Cassazione Penale, Sez. 4, 24 settembre 2018, n. 40927 - Infortunio mortale durante la pesca dei mitili: nessuna posizione di garanzia


 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 06/06/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 13.3.2017 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto N.G., A.V.,A.D. e C.Z. dal reato di omicidio colposo in danno di M.N., per non aver commesso il fatto.
La persona offesa era deceduta a causa di uno shock emorragico acuto e di una asfissia violenta da annegamento in quanto, mentre era intento alla pesca di mitili, in prossimità della idrovora di proprietà della S.p.a. Atisale, veniva risucchiato con violenza all'interno della bocca di aspirazione della idrovora stessa, priva delle griglie di protezione, la quale con le proprie eliche tranciava gli arti del M.N..
L'assoluzione si fonda sulla considerazione che manca la prova in ordine alla sussistenza di qualsivoglia rapporto tra la attività posta in essere dagli imputati e la morte della vittima, con particolare riguardo all'assenza della loro qualità di garanti del rischio concretamente realizzatosi.
In particolare, per quanto concerne la posizione del N.G., la Corte territoriale ha ritenuto come lo stesso non sia qualificabile come datore di lavoro, essendo privo di poteri decisionali e di spesa all'interno della società Atisale, per cui egli non avrebbe potuto provvedere alla sostituzione delle griglie di protezione dell'impianto. Ha ritenuto A.V. estraneo ai fatti, stante il suo ruolo di responsabile della manutenzione dello stabilimento, non avendo alcun potere decisionale sulle griglie di protezione dell'idrovora, tanto che costui si era limitato a segnalare tempestivamente la mancanza delle griglie. Medesime considerazioni la Corte di merito ha espresso sulla posizione di A.D., il quale rivestiva la qualifica di responsabile della produzione del sale all'interno della società. Infine, anche con riferimento alla posizione del C.Z. è stata ravvisata l'assenza di un collegamento tra la sua attività e l'evento, ricoprendo costui una funzione di mera consulenza del datore di lavoro e non avendo avuto contezza in merito alla sottrazione delle griglie di protezione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari, lamentando vizio di motivazione in ordine ai seguenti profili.
I) Sulla posizione di N.G..
Deduce che la sentenza impugnata non spiega per quale motivo costui non si sia attivato, proprio in virtù del contratto di collaborazione continuata e continuativa di cui era titolare, per assicurare il buon andamento del processo produttivo senza rischi che potessero derivare a terzi, una volta venuto a conoscenza dell'avvenuta rimozione delle griglie.
Ritiene contraddittorio sostenere che il N.G., quale direttore dello stabilimento, fosse privo di poteri decisionali e di spesa; ed illogico escludere, nella sua qualità, qualsiasi suo potere di intervento a tutela del bene primario della vita.
II) Sulla posizione di A.V..
Ritiene priva di logica l'affermazione che costui, quale responsabile della manutenzione dello stabilimento, fosse privo di poteri decisionali e di spesa, non potendo bastare per esonerarlo da responsabilità la sola segnalazione dell'assenza delle griglie.
III) Sulla posizione di C.Z..
Deduce che il suo ruolo di responsabile per la protezione dai rischi e la prevenzione degli infortuni postulava l'esigenza di una prevedibilità di quanto verificatosi e una verifica continua ed aggiornata, nonostante egli sia venuto a conoscenza della rimozione delle griglie in epoca successiva al verificarsi della morte del M.N..
IV) Deduce il contrasto della pronuncia impugnata con quanto dichiarato dal direttore dello Spesai N., il quale ha reiteratamente ricondotto al N.G. la responsabilità per la sicurezza degli ambienti di lavoro in qualità di direttore dello stabilimento; allo stesso modo il teste G.N. ha individuato nella persona del N.G. l'unica figura che, nella sua qualità, avesse i poteri necessari per fronteggiare la grave emergenza. Del resto il N.G., consapevole della situazione, aveva disposto di installare dei cartelli di segnalazione del pericolo, andando comunque avanti nella produzione, come riferito dal teste M., deposizione di cui la Corte territoriale non ha tenuto conto in alcun modo.
3. Il difensore di A.V. ha depositato memoria con la quale rileva la inammissibilità del ricorso, in quanto sconfinante nel merito.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché contiene doglianze generiche e non consentite in sede di legittimità, in quanto tutte svolgono, essenzialmente, censure di merito, contestando la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello con riguardo alle posizioni di garanzia riconducibili agli imputati N.G., A.V. e C.Z. rispetto all'incidente mortale per cui è processo. Si tratta, inoltre, di censure che non deducono una dettagliata e specifica enunciazione delle ragioni in fatto e in diritto da contrapporre alle argomentazioni della sentenza impugnata, che appaiono invece giuridicamente corrette, congrue e non manifestamente illogiche, e come tali insindacabili in cassazione.
2. Giova qui ribadire che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità «deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali» (in tal senso, ex plurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945). La Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).
3. Nel caso in disamina, la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato - anche correttamente in diritto - l'assoluzione dei prevenuti, ritenendo l'assenza di una posizione di garanzia, e quindi la mancanza di un obbligo giuridicamente rilevante di impedire l'evento in capo agli stessi, avuto riguardo alle specifiche competenze e mansioni riconducibili ai diversi imputati, ricostruite secondo un accertamento di fatto che non può essere messo in discussione in questa sede.
E' stato quindi osservato che il N.G. era direttore dello stabilimento sulla base di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che non gli consentiva di avere poteri decisionali e di spesa, per cui non poteva essere considerato datore di lavoro né poteva intervenire per provvedere alla sostituzione delle griglie. E' infatti evidente che il titolare di una posizione di garanzia risponde degli infortuni occorsi in violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia, purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l'evento lesivo in concreto verificatosi (Sez. 4, n. 12251 del 19/06/2014 - dep. 2015, De Vecchi e altro)
Per quanto attiene alla posizione del A.V., è stato considerato che costui era privo di specifiche competenze rispetto all'incidente, rivestendo il ruolo di responsabile della manutenzione dello stabilimento, e pertanto aveva competenze e mansioni dalle quali esulava il potere decisionale e di spesa; gli interventi sulle griglie di protezione dell'idrovora ed il loro ripristino non erano di sua spettanza, e comunque egli aveva segnalato tempestivamente, in qualità di subalterno, la loro mancanza.
Anche in relazione alla posizione dello C.Z. è stata ravvisata l'assenza di un obbligo di impedire l'evento, trattandosi di un mero consulente del datore di lavoro, quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione, la cui attività implicava soltanto l'effettuazione di una corretta valutazione del rischio inerente al funzionamento delle pompe idrovore. Del resto è stato appurato che costui nulla sapeva della rimozione delle griglie, quindi, anche volendo, non avrebbe potuto intervenire, né era tenuto ad un controllo assiduo dello stabilimento.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna incongruità o manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede, atteso che con essa la Corte di merito ha dimostrato di avere analizzato compiutamente, sulla base dei concreti elementi acquisiti, le diverse mansioni e competenze riconducibili ai suddetti imputati, traendone la ragionevole convinzione - sulla scorta di una ricostruzione fattuale incensurabile in cassazione - che gli stessi non si trovassero nella condizione di poter impedire l'evento.
4. Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

 



P.Q.M.

 

 

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 6 giugno 2018