Cassazione Penale, Sez. 3, 03 luglio 2018, n. 29893 - Reati ex d. lgs. 152/2006 e contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro. Sequestro dello stabilimento della società


 

Presidente: RAMACCI LUCA Relatore: SOCCI ANGELO MATTEO Data Udienza: 16/03/2018

 

Fatto

 

1. Il Tribunale di Mantova, in sede di riesame, con ordinanza del 6 aprile 2017, ha rigettato l'appello di M.C., legale rappresentante della Pico Pelli s.r.l., avverso il provvedimento di rigetto della revoca del sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Mantova del 2 marzo 2017, dello stabilimento della Pico Pelli s.r.l., relativamente ai reati di cui agli art. 256, d. lgs. 152/2006, 674 cod. pen. e contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro.
2. Ricorre per Cassazione M.C., tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
2. 1. Violazione di legge, art. 178, comma 1, lettera C, 121 e 125, cod. proc. pen. per omessa valutazione da parte del Tribunale del riesame del contenuto della memoria difensiva depositata in udienza con la quale è stata rilevata l'inutilizzabilità degli atti di indagine successivi al 28 luglio 2016, termine di scadenza delle indagini.
All'udienza del 6 aprile 2017, la difesa ha depositato memoria difensiva con la quale si è rilevato che il ricorrente era stato iscritto nel registro degli indagati in data 28 gennaio 2016, per i reati di cui agli art. 674, cod. pen. e 208-269, d. lgs. 152/2006. Conseguentemente il termine per le indagini è scaduto il 28 luglio 2016. Gli atti su cui si fonda il sequestro d'urgenza dei Carabinieri del 3 settembre 2016 sono, quindi, inutlizzabili, non essendoci proroghe delle indagini. Sono anche inutilizzabili gli esiti delle indagini svolte dai Carabinieri riportate nell'informativa 31 gennaio 2017, indagini disposte dal P.M. il 19 agosto 2016, utilizzate dal Tribunale nel provvedimento impugnato (s.i.t. del dipendente B.).
2. 2. Nullità dell'ordinanza per violazione di legge, art. 184 bis, lettera C), e 185, comma 2, lettera B), d. Lgs. 152/2006 e del D.M. 13 ottobre 2016, n. 264, sulla esclusione dei sottoprodotti dalla categoria dei rifiuti.
Il Tribunale nel rigettare l'impugnazione ha invocato il cosiddetto giudicato cautelare, affermando erroneamente che la difesa non aveva portato nuovi elementi che consentissero una diversa valutazione del fatto, ed una diversa interpretazione delle norme contestate in materia di rifiuti. La difesa invero aveva segnalato l'entrata in vigore del Decreto Ministeriale n. 264/2016, che reca criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti. Era pertanto necessaria e doverosa da parte del Tribunale del riesame una rivalutazione dell'interpretazione precedentemente data, alla fattispecie giuridica in contestazione. Inoltre, il ricorrente, ha sempre sostenuto che i prodotti trattati nella sua azienda non si dovevano considerare rifiuti, e non era, quindi, necessario richiedere I' autorizzazione di cui all'art. 256, d. lgs. 152/2006. L'art. 184 bis, d. lgs. 152/2006, infatti, specifica che non sono rifiuti rientra nella categoria dei S.O.A. i sottoprodotti che possono essere utilizzati direttamente, senza un ulteriore trattamento, diverso dalla normale pratica industriale. Nella ditta del ricorrente si svolgeva una normale pratica industriale, consistente in una cernita svolta dagli operai, senza nessuna modifica delle caratteristiche del prodotto. Conseguentemente le sostanze devono essere considerate sottoprodotti, e non rifiuti. Inoltre il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso cautelare presentato dal ricorrente, contro il provvedimento amministrativo del Comune, che aveva sospeso l'attività, proprio in considerazione della natura di sottoprodotti (e non di rifiuti) dei materiali trattati nella ditta del ricorrente. La ditta del ricorrente raccoglieva tre tipologie di SOA: 1- categoria 1 ceduti alla ditta IN.PRO.MA., che dopo un trattamento (separazione del grasso dalla farina), li destina all'incenerimento; 2- quelli di categoria 3 ceduti ad una ditta austriaca che li utilizza per la produzione di mangimi per animali; 3- pelli animali che vengono cedute per il riutilizzo.
Il Tribunale del riesame invece ha ritenuto che i SOA di categoria uno fossero da considerare comunque rifiuti poiché la ditta cessionaria di
destina all'incenerimento. Il ricorrente contesta questa interpretazione perché solo chi detiene i SOA per destinarli all'incenerimento, o per smaltirli in discarica, deve richiedere l'autorizzazione prevista per la gestione dei rifiuti. Per il Decreto Ministeriale, citato, i sottoprodotti, residui di produzione, sono sottratti alla normativa che regola la materia dei rifiuti fino a quando, chi li detiene non li destina all'incenerimento, o allo smaltimento.
2. 3. Violazione di legge, art. 125, cod. proc. pen., sulla mancanza di motivazione relativamente alla qualifica di rifiuti dei SOA di categoria 3.
La difesa aveva richiesto una revoca parziale del sequestro limitando l'attività della ditta dell'indagato alla commercializzazione dei sottoprodotti di categoria 3, destinati al riutilizzo in quanto ceduti alla ditta austriaca, per la trasformazione in concime organico e peet food. Su questa richiesta della difesa, reiterata, il provvedimento del Tribunale è privo di motivazione.
2. 4. Violazione di legge, art. 125, cod. proc. pen. per mancanza di motivazione sul pericolo di reiterazione del reato di cui all 'art. 574 cod. pen. (sulle esalazioni maleodoranti).
Il Tribunale ha rigettato la richiesta di revoca parziale del sequestro, volta alla ripresa delle attività aziendali, limitatamente ai SOA di categoria 3, sulla considerazione che comunque non sarebbe venuto meno il pericolo di protrazione sia del su indicato reato ambientale e sia di quello di cui all'art. 674, cod. pen.
La difesa aveva evidenziato, nell'atto di appello, che le esalazioni maleodoranti erano cessate dopo il sopralluogo dell'ARPA del settembre
2015, facendo riferimento alle dichiarazioni del dipendente. Gli stessi ispettori ARPA avevano rilevato, in occasione del sopralluogo del 9 giugno 2016, che la molestia olfattiva era appena percepibile, e il 12 agosto 2016 gli ispettori avevano rilevato un forte odore solo all'interno dello stabilimento. Di queste considerazioni il Tribunale non ha tenuto conto nella propria decisione, omettendo la motivazione su un punto rilevante, ovvero sulla cessazione delle esalazioni maleodoranti, dopo il primo intervento dell'ARPA e, quindi, la cessazione del pericolo di reiterazione del reato.
Ha chiesto pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso risulta inammissibile perché proposto per vizi della motivazione, con motivi generici e manifestamente infondati.
4. Sia per il sequestro preventivo e sia per il sequestro probatorio è possibile il ricorso per cassazione unicamente per motivi di violazione di legge e non per vizio di motivazione.
Nel caso in odierno giudizio i motivi di ricorso sulla sussistenza del reato risultano proposti per il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, art. 606, comma 1, lettera E, del cod. proc. pen. (sia letteralmente e sia nella valutazione sostanziale del ricorso).
Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009 - dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Nel caso in esame non ricorre una violazione di legge, e nemmeno l'apparenza della motivazione, e conseguentemente il ricorso deve ritenersi infondato.
Infatti il provvedimento impugnato contiene adeguata motivazione, non contraddittoria e non manifestamente illogica, con corretta applicazione dei principi in materia espressi da questa Corte di Cassazione, e rileva come «con l'ordinanza di riesame del 23/09/2016 era stata accertata la sussistenza del fumus del reato di cui all'art. 256, d. lgs. 152/2006 in quanto il M.C. aveva effettuato attività di cernita dei SOA di categoria 1 e li aveva ceduti alla IN.PRO.MA, società di Cuneo i possesso di autorizzazione ambientale integrata per lo smaltimento e riciclaggio di carcasse e residui animali, che li smaltiva mediante incenerimento, come risultava, oltre che dai documenti di trasporto rinvenuti presso la medesima Pico pelli e dalle s.i.t. del dipendente Gian Pietro Bolognesi, dalle stesse ammissioni contenute nella richiesta dalla difesa. Non essendo stata la decisione impugnata è quindi sceso il giudicato cautelare sulle questioni, puntualmente dedotte e trattate, della qualifica di rifiuti dei SOA di categoria 1 destinati all'incenerimento [...] e della natura di attività di gestione di rifiuti della cernita svolta dalla Pico Pelli funzionale e preliminare a tale incenerimento».
Si tratta di evidenti accertamenti di fatto, insindacabili in questa sede di legittimità. Infatti, «Le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva "endoprocessuale" riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame» (Sez. 6, n. 7375 del 03/12/2009 - dep. 24/02/2010, Bidognetti, Rv. 24602601).
Il ricorrente ritiene di aver apportato elementi nuovi, tali da incidere sull'efficacia preclusiva della precedente decisione, quali l'emanazione del D.M. n. 264/2016, che avrebbe dovuto comportare una rivalutazione della questione interpretativa dell'alt. 184 bis, d. lgs. 152/2006. Così non è, in quanto il D.M. 264/2016 non apporta modifiche alla norma, ma esclusivamente stabilisce criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o di oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti, ex art. 184, bis, comma 2, d. lgs. 152/2006.
Del resto il ricorrente affronta il problema solo teoricamente, ma non specifica perché con il D.M. citato, sarebbe cambiato il quadro normativo, tale da far revisionare la preclusione cautelare.
5. Manifestamente infondato anche l'ulteriore motivo sulla revoca parziale del sequestro, relativamente alla lavorazione dei SOA di categoria 3, in quanto il provvedimento con motivazione adeguata ed immune da manifeste illogicità e contraddizioni rileva come le lavorazioni delle pelli e dei SOA di categoria 3, potrebbero ancora comportare esalazioni moleste, rilevanti ex art. 674, cod. pen. «anche ala luce del fatto che non risultano impianti di aspirazione idonei, come rileva l'ordinanza del Comune di Pieve di Coriano del 4/02/2016».
6. Del tutto generico, e comunque manifestamente infondato è il motivo relativo all'omessa considerazione della memoria depositata all'udienza del 6 aprile 2017. Il provvedimento impugnato espressamente cita la memoria ("anche con motivi aggiunti", pag. 1), e la ritiene, unitamente al ricorso in appello, infondata. Del resto il sequestro è del 3 settembre 2016 e lo stesso deve ritenersi legittimo, anche se emesso dopo la scadenza del termine delle indagini: «Il pubblico ministero può chiedere al giudice l'applicazione del sequestro preventivo anche dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, purché tale richiesta non sia fondata sul risultato di atti di indagine compiuti dopo la scadenza del medesimo termine, in quanto la sanzione di inutilizzabilità di cui all'art. 407, comma 3, cod. proc. pen. concerne solo gli atti di indagine aventi efficacia probatoria, nel cui ambito non sono compresi i sequestri preventivi che mirano ad impedire la prosecuzione della condotta vietata» (Sez. 3, n. 27153 del 10/04/2003 - dep. 21/06/2003, PM in proc. Falduto, Rv. 22565001; vedi anche, Sez. 6, n. 17252 del 22/01/2010 - dep. 06/05/2010, De Rito, Rv. 24708101). Tutti gli atti successivi alla data del sequestro (3 settembre 2016) non sono stati certamente considerati per il sequestro.
6. L'ultimo motivo, relativo al periculum in mora risulta, generico e manifestamente infondato, in quanto l'ordinanza impugnata con analisi adeguata, e completa rileva come le circostanze di fatto (numerose irregolarità in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, omesse visite 
mediche e formazione ai lavoratori, formazione ed informazione dei lavoratori sui rischi e assenza di manutenzione delle macchine), unitamente ai precedenti penali del ricorrente (bancarotta, evasione fiscale, violenza sessuale e calunnia), comportano il concreto pericolo della reiterazione delle lavorazioni, anche per i SOA 1, poiché il ricorrente ha una spiccata incapacità «di adeguarsi spontaneamente» alle disposizioni di legge.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di € 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/03/2018