270108).
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge. Così deciso in Roma il 30 maggio 2018.