Cassazione Civile, Sez. Lav., 16 novembre 2018, n. 29617 - Retrodatazione della rendita vitalizia per mesotelioma pleurico


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 16/11/2018

 

 

 

Rilevato che
la Corte d'appello di Bologna (sentenza del 30.11.2012) ha respinto l'impugnazione proposta da L.A., L.G. e L.GI., quali eredi di L.GU. deceduto il 12.2.2002, avverso la sentenza del Tribunale di Forlì che aveva rigettato la loro domanda (ricorso di 16.1.2003) volta alla retrodatazione della rendita vitalizia, di cui all'art. 13 del d.lgs n. 38/2000, costituita in favore del loro dante causa sulla base della domanda del 5.12.2000; gli eredi avevano sostenuto che il mesotelioma che aveva causato la morte del loro dante causa era già presente all'atto della precedente domanda amministrativa del 27.3.1998, mentre secondo la Corte d'appello il primo giudice, nel rigettare la domanda, aveva interpretato il petitum nel senso che la doglianza fosse ristretta ad un riconoscimento meno prossimo della riduzione della capacità di lavoro generica ascrivibile al tumore e che non abbracciasse anche la richiesta di una maggiore valutazione delle patologie denunciate, tanto che nessun ricorso in opposizione in sede amministrativa era stato proposto avverso il rigetto della domanda del 27.3.1998; avverso tale decisione ricorrono per cassazione L.A., L.G. e L.GI. con due motivi, cui resiste con controricorso l'Inail;
 

 

Considerato che
col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., i ricorrenti osservano che i riferimenti ai fatti morbosi, ai sintomi, alle evidenze patologiche ed all'ambiente di lavoro erano contenuti nel primo certificato medico di malattia professionale del 23.3.1998 e nella documentazione ad esso allegata, per cui la Corte di merito è incorsa nella suddetta violazione nel ritenere che la domanda giudiziale fosse limitata all'accertamento della sussistenza fin dal 23.3.98 del mesotelioma pleurico, senza peraltro adeguatamente motivare il proprio convincimento in ordine a tale asserita limitazione. I ricorrenti precisano, altresì, che sin dalla prima denuncia della malattia professionale era stata chiesta la costituzione della rendita vitalizia spettante per l'invalidità lavorativa complessivamente determinata dalla patologia polmonare provocata dall'esposizione all'amianto, nonché dalla ipoacusia e dall'amputazione parziale del quarto dito della mano sinistra, anche se nel ricorso introduttivo detta patologia era stata erroneamente qualificata come mesotelioma; quindi, la richiesta di ammissione della C.T.U era volta proprio ad accertare se il loro dante causa fosse già affetto da asbestosi e da mesotelioma pleurico fin dal 27.3.1998 ed inoltre non poteva sostenersi che il Leoni, il quale aveva inoltrato la denuncia di malattia professionale nel 2000, avesse inteso con ciò rinunciare a tutti gli effetti di quella del 1998. In definitiva, la domanda non aveva ad oggetto la retrodatazione della rendita costituita per il mesotelioma nel dicembre del 2000, bensì la costituzione della rendita per la complessiva inabilità lavorativa determinata fin dal 23.3.1998 dalle patologie all'epoca esistenti (patologia polmonare, ipoacusia ed amputazione); col secondo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell'art. 53 del d.p.r, n. 1124/65 e dell'art. 112 c.p.c., i ricorrenti lamentano che il giudice d'appello ha ritenuto che la qualificazione della patologia polmonare quale mesotelioma pleurico fin dal marzo del 1998 fosse vincolante, con conseguente inammissibilità di una valutazione e decisione della domanda giudiziale in base ad una patologia diversa. Precisano i ricorrenti che poiché la malattia polmonare accertata dal CTU (asbestosi), ancorché non coincidente con quella denunciata, rientrava pur sempre nel quadro della sintomatologia allegata, per cui la domanda non poteva essere considerata nuova;
i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati;
invero, fermo restando che il potere di qualificazione della domanda compete al giudicante, si osserva che la Corte d'appello non ha affermato, come erroneamente sostenuto dai ricorrenti, che la patologia polmonare del mesotelioma pleurico del marzo del 1998 fosse vincolante, ma ha semplicemente posto a confronto le argomentazioni riportate a pagina 5 del ricorso di primo grado, ove si faceva riferimento all'esistenza di un mesotelioma dal marzo del 1998 quale unica patologia da riconoscere come malattia professionale, con le conclusioni dello stesso ricorso, in cui si chiedeva di accertare che L.GU. era affetto da mesotelioma pleurico di tipo epiteliale dal 24.3.1998, per pervenire al convincimento, adeguatamente motivato, che il primo giudice aveva interpretato il petitum alla luce della parte motiva del ricorso, ritenendo, quindi, che la doglianza fosse ristretta ad un meno prossimo riconoscimento della riduzione della capacità di lavoro generica ascrivibile al tumore e non abbracciasse anche la richiesta di una maggiore valutazione delle patologie denunciate nel 1998, a prescindere dal mesotelioma, posto che, tra l'altro, mai nessun ricorso in opposizione in sede amministrativa era stato proposto avverso il rigetto della domanda del 27.3.98. A questo punto la Corte territoriale ha precisato che conseguentemente, così come eccepito dall'ente e come rilevabile anche d'ufficio, si concretizzava un'ipotesi di mutatio libelli nella formulazione della domanda contenuta nelle note finali del 18.5.2004, riproposta in appello, tesa ad ottenere una rendita per ipoacusia, asbestosi e pregresso infortunio sulla base di una complessiva riduzione della capacità di lavoro superiore al 10%; quindi, come correttamente rilevato dalla Corte di merito con motivazione immune da rilievi di legittimità, non veniva in evidenza una divergenza tra malattia denunciata e quella, in ipotesi, realmente esistente, ma tra domanda giudiziale originaria e domanda irritualmente proposta in corso di causa; 
tale precisa ratio decidendi non risulta, pertanto, superata dalle attuali censure dei ricorrenti, censure che, oltretutto, non sono nemmeno supportate, in spregio al principio di autosufficienza che governa il giudizio di legittimità, dalla produzione della relazione peritale della cui asserita erroneità i medesimi eredi ricorrenti si sono doluti;
il ricorso va, quindi, rigettato, mentre non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese di lite in quanto ricorrono nella fattispecie le condizioni di esenzione di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c. nella versione vigente prima delle modifiche apportate dall'art. 42, comma 11, del d.l. 30/9/03 n. 269, convertito nella legge 24/11/03 n. 326.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma il 20 aprile 2018