Cassazione Penale Sez. 4, 27 settembre 2018, n. 42460 - Utilizzo improprio di un compressore e lesioni al volto del dipendente. Responsabilità del direttore di cantiere. Carenza di interesse



 

 

 

Fatto

 

1.La Corte di Appello di Firenze con sentenza pronunciata in data XXXXX, in riforma della sentenza del Tribunale di Firenze, assolveva S. L. dal reato ascritto di lesioni colpose gravissime ai danni di I. G. perché il fatto non costituisce reato.
2. Allo S. veniva contestato, nella sua qualità di direttore del cantiere della B. T. s.p.a. in violazione dell'art.35 comma IV lett.b) D.Lgs. 626/94 di non avere impedito alla persona offesa di utilizzare impropriamente attrezzature del cantiere per opere di ampliamento autostradale, e in particolare di un compressore dal cui illegittimo impiego (pulizia di abiti di lavoro) erano derivate lesioni personali al dipendente I. il quale era stato attinto al volto dal manicotto in gomma, provvisoriamente installato sul compressore, che era sfuggito al controllo di chi ne stava facendo uso.
3. Premessa la ricorrenza di una posizione di garanzia in capo allo S. quale direttore di lavoro del cantiere con delega alla sicurezza e riconosciuto l'uso illegittimo dello strumento di lavoro (compressore) per finalità improprie, il giudice distrettuale escludeva l'elemento soggettivo in capo al prevenuto rappresentando che questi, in ragione di struttura aziendale complessa con una articolata suddivisione di competenze, tenuto altresì conto della vastità del cantiere lungo un fronte di alcuni chilometri, che comprendeva centinaia di lavoratori e mezzi meccanici di tutte le tipologie, non potesse avere una chiara rappresentazione del pericolo connesso al non corretto impiego del compressore, non essendo emerso dagli atti processuali che lo stesso fosse stato reso partecipe dal capo cantiere della prassi pericolosa realizzata da alcuni operai. 3.1 Sotto diverso profilo evidenziava come il titolare della posizione di garanzia non fosse tenuto a rispondere degli eventi lesivi occorsi in ragione di comportamenti imprevedibili ed estranei alle normali mansioni lavorative, laddove la manovra realizzata dai dipendenti risultava eccentrica rispetto all'uso proprio del macchinario in questione.
4. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa della parte civile I. L. il quale articolava due motivi di ricorso; con il primo motivo deduceva vizio di mancanza, manifesta illogicità della motivazione in relazione ad atti del processo e travisamento della prova in relazione alla testimonianza S. resa all'udienza del XXXXXX. Con una seconda articolazione denunciava violazione di legge in relazione alle norme che disciplinano il rapporto di causalità e l'elemento soggettivo del reato ascritto nella parte in cui il giudice distrettuale aveva riconosciuto l'assoluta imprevedibilità della condotta realizzata dagli operai, in presenza di prassi pericolosa tollerata dal preposto alla sicurezza e nota alle maestranze, posta in essere mediante la utilizzazione di uno strumento di lavoro.

 

Diritto

 

1.Come evidenziato dal Sostituto Procuratore Generale in udienza deve escludersi l'interesse della parte civile, che abbia visto riformare in appello una sentenza di condanna dell'imputato con pronuncia sulle statuizioni civili, con una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste basata sull'assenza ovvero sulla mancanza di prova dell'elemento soggettivo del reato, a promuovere ricorso per cassazione.
2. Invero i motivi di ricorso della parte civile diretti a produrre l'annullamento, ai fini civili, della statuizione di assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato, si palesano inammissibili, per carenza di interesse, laddove dal loro accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto favorevole per la parte civile, atteso che dall'annullamento della gravata pronuncia risulta esclusa la reviviscenza delle statuizioni assunte dal giudice di primo grado, e la parte ricorrente non vanta un interesse attuale e concreto ad un nuovo accertamento dei fatti, che non possa essere autonomamente svolto dal giudice civile con domanda proposta dinanzi a detta autorità.
3. Invero un tale potere impugnatorio non può essere ricondotto all'art.576 cod.proc.pen., in quanto la suddetta disciplina incontra il limite dell'interesse alla impugnazione, delimitato dal testo dell'art.652 c.p.p., il quale esclude alla sentenza di proscioglimento ovvero di assoluzione efficacia extra penale nel giudizio civile o amministrativo di danno in relazione all'eventuale accertamento dell'elemento psicologico (per una ampia trattazione e interpretazione dell'art.652 cod.proc.pen., sez.U, 29.5.2008, PC in proc.Guerra, Rv.240815) . 3.1 In particolare è stato affermato che l'interesse della parte civile alla impugnazione deve essere valutato non soltanto in termini di attualità, ma anche di concretezza e deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare, di talchè un tale interesse può essere riconosciuto soltanto se l'impugnazione sia idonea a sostituire una situazione pratica più vantaggiosa, rispetto a quella determinatasi con la pronuncia giudiziale impugnata. Ipotesi che non ricorre quando, a fronte della pronuncia giudiziale, non venga inciso concretamente un diritto o un interesse giuridico del proponente l'impugnazione (sez.IV, 19.1.2016, PC in proc. Gritto, Rv. 265741), il quale potrà rivolgersi al giudice civile per le restituzioni e il risarcimento dei danni conseguenti ai fatti per cui è stata dichiarata la causa di non procedibilità ovvero di assoluzione con riflessi su ambiti diversi dall'accertamento della insussistenza del fatto, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di un diritto (sez.III, 30.3.2016, PC in proc.Santirocco e altro; 15.3.2017, PC in proc.Saporito, Rv. 270053). 3.2 Invero il contrario orientamento (più di recente espresso da sez.V, 9.12.2015 PC in proc.Martinelli, Rv.267141), che si fonda sulla identità di natura e di intensità dell'elemento psicologico rilevante ai fini penali e ai fini civili a salvaguardia della unità della funzione giurisdizionale, risulta contrastato in motivazione dalla stessa decisione a S.U. sopra richiamata in quanto contraddetta dalla concorde giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, alle quali, in definitiva, spetta il compito di fornire la corretta interpretazione delle disposizioni che regolano gli effetti nei giudizi civili delle decisioni adottate in altre sedi, compresa quella penale. Il giudice penale, quindi, deve quanto meno tendere ad una interpretazione uniforme, che tenga conto del "diritto vivente" applicato dai giudici civili, e che eviti contrasti di giurisprudenza, tanto più gravi in quanto non è prevista una sede deputata alla loro composizione. In secondo luogo, e soprattutto, perché la tesi è comunque errata in quanto porta ad una interpretazione dell'art. 652 cod. proc. pen. che, come meglio si vedrà in seguito, contrasta con la lettera e la ratio della disposizione oltre che con i principi generali e con la volontà del legislatore. È sufficiente qui ricordare che la tesi stessa espressamente si basa sull'assunto che dovrebbe continuare a seguirsi l'interpretazione che era stata data all'art. 25 dell'abrogato codice di rito e ciò perché sarebbe rimasto invariato il presupposto su cui quella interpretazione si basava, e cioè il principio dell'unitarietà della funzione giurisdizionale. Sennonché è proprio questo presupposto che è venuto meno, non essendo più vigente tale principio nell'attuale ordinamento processuale. Venuto meno il principio, non possono quindi più seguirsi interpretazioni estensive (o applicazioni analogiche) che si fondavano sostanzialmente sul principio stesso. Se dunque la parte civile ha, in astratto, interesse ad impugnare qualsiasi pronuncia di assoluzione, la sussistenza del carattere di concretezza di tale interesse va naturalmente verificata tenendo conto degli specifici effetti favorevoli che, nella concreta vicenda, la parte civile si ripromette di ottenere dall'impugnazione e valutando se il suo accoglimento davvero le arrecherebbe una situazione di vantaggio o le eliminerebbe una situazione pregiudizievole.
4. Nel caso in specie nessuna situazione di vantaggio può essere ulteriormente conseguita dal ricorrente in sede penale, a seguito dell'annullamento della pronuncia impugnata, che non possa essere autonomamente riconosciuta dinanzi al giudice civile, chiamato ad operare un nuovo accertamento sulla responsabilità dell'imputato sulla base della disciplina propria degli art.2043 ss cod.civ., a fronte di pronuncia assolutoria che non pregiudica le aspettative risarcitorie del danneggiato in ragione del principio della separazione delle giurisdizione civile e penale, che consente esiti giudiziari anche difformi nell'ambito delle due giurisdizioni e tenuto conto del chiaro testo dell'art.652 cod.proc.pen. il quale nega rilevanza preclusiva nel giudizio di danno alla ipotesi di assoluzione in esame. 4.1 Invero negli altri casi, quando l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato è stata pronunciata per mancanza dell'elemento soggettivo del reato, o per la presenza di una causa di giustificazione diversa da quella di cui all'art. 51 cod. pen. o per un'altra ragione, la sentenza non ha efficacia di giudicato nel giudizio di danno e spetta al giudice civile o amministrativo il dovere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del giudizio penale (sez.U, 29.5.2008 cit.).
5. Consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione avanzato dalla parte civile I. G. ai sensi dell'art.568 IV comma e 591 co.I lett.a) cod.proc.pen., cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni per escludere la colpa di questi nel proporre l'impugnazione in ragione di una giurisprudenza di legittimità ormai affermata sul punto, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro XXXXX in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 09 maggio 2018