Cassazione Penale, Sez. 3, 10 luglio 2018, n. 31386 - Lavoratori irregolari nel centro estetico: omessa sospensione dell'attività


 

Presidente: DI NICOLA VITO Relatore: CERRONI CLAUDIO Data Udienza: 27/04/2018

 

Fatto

 


1. Il Tribunale di Belluno, con sentenza del 14/3/2017 ha affermato la responsabilità penale di A.R., che condannava alla pena dell'ammenda, per la contravvenzione prevista e punita dall'art. 14, comma 10 d.lgs. 81/2008, perché, quale titolare di un centro estetico, non ottemperava al provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale adottato dalla Direzione Territoriale del lavoro in data 3/5/2012 per l'accertato impiego di lavoratori irregolari (in Belluno, dal settembre 2013 al maggio 2014).
Avverso tale pronuncia la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Osserva, a tale proposito, che sulla base delle risultanze processuali e della documentazione prodotta in giudizio e della quale il giudice non avrebbe tenuto conto, risulterebbe che ella avrebbe cessato l’attività, adempiendo alle rituali comunicazioni e solo successivamente l'avrebbe ripresa, facendo affidamento sulla legittimità del proprio operato, dal momento che il lavoratore asseritamente irregolare non era più presente.
Tale stato di cose, pertanto, avrebbe dovuto portare il Tribunale ad escludere il dolo e finanche la colpa.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la mancata applicazione, a fronte di specifica richiesta, della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto evidenziando l'assenza di motivazione sul punto nel provvedimento impugnato.
4. Con un terzo motivo di ricorso censura, infine, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
 

 



Diritto

 

 

 

1. . Il ricorso è in parte fondato, per le ragioni di seguito specificate.

 

2. L'art. 14, comma 10 d.lgs. 81/2008 stabilisce che il datore di lavoro, il quale non ottempera al provvedimento di sospensione di cui al medesimo articolo, è punito con l'arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.
Il provvedimento di sospensione, disciplinato dai commi 1 e 2 della menzionata disposizione normativa, può essere revocato da parte dell'organo di vigilanza che lo ha adottato a determinate condizioni (comma 3 e ss.) e può essere impugnato mediante ricorso (comma 9).
3. Nel caso di specie, secondo quanto accertato nel corso dell'istruzione dibattimentale sulla base della documentazione acquisita e delle dichiarazioni rese dai testi escussi, la ricorrente era stata destinataria di un ordine di sospensione al quale, come emerso in occasione di un successivo controlo, non aveva ottemperato, dal momento che l'attività era in corso sotto diverso nome, sebbene riconducibile alla ricorrente quanto a codice fiscale e partita IVA, risultando identici timbro e scontrino fiscale.
La sentenza dà altresì espressamente atto della assenza di provvedimenti di revoca e non fa menzione di eventuali ricorsi avverso il procedimento di sospensione.
Il Tribunale evidenzia, inoltre, come l'imputata non abbia negato i fatti limitandosi a fornire al giudice del merito una diversa lettura degli stessi, sostenendo di avere effettivamente sospeso l'attività e di averla ripresa dopo circa un anno.

 

Quanto evidenziato in fatto nella sentenza impugnata non viene sostanzialmente negato, limitandosi la ricorrente a sostenere, richiamando vari documenti agli atti che, però, non possono essere oggetto di disamina nel giudizio di legittimità, di aver agito nella convinzione di poter legittimamente riprendere la propria attività.
Una simile affermazione, tuttavia, non assume rilievo a fronte di una inequivoca disciplina delle modalità di applicazione, impugnazione e revoca della sospensione dell'attività, che la ricorrente, in ragione del contesto professionale nel quale era inserita, non poteva ignorare e rispetto alla quale era comunque soggetta ad uno specifico onere di informazione.
Emerge peraltro, anche dalla ricostruzione dei fatti riportata in ricorso, che il provvedimento emesso ed i suoi contenuti erano ben noti alla destinataria.
Il primo motivo di ricorso è, dunque, infondato.
2. A conclusioni diverse deve invece pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso, poiché a fronte di una specifica richiesta, in sede di discussione, di applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il giudice di merito non ha fornito risposta, neppure implicita.
Invero, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare che l’assenza dei presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto può essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016 Scopazzo, Rv. 268499).
Riconosciuta preliminarmente l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dalla disposizione codicistica all’esito del giudizio di merito e richiamati i principi generali cui deve conformarsi il giudice nel valutare la sussistenza dei presupposti che delineano l’ambito di operatività dell’art. 131 -bis cod.pen., la richiamata decisione ha posto in evidenza la possibilità, per il giudice, di indicare dati fattuali implicitamente dimostrativi della insussistenza dei necessari requisiti della tenuità dell'offesa e della non abitualità della condotta richiesti per l’applicazione della causa di non punibilità, escludendo, conseguentemente, il dedotto vizio di motivazione.
Va altresì evidenziato che, in altra occasione, sono stati ritenuti rilevanti, ai fini della implicita esclusione dei presupposti per l’applicabilità dell'art 131-bis cod.pen., l'irrogazione di una pena in misura superiore al minimo (rilevando, peraltro, che la fattispecie concreta avrebbe richiesto finanche un più severo trattamento sanzionatorio) ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto dimostrativi di una valutazione che esclude a priori ogni successiva valutazione in termini di particolare tenuità dell’offesa (Sez. 5,
24/6/2015, Lembo, Rv. 265317. V. anche Sez. 3, n. 24358 del 14/5/2(015, Ferretti e altri, Rv. 264109).
Altre pronunce, invece, hanno posto in evidenza l’assenza di effetti preclusivi al riconoscimento della particolare tenuità del fatto nella presenza di un precedente penale, ancorché considerato ai fini di una non favorevole prognosi di non recidività, osservando che il giudizio sotteso alla sospensione condizionale della pena e quello concernente la particolare tenuità del fatto possono avere in concreto punti di coincidenza - come quando ricorra una recidiva specifica - ma in linea teorica non si identificano e vanno tenuti distinti anche sul piano motivazionale (Sez 4 n. 7905 del 7/1/2016, Vinci, Rv. 266065).
Ad analoghe conclusioni si è pervenuti con riferimento all’applicazione di una pena superiore al minimo edittale, quando la quantificazione della stessa sia solo conseguenza della presenza di precedenti penali in capo all’imputato (Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016 (dep. 2017), Sacco, Rv. 270948) ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche per la rilevata presenza di numerosi precedenti penali, quando la pena sia stata comunque applicata nel minimo editale (Sez. 5, n 45533 del 22/7/2016, Bianchini, Rv. 268307).
Sempre con riferimento alla pena, la quantificazione della stessa nel minimo edittale è stata ritenuta non determinante, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità in presenza di una rilevante offesa al bene giuridico tutelato dalla norma violata (Sez. F, n. 36500 del 13/8/2015, Greco, Rv. 264703. V. anche Sez. 6, n. 44417 del 22/10/2015, Errfiki, Rv. 265065), mentre è stata ritenuta preclusiva dell’applicazione la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 1, cod. pen. (Sez. 5, n. 24780 del 8/3/2017, Tempera, Rv. 270033).
Ciò posto, osserva il Collegio che, dal complesso delle pronunce appena ricordate, la possibilità della motivazione implicita del diniego della causa di non punibilità di cui all'art. 131 -bis cod. pen. è stata, in maniera del tutto condivisibile, pacificamente ammessa tanto con riferimento ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, che tale norma ha introdotto nel codice penale, quanto per i procedimenti nei quali vi è una richiesta espressa al giudice del merito di valutazione dei presupposti per l'applicabilità della stessa.
Tale valutazione, tuttavia, si basa su dati obiettivamente preclusivi di una valutazione di particolare tenuità del fatto, avendo le menzionate pronunce giustamente escluso i casi in cui l’apprezzamento del giudice riguardi di per sé non univocamente significativi.
Invero, posto che la rispondenza ai limiti di pena indicati dalla norma costituisce solo la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità, essendo infatti richiesti (congiuntamente e non alternativamente, come si ricava dal tenore letterale della disposizione) gli "indici criteri" della particolare tenuità dell'offesa e della non abitualità del comportamento, il primo dei quali si articola, a sua volta, nei due «indici-requisiti», della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, apprezzate ai sensi dell'articolo 133 cod. pen., è evidente che, nel considerare la sussistenza o meno di una implicita motivazione, ad essi dovrà farsi riferimento, verificando se, nella motivazione del provvedimento, il giudice abbia comunque espresso un giudizio negativo tale da far escludere che possa rinvenirsi, nella fattispecie sottoposta al suo esame, un comportamento che, sebbene non inoffensivo, in presenza dei presupposti normativamente indicati, modesto rilievo da non ritenersi meritevole di ulteriore considerazione in sede penale.
Quando ciò avviene, risulta superflua, ad avviso del Collegio, una specifica pronuncia sul punto, così come deve ritenersi del tutto adeguata la motivazione espressa che valorizzi l'assenza anche di uno solo dei requisiti richiesti dall'art. 131 bis cod. pen.
3. Nel caso di specie, invece, il Tribunale, pur avendo descritto nel dettaglio la condotta posta in essere dall’imputata ed applicato una pena superiore al minimo edittale, che si è limitato a definire "congrua", non ha indicato altri elementi dai quali potesse ritenersi almeno implicitamente esclusa la minima offensività della condotta richiesta per l'applicazione della richiamata norma codicistica

 

4. Per quanto riguarda, infine, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui al terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, dalle conclusioni della difesa riportate in sentenza non risulta che vi sia stata espressa richiesta in tal senso nel giudizio di merito, sicché non incombeva  sul Tribunale alcun onere di motivazione
Invero, si è già affermato come il giudice di merito non sia tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né sia obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, escudendo anche che possa ritenersi equivalente la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti (Sez.3, n. 6726 del 22.11.2017 (dep. 2018), Triolo, non massimata; Sez. 3, n. 11539 del 8.1.2014, Mammola, Rv. 258696; Sez. 1, n. 6943 del 18/1/1990, Angora, Rv. 184311; Sez. 2, n. 2344 del 13/7/1987 (dep. 1988), Trocarico, Rv. 177678;Sez. 3, n. 1912 del 28/01/1986 - dep. 08/03/1986, Pancione, Rv. 172044).
Tale principio è pienamente condiviso dal Collegio ed allo stesso deve pertanto essere assicurata continuità.
5. Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla carenza motivazionale riscontrata con riferimento al secondo motivo di ricorso, mentre il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto, con conseguente irrevocabilità della sentenza medesima quanto all'affermazione di responsabilità per il reato contestato.

 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’eventuale riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen. e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Belluno.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara l'irrevocabilità della sentenza quanto all'affermazione di responsabilità. Così deciso in data 27/4/2018