Tribunale di Verona Sez. Lav., ud. 21 aprile 2016 - Attrezzatura inidonea per le operazioni di sollevamento


 

 

Udienza del 20/04/2016 Sono comparsi per la parte ricorrente l'avv. C. Per le parti convenute l'avv. M.. Per il terzo intervenuto volontariamente l'avv. F. B.. I procuratori delle parti discutono la causa e concludono come in atti. Il Giudice si ritira in Camera di Consiglio e all'esito pronuncia sentenza mediante pubblica lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. Il Giudice Dott. Michele Maria Benini.
 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

TRIBUNALE DI VERONA

 

Sezione lavoro
 

 

Il Giudice, dott. Michele Maria Benini, all'udienza del giorno 21 aprile 2016 ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione, la seguente
 

 

SENTENZA
 

 

nella causa n. X/2014 RCL promossa con il ricorso depositato il 20 febbraio 2014 da INAIL (C.F. ), con il patrocinio dell'avv. C. D., elettivamente domiciliato in VERONA presso il difensore avv. C. D. Contro I. SRL (C.F. ), con il patrocinio dell'avv. M. F., elettivamente domiciliata in VERONA presso il difensore avv. M. F. G. P. (C.F. ), con il patrocinio dell'avv. M.F., elettivamente domiciliato in VERONA presso il difensore avv. M. F. con l'intervento volontario di C. A. SPA (ora A. A. SPA) con il patrocinio dell'avv. F. F. B., elettivamente domiciliata in VERONA presso il difensore avv. F. F. B.
 

 

FattoDiritto
 

 

Nella presente sentenza questo Tribunale si limiterà ad una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, omettendo di dar conto dello svolgimento del processo, in forza della nuova formulazione degli artt. 132 comma 2 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. così come “novellati” dalla legge 18.6.2009 n. 69. In rito l'INAIL ha contestato l'ammissibilità dell'intervento della C. A. spa (ora A. A. spa) in quanto in violazione dell'art. 419 c.p.c. L'intervento sarebbe pertanto tardivo e non sanabile neppure nel caso in cui le altre parti avessero accettato il contraddittorio. L'assunto non è condivisibile. L'art. 419 c.p.c. nel disciplinare le modalità dell'intervento volontario fa riferimento agli artt. 414 e 416 c.p.c. Devono trovare allora applicazione i principi in materia di costituzione tardiva del convenuto. A tale riguardo deve osservarsi che ai sensi dell'art. 416 c.p.c. la costituzione del convenuto oltre il decimo giorno antecedente l'udienza di discussione non è inammissibile ma comporta soltanto la decadenza dalle eventuali domande riconvenzionali e dalle eccezioni processuali e di merito in senso proprio. Rimangono senza ombra di dubbio alcuno al di fuori dell'ambito di applicabilità del divieto di cui all'art. 416 c.p.c. le mere difese come quelle che C. A. (ora A. A. spa) ha sollevato nel presente giudizio. Deve inoltre osservarsi che, nel costituirsi in giudizio, la società I. srl aveva espressamente avanzato l'istanza di autorizzazione alla chiamata in garanzia della società di assicurazione (al tempo denominata C. A. spa) onde tenere indenne e manlevare la società I. srl delle somme che questa fosse stata tenuta a corrispondere ad ogni titolo in favore dell'INAIL. A detta istanza non è stato dato formalmente seguito soltanto per il fatto che all'udienza di prima comparizione delle parti le parti convenute avevano dato atto che era in corso la trattazione del sinistro con la società C. A.. La causa era stata pertanto rinviata al fine di consentire alle parti di addivenire ad una eventuale conciliazione (facendo espressamente salva la chiamata in causa della Compagnia assicuratrice). Il ricorso è fondato e deve essere, pertanto, accolto. Occorre innanzitutto  ricordare, sia pure a grandi linee, quali sono i criteri di commisurazione del c.d. obbligo di sicurezza, gravante sul datore di lavoro e sui suoi preposti e quindi l'ambito della relativa responsabilità dell'imprenditore, quali desumibili dall'art. 2087 c.c. E' evidente, dallo stesso tenore letterale e dall'inquadramento sistematico della norma, che dalla previsione normativa dell'obbligo di predisporre le “misure ... necessarie” alla tutela dell'integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro deriva un ampliamento della responsabilità del datore di lavoro in quanto l'adempimento del c.d. obbligo di sicurezza non potrà dirsi assolto convenientemente quando siano state osservate soltanto le precauzioni imposte da specifiche disposizioni di legge o regolamentari. E' già stato infatti esattamente sostenuto che l'imprenditore, per poter andare indenne da responsabilità, deve dimostrare di aver adottato tutte le misure atte a conseguire efficacemente le finalità protettive avute di mira dalla norma, anche al di là delle misure di protezione e dei limiti espressamente previsti dalla legislazione in materia; incombendo quindi sul datore di lavoro l'obbligo di realizzare, come è stato efficacemente detto, non soltanto le misure di sicurezza “tipiche” ma ogni altra misura anche “atipica” concretamente rispondente alle esigenze protettive del momento. E' tuttavia evidente che, nel momento in cui siano ravvisabili inosservanze a specifiche disposizioni di legge, la violazione del c.d. dovere di sicurezza non può che ritenersi macroscopica. Nel costituirsi nel presente giudizio parte convenuta e terzo intervenuto volontariamente non hanno contestato in maniera specifica le modalità con cui l'infortunio è capitato. Le parti convenute hanno contestato soltanto il “quantum debeatur”. La terza chiamata in causa ha eccepito la carenza di legittimazione attiva dell'INAIL in quanto l'Istituto avrebbe dovuto promuovere non una azione di regresso ma una azione in surroga, contestando inoltre la quantificazione del danno in quanto a suo avviso eccessiva nel suo ammontare. La terza chiamata in causa ha eccepito il difetto di legittimazione attiva dell'INAIL in quanto la società I. srl non sarebbe stata la datrice di lavoro dell'operaio infortunato M. G.. Sostiene la terza chiamata che al momento dell'infortunio M., dipendente della ditta X, si era recato presso la sede della I. srl al fine di eseguire alcuni lavori che la stessa I. aveva commissionato alla X. Ravvisando una responsabilità a carico di I. srl e di P. G. nella causazione dell'evento, l'INAIL avrebbe dovuto agire utilizzando l'azione in via surrogatoria ex art. 1916 c.c. e non l'azione di regresso diretta.

Non è in contestazione tra le parti il fatto che M. G. all'epoca dell'infortunio era formalmente alle dipendenze della ditta X. Ai sensi degli artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124 del 1965 all'INAIL è tuttavia riconosciuta l'azione di regresso nei confronti di tutti coloro che, nell'ambito del rischio tutelato, abbiano commesso fatti astrattamente configurabili come reati perseguibili d'ufficio. Come osservato dalla Cassazione la speciale azione di regresso spettante  all' INAIL ai sensi degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, esperibile nei confronti del datore di lavoro, si estende automaticamente anche verso i soggetti responsabili civili dell'infortunio sul lavoro, gravando su di essi un comune obbligo di sicurezza a causa della condotta da essi tenuta ed in relazione al loro concreto ruolo, sicchè essi sono direttamente responsabili dell'infortunio e dei conseguenti obblighi patrimoniali nei confronti dell'istituto assicuratore (in questo senso Cass. n. 8136 del 28.3.2008 rv 602521 nella “scia” di Cass. SS.UU. n. 3288 del 1997). Ad ogni buon conto si deve osservare che la dinamica dell'infortunio è stata ricostruita in maniera convincente nella relazione ispettiva dello S. di data 31.8.2012, confermata dal tecnico della prevenzione U. B. (doc. 55 fascicolo INAIL). Dagli accertamenti effettuati in sede ispettiva è emerso che la responsabilità dell'infortunio deve ascriversi alla ditta I. e in proprio al consigliere con delega alla sicurezza del lavoro P. G., “ritenendo di fatto il sig. M. un lavoratore subordinato operante in un contesto organizzativo del lavoro svolto da terzi (I. srl) per mancanza sia di attrezzature idonee sia di organizzazione tale da potere eseguire il lavoro in totale e piena autonomia”. Come riferito dall'ispettore dello S. in sede di istruttoria testimoniale, “il cantiere dove l'incidente è capitato era la casa del titolare della ditta I.. I. aveva commissionato a X alcuni lavori da fare su una terrazza posta sopra il tetto della casa. I due operai dovevano trasportare sul tetto il materiale che serviva per i lavori (travetti ecc.). Erano privi di attrezzatura per portare in quota il materiale. Utilizzarono allora un carrello elevatore e una cesta metallica posizionata sulle forche del carrello elevatore. Il carrello era azionato da un operaio della I.. Anche il carrello e l'altra attrezzatura erano della I.. M. entrò nella cesta con il materiale e si fece portare in quota dal carrellista della X. In quel momento c'erano soltanto i due operai M. e P.. Alla X era stato commissionato di fare soltanto quel lavoro. Ritenemmo che il datore di lavoro di fatto di M. fosse I.. Ribadisco infatti che tutta l'attrezzatura utilizzata nell'occasione e anche il carrellista erano della I. ”. L'imputabilità del fatto a P. G. nella sua qualità di titolare della I. è stata ribadita anche in sede di decreto penale di condanna. Il reato di cui all'art. 71 comma 3 del D.Leg.vo n. 81 del 2008 è stato infatti imputato a P. G. nella sua veste di datore di lavoro “in quanto il lavoratore infortunato, pur essendo formalmente dipendente della X, svolgeva nell'occasione attività con mezzi della I. e dietro sua specifica richiesta in assenza di mezzi del formale datore di lavoro”. Non vi è prova in atti che il decreto penale di condanna in questione (doc. 61 fascicolo INAIL ) sia stato oggetto di opposizione. Come affermato dalla Cassazione (in questo senso Cass. 11.12.1999 n. 13890), nell'azione di regresso esercitata ai sensi degli artt. 10 e 11 DPR 1124 del 1965 ben può giovarsi l'INAIL, che ad esso si richiami, del giudicato penale che ha accertato la responsabilità del chiamato in regresso per ciò che attiene l'accertamento della sussistenza del fatto e l'affermazione che l'imputato lo ha commesso. Ogni indagine, però, che non sia stata svolta nel giudizio penale e che, invece, sia essenziale nel giudizio civile, deve essere sviluppata in tale ultimo giudizio. In particolare ciò vale per l'indagine sull'eventuale concorso di colpa della vittima, qualora non sia stata svolta nel giudizio penale o in tale giudizio non sia stato fissato il grado del concorso stesso. L'infortunio è capitato in quanto è stata messa a disposizione dei due lavoratori M. e P. una attrezzatura di lavoro non idonea ai fini della sicurezza consentendone il suo utilizzo. Pacifico che fu P. G. a mettere a disposizione l'attrezzatura in questione. Ne dà atto lo stesso P. nelle dichiarazioni raccolte in sede ispettiva in data 6.4.2012: “Ho commissionato i lavori alla ditta X di Verona nella persona di M. G., dandole in aiuto due miei operai (P. e O.) e l'uso di attrezzature della ditta (muletto munito di cesta) ”. E' ben vero che P. nega di aver dato disposizioni su come il materiale doveva essere trasportato sul tetto. Già il solo fatto di aver messo a disposizione una attrezzatura del genere (muletto dotato di cesta) rende tuttavia evidente in qual modo P. voleva che il lavoro fosse effettuato. Nella condotta del lavoratore M. non sono ravvisabili i connotati dell'abnormità e dell'imprevedibilità. E' nota la giurisprudenza della Cassazione soprattutto penale in materia. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato infatti che il rapporto causale tra la condotta commissiva od omissiva del datore di lavoro e l'evento colposo occorso al lavoratore è interrotto allorquando la condotta di quest'ultimo sia del tutto anomala ed esorbitante dal procedimento di lavoro al quale è addetto o si traduca nell'inosservanza di precisi ordini esecutivi o di disposizioni di sicurezza (Cass. 4.2.1985, D. M. in X 1986, n. 86); perchè possa dirsi interrotto il rapporto causale tra la condotta del datore di lavoro inosservante delle norme antinfortunistiche e l'evento lesivo, occorrono quindi fatti del lavoratore eccezionali e inopinabili o con arbitraria esorbitanza dai propri compiti. La responsabilità da parte dei soggetti indicati dall'art. 4 del D.P.R. n. 547/1955 può venir meno infatti soltanto nel caso in cui il lavoratore ponga in essere una condotta imprevedibile, esorbitante dal procedimento di lavoro ed incompatibile con il sistema di lavorazione, oppure ingiustificabilmente inosservante di precise e tassative disposizioni antinfortunistiche (Cass. 16.1.1987, D., in X ibidem 1988 n. 98). L'arbitraria iniziativa del dipendente che, contravvenendo agli ordini dati dal responsabile tecnico e della sicurezza del lavoro, adotti modalità lavorative anormali a causa dell'evidente pericolo in esse insito, fa venir meno pertanto il nesso causale fra la tecnica lavorativa e l'evento dannoso. Nel frangente dell'infortunio tuttavia M. G. non stava ponendo in essere nessuna condotta imprevedibile ovvero esorbitante dalle procedure di lavoro ovvero ancora del tutto al di fuori delle regole di comune esperienza. Nell'evento non è neppure ravvisabile un qualche concorso di colpa in capo al lavoratore infortunato. Non vi è dubbio che il concorso di colpa del lavoratore non è sufficiente ad elidere il nesso causale ma può attenuare la responsabilità del datore di lavoro (per tutte Cass.17.2.1999 n. 1331; Cass. 15.4.1996 n. 3510; Cass. 17.11.1993 n. 11351 e Cass. 6.7.1990 n. 7101). Nella quantificazione del danno occorre quindi valutare l'esistenza di un eventuale concorso del fatto colposo del lavoratore: secondo le norme generali in materia di inadempimento delle obbligazioni (art. 1227 c.c.) rileva infatti l'eventuale concorso del fatto colposo del creditore, così come del danneggiato in materia di danni da fatto illecito (art. 2056 c.c. che richiama l'art. 1227 c.c.). La normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non consente di derogare agli anzidetti principi generali. A differenza del fatto doloso del lavoratore infortunato, la colpa del medesimo lavoratore concretizzandosi nell'imprudenza o nell'inosservanza delle regole tecniche nell'uso delle macchine (e dei relativi dispositivi di sicurezza) non elimina quella del datore di lavoro per la mancata adozione delle cautele e della vigilanza prescritte per l'utilizzazione delle macchine stesse, in quanto la colpa del lavoratore, tranne il caso del rischio elettivo generato da un'attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso, può assumere soltanto efficacia di concausa o di mera occasione o modalità dell'iter produttivo dell'evento infortunistico, la cui verificazione sarebbe stata impedita dall'adozione delle cautele e vigilanza suddette (Cass. 30.1.1985 n. 633). Anche in tema di infortuni sul lavoro la Cassazione (Cass. 18.7.1987 n. 6341) ha affermato che, ove il datore di lavoro non abbia rispettato specifiche norme di sicurezza, la sua responsabilità in ordine all'infortunio subito dal dipendente non può essere senz'altro ammessa se sia emersa una coeva o successiva condotta colpevole dell'infortunato o di altri, né esclusa soltanto per tale fatto, dovendosene accertare la reale autonomia causale rispetto alla causa posta in essere dal datore di lavoro ovvero la concorrenza. Nessun addebito può essere mosso nei confronti di M., in quanto la condotta tenuta dal medesimo al momento dell'infortunio appare priva di una qualsiasi connotazione sotto il profilo della negligenza e dell'imprudenza, della quale tenere conto nella quantificazione dei costi sostenuti dall'INAIL che i convenuti sono chiamati a rifondere. Nessun accorgimento M. aveva a disposizione per poter effettuare il lavoro con un qualche margine di sicurezza. A M. era stato dato incarico di effettuare un certo lavoro. Detto lavoro comportava che l'operaio dovesse lavorare all'altezza di 6 metri trasportando fino a detta altezza anche il materiale necessario (perline e travetti). Per alzarsi fino a quell'altezza e per poter sollevare anche il materiale M. non aveva altro modo se non quello di utilizzare una cesta metallica. Nessun altro accorgimento peraltro M. poteva utilizzare per compiere l'operazione di sollevamento. Se M. ha effettuato una operazione obiettivamente assai rischiosa lo ha fatto non per un suo capriccio ma perché non aveva nessun altro mezzo a disposizione per effettuare quel lavoro che gli era stato detto di fare. Nel costituirsi in giudizio la Compagnia di X ha evidenziato come al fine di determinare le lesioni subite dal lavoratore infortunato non poteva essere tenuta in alcun conto la perizia medico legale di parte, osservando come al fine della valutazione dell'entità dei postumi permanenti e del nesso di causalità tra gli stessi e l'evento dannoso fosse necessaria una CTU medico legale. In corso di causa si è quindi dovuto dar corso a CTU medico legale. Il CTU dott. E. ha accertato che in esito all'infortunio in questione sono residuate le seguenti voci di danno: danno biologico temporaneo quantificato in giorni 120 a totale, giorni 150 al 75% e giorni 150 al 50%; danno biologico permanente complessivo del 45%. Il CTU ha quantificato le conseguenze dell'infortunio in maniera conforme alle valutazioni espresse dall'INAIL, accertando in particolare l'esistenza del danno biologico nella medesima misura del 45% calcolata dall'INAIL nel costituire in favore dell'infortunato una rendita a decorrere dal 7.9.2013. Le conclusioni cui è arrivato il CTU sono fatte proprie da questo Giudice, siccome adeguatamente argomentate. Né in ordine alle stesse sono state sollevate obiezioni dalle parti convenute e dalla Compagnia X.. Il calcolo delle somme dovute è stato contestato dalle parti convenute e dalla Compagnia X terza intervenuta in causa volontariamente in maniera eccessivamente generica. Le parti convenute hanno infatti contestato il quantum in quanto a loro dire eccessivo nel suo ammontare nonché calcolato in maniera arbitraria in assenza di un qualsivoglia riscontro probatorio. La società A. A. spa ha eccepito come dalla richiesta dell'INAIL non si riuscirebbe a comprendere quali voci di danno sarebbero ricomprese nell'importo di Euro 144.894,79 sotto la voce “valore capitale della rendita ”. Ha contestato inoltre il fatto che nella somma richiesta in regresso dall'INAIL sarebbe ricompreso anche il danno patrimoniale in assenza di prova della sua sussistenza. In difetto di contestazioni specifiche, deve ritenersi corretto il conteggio delle somme azionate in ricorso, quantificate con riferimento alla attestazione a firma del direttore provinciale della sede INAIL di Verona di data 27.11.2013 (doc. 64 fascicolo di parte INAIL). Come ha affermato la Cassazione (Cass. 14.4.2003 n. 5909 ove è cit. anche Cass. n. 13377 del 1999), gli atti dell'Istituto, con i quali si provvede alla liquidazione dell'indennità corrisposta dall'Istituto al lavoratore, nel giudizio di regresso intentato nei confronti del datore di lavoro, quali gli atti del direttore della sede erogatrice, sono assistiti dalla presunzione di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir meno solo di fronte a contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l'atto in considerazione sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento: pertanto, in difetto di contestazioni specifiche, deve ritenersi che la liquidazione delle prestazioni sia avvenuta nel rispetto dei criteri enunciati dalla legge e che il credito relativo alle prestazioni erogate sia esattamente indicato in sede di regresso sulla base della certificazione del direttore di sede. Detto principio deve trovare applicazione anche a proposito del danno patrimoniale (quantificato nella somma di Euro 68.513,44 nel prospetto di calcolo predisposto dall'INAIL: doc. 53 fascicolo di parte INAIL). La società I. srl in persona del suo legale rappresentante nonché P. G. in proprio devono essere quindi condannati, in solido tra loro, a rifondere all'INAIL, ai sensi degli artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124 del 1965, l'intera somma pagata dall'Istituto e pari a Euro 162.002,54. Detta somma deve essere maggiorata degli interessi legali fino al saldo, dato che il credito dell'INAIL verso il datore di lavoro per il rimborso delle prestazioni erogate o dovute all'infortunato, in quanto credito di valore, deve essere liquidato con riferimento alla data della liquidazione definitiva. La società A. A. spa, costituitasi nel presente giudizio a seguito di intervento volontario ex art. 419 c.p.c. è tenuta a manlevare la società I. srl delle somme di cui sopra nei limiti del massimale di polizza. Nessuna questione è stata sollevata dalla terza chiamata in causa a proposito della operatività o meno della polizza. Le spese di lite seguono la soccombenza delle parti convenute nei confronti dell'INAIL e sono liquidate come in dispositivo. Si ravvisano giustificati motivi perché le spese di lite rimangano invece interamente compensate tra le altre parti.
 

 

P.Q.M.
 

 

Il Tribunale di Verona in composizione monocratica quale giudice del lavoro di primo grado, definitivamente decidendo nella causa di cui in epigrafe, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni diversa eccezione disattesa, così statuisce: condanna la società I. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore nonché P. G. in proprio, a pagare in solido tra loro in favore dell'INAIL, in via di regresso ai sensi degli artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124 del 1965, la somma complessiva di Euro 162.002,54 e come meglio precisato in motivazione, maggiorata detta somma degli interessi legali fino al saldo; dichiara la Compagnia X spa tenuta a manlevare la società I. srl delle somme che la stessa dovrà pagare all'INAIL nei limiti del massimale di polizza; condanna la società I. srl n persona del suo legale rappresentante pro tempore nonché P. G. in proprio a pagare all'INAIL anche le spese del presente giudizio, spese che sono liquidate nella somma complessiva di Euro 4.800,00 per compensi professionali, di cui Euro 1.500,00 per la fase di studio, Euro 1.300,00 per la fase introduttiva, Euro 800,00 per la fase istruttoria e Euro 1.200,00 per la fase decisoria oltre al rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15% e oltre a IVA e CPA se dovute; spese di lite interamente compensate tra le altre parti. Pone il pagamento delle spese della CTU a carico delle parti convenute nonchè della Compagnia X spa in solido tra loro come da separato provvedimento. Così deciso in Verona, il 21 aprile 2016 Il Giudice dott. Michele Maria Benini.