Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 luglio 2018, n. 17871 - Caduta di oggetti pesanti da un pianale e schiacciamento di una mano del dipendente delle Poste: nessun caso fortuito


 

Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: BALESTRIERI FEDERICO Data pubblicazione: 06/07/2018

 

 

 

Rilevato che

 


Con ricorso del 3.8.04, M.N. adiva il Tribunale di Bologna esponendo di aver lavorato alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., con inquadramento nell'Area Operativa sino alle dimissioni rassegnate il 2.1.03; di aver subito, in data 5.3.99, un infortunio sul lavoro con schiacciamento della mano sinistra; di avere riportato una menomazione permanente che aveva ridotto dell’ 11 -12 % la sua capacità lavorativa e determinato la sopravvenuta inidoneità a svolgere mansioni che comportassero movimentazione di materiali di peso superiore a otto-dieci chilogrammi; di essere stato assoggettato a ripetute vessazioni sino ad arrivare all'ultimo episodio consistente nella mancata comunicazione dell'esito della visita collegiale, che in data 1.10-02 lo aveva esentato dal lavoro per tre mesi, per inidoneità temporanea, reso noto quando ormai i tre mesi erano trascorsi; di avere rassegnato, a seguito di tale ultimo episodio, le proprie dimissioni per giusta causa; di avere inutilmente esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione; di avere diritto al risarcimento dei danni subiti. Tanto premesso, chiedeva di dichiarare Poste Italiane responsabile dell'infortunio sul lavoro occorsogli e di condannarla al risarcimento dei danni subiti, da liquidarsi, quanto al danno biologico, nella somma di €. 29.861,00, di cui €.23.540.00 per invalidità permanente, €. 4.214,00 per inabilità temporanea totale ed €.2.107,00 per inabilità temporanea parziale, oltre al danno morale ed ai danni alla vita di relazione, da liquidarsi in via equitativa, ed al rimborso delle spese per cure ed accertamenti, pari ad €.1.062, oltre rivalutazione monetaria ed interessi sino al soddisfo; di dichiarare che la Poste Italiane S.p.A. aveva assunto nei confronti di esso ricorrente "condotte altamente lesive della di lui integrità fisica", della sua personalità morate e dei suoi rapporti familiari e, per l'effetto, dichiarare la sussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate; di condannare la Poste Italiane s.p.a., al pagamento dell'indennità di mancato preavviso nella misura di 4 mensilità di retribuzione globale di fatto, pari all'importo di €.5.966,67 oltre rivalutazione ed interessi; di condannare Poste Italiane al risarcimento del danno ulteriore sofferto 
a seguito delle proprie dimissioni, oltre rivalutazione e interessi ed oltre al danno previdenziale, da liquidare in via equitativa, tenuto conto dell'aspettativa di vita fisica dopo il pensionamento; di condannare la Poste Italiane al risarcimento del danno biologico ed esistenziale conseguente alle condotte accertate, da liquidarsi nella misura ritenuta di giustizia ex art. 1226 c.c., oltre rivalutazione ed interessi.
Nella resistenza di Poste, il Tribunale, istruita la causa e disposta c.t.u. medico legale, con sentenza del 24.5.15, condannava Poste Italiane a corrispondere al ricorrente €.20.000,00 a titolo di risarcimento del danno per l'infortunio sul lavoro, €.1.062,09 per rimborso spese, €.5.996,67 per indennità di preavviso ed €.60.000 a titolo di risarcimento del danno esistenziale, oltre accessori.
Avverso tale decisione proponeva appello Poste Italiane; resisteva il M.N. proponendo appello incidentale in ordine alla insufficiente liquidazione del danno.
Con sentenza depositata il 12.7.12, la Corte d'appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza impugnata respingeva la domanda di risarcimento del danno di carattere esistenziale, respingendo altresì l'appello incidentale.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il M.N., affidato a due motivi, cui resiste Poste con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi, cui resiste il M.N. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
 

 

 

 

Considerato che
con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 2059 e 2087 cod. civ. nonché degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697, 2727 e 2729 c.c., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione circa fatti decisivi della controversia (sulla allegazione e prova del danno 'esistenziale').
Evidenzia che alle pagine 22 e 23 della sentenza impugnata, la corte di merito aveva affermato che che "il ricorrente non aveva allegato e quindi provato precisi elementi dalla cui complessiva valutazione potere, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno attraverso il ricorso, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza di cui avvalersi nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove".
Lamenta in sostanza un malgoverno delle risultanze istruttorie, di cui riporta a sostegno diversi brani di deposizioni testimoniali, da parte della sentenza impugnata, indicanti il 'disagio esistenziale' del lavoratore.
Il motivo è inammissibile.
Deve infatti considerarsi che il controllo di logicità del giudizio di fatto, ivi compreso quello inerente l'interpretazione degli atti negoziali e quello denunciato sub violazione dell'art. 115 e\o 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 24434\16, Cass. n.l5205\14, Cass. n. 12227\13), consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se - confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie - prendesse d'ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso "sub specie" di omesso esame di un punto decisivo. Del resto, il citato art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394; Cass.5 maggio 2010 n.10833, Cass. sez.un. n.24148\13, Cass. n.l5205\14, Cass. n. 8008\14). Nella specie la corte di merito ha congruamente motivato circa la carenza di prova in ordine all'ulteriore danno lamentato, cui il ricorrente si limita inammissibilmente ad opporre una diversa valutazione dei fatti.
2. - Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione degli artt. 2059 e 2087 c.c., oltre che degli artt. 61, 115 e 116 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficiente motivazione circa fatti decisivi della controversia (circa la valutazione delle risultanze della c.t.u. in merito al dedotto danno esistenziale).
Anche tale motivo è inammissibile avendo ad oggetto la valutazione delle risultanze della c.t.u., adeguatamente esaminate dalla corte di merito, in assenza peraltro del deposito della medesima c.t.u., in contrasto con l'art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c.
3. - Parimenti inammissibile è la doglianza secondo cui la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare una precedente sentenza resa ínter partes in argomento, non risultando quest'ultima adeguatamente specificata nel suo contenuto e depositata in base al citato precetto processuale.
4. -Venendo all'esame del ricorso incidentale si osserva.
Con i due motivi Poste denuncia la violazione dell'art. 2087 c.c., nonché omessa e\o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la corte di merito riconosciuto il diritto del M.N. al risarcimento del danno da infortunio sul lavoro, escludendo l'imputabilità dello stesso a caso fortuito e violando il principio della insussistenza di una responsabilità oggettiva del datore di lavoro in caso di infortunio sul lavoro.
I motivi sono infondati avendo la sentenza impugnata adeguatamente accertato la riconducibilità dell'infortunio (causato dalla caduta di diversi oggetti in legno da un bancale) a colpa dell'azienda e l'assenza di prova circa il fortuito o comportamento abnorme del lavoratore.
Il ragionamento della sentenza impugnata risulta logico e congruamente motivato, non potendo del resto ritenersi che la caduta di oggetti pesanti da un pianale, di proprietà e pertinenza dell'azienda, sia riconducibile ad un caso fortuito.
4.- Anche il ricorso incidentale deve essere pertanto rigettato.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte rigetta entrambi ricorsi e compensa le spese di lite. Ai sensi dell'alt. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale ed incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13. .
Roma, così deciso nella Adunanza camerale del 20 marzo 2018