Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 gennaio 2019, n. 1197 - Licenziamento per giusta causa a seguito di aggressione alla vice-responsabile. Stress


Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Data pubblicazione: 17/01/2019

 

Fatto

 


Con sentenza del 21 gennaio 2016, la Corte d'appello di Roma rigettava l'appello proposto da S.F. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto la domanda di accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimatogli il 30 gennaio 2012 da Banco di Brescia s.p.a. per giusta causa, consistente nell'aggressione e schiaffeggiamento la mattina del 2 dicembre 2012 della vice responsabile, ivi chiamata, nell'ufficio del responsabile della filiale dal quale era trattenuto e del cui computer, una volta divincolatosi dalla presa, colpiva con un pugno la tastiera danneggiandola, uscendone dall'ufficio prendendo a calci la porta.
In esito a critico scrutinio delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale accertava la ricorrenza della giusta causa, per la gravità della condotta, idonea a minare il rapporto di fiducia tra e parti, in assenza del lamentato comportamento mobbizzante della collega aggredita, ritenendo ad essa proporzionata la sanzione espulsiva, anche in mancanza di precedenti disciplinari.
Con atto notificato il 8 aprile 2016, il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, cui resisteva la banca datrice con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 1175, 1375 c.c., 7 I. 300/1970, 20 lett. e), 71 lett. d) CCNL del credito, per inosservanza del requisito di proporzionalità, nell'omissione di un'adeguata valutazione dell'effettiva offensività delle condotte subite dal lavoratore e dell'incidenza del suo particolare stato di salute psichica, come risultante dalla relazione di C.t.u. nell'ambito di precedente giudizio tra le stesse parti, non correlato al contesto ambientale di svolgimento dei fatti, in assenza di precedenti disciplinari.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 1175, 1375 c.c., 7 I. 300/1970, 40 CCNL del credito, per sottovalutazione e travisamento dello stato di salute del lavoratore, esclusivamente riferito a stress e turbamento generabili da lunghi spostamenti per il raggiungimento del posto di lavoro e non anche dal contesto ambientale lavorativo cui era stato sottoposto dalla vice responsabile M.C., per i rimproveri continui e con modalità offensive e di scherno.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'omessa statuizione sugli obblighi previsti in materia di salute e sicurezza durante il lavoro dal d.lg. 81/2008 e dall'art. 2087 c.c., per omessa valutazione di idonee misure per evitare lo stress correlato al lavoro, anche in difetto di esame delle istanze istruttorie di acquisizione della documentazione obbligatoria attestante la valutazione dei rischi.
4. Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 1175, 1375 c.c., 7 I. 300/1970, 20 lett. e), 71 lett. d) CCNL del credito, per inosservanza del requisito di proporzionalità) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il secondo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 1175, 1375 c.c., 7 I. 300/1970, 40 CCNL del credito, per sottovalutazione e travisamento dello stato di salute del lavoratore).
4.1. Essi sono inammissibili.
4.2. La censura di violazione dell'art. 2119 c.c. investe (come ancora è stato recentemente ritenuto da: Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 2 settembre 2016, n. 17539; Cass. 10 luglio 2018, n. 18170) una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd. "elastica" (quale indubbiamente è la clausola generale della giusta causa) che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico - sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell'ambito della giusta causa (piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento), in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514). E ciò per la sindacabilità, da parte della Corte di cassazione, dell'attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095)
4.3. Ma nel caso di specie, oggetto di doglianza non è l'erronea sussunzione della fattispecie nella clausola elastica della giusta causa, in assenza di una censura alla correttezza dell'operazione compiuta dal giudice di merito, secondo gli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 24 marzo 2015, n. 5878; Cass. 15 aprile 2016, n. 7568), avendo la Corte territoriale correttamente proceduto alla suddetta qualificazione del comportamento del lavoratore alla stregua dello standard normativo.
4.4. La doglianza espressa nei due motivi congiuntamente esaminati, pure sottolineata la spettanza in via esclusiva al giudice di merito dell'accertamento di proporzionalità del licenziamento, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente argomentato (Cass. 7 aprile 2011, n. 7948; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293) ed incombendo la giudice di merito la sola valutazione (avvenuta nel caso di specie: al secondo capoverso di pg. 6 della sentenza) dell'assenza di precedenti sanzioni disciplinari (Cass. 22 giugno 2009, n. 14586; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013), si risolve piuttosto nella contestazione della valutazione probatoria e dell'accertamento di fatto della Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità, qualora sorretti da adeguata argomentazione (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come appunto nel caso di specie (per le ragioni esposte dal secondo capoverso di pg. 3 al secondo di pg. 5 della sentenza), anche in riferimento alla valutazione delle condizioni psico-fisiche del lavoratore risultanti dalla C.t.u. medico-legale esperita in altro giudizio (in particolare dal secondo al terzultimo capoverso di pg. 5 della sentenza): tanto meno alla luce del più rigoroso ambito devolutivo del novellato testo dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 20 novembre 2015, n. 23828; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940), applicabile ratione temporis.
5. Il terzo motivo, relativo ad omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla mancata statuizione sugli obblighi previsti in materia di salute e sicurezza durante il lavoro dal d.lg. 81/2008 e dall'art. 2087 c.c. per omessa valutazione di idonee misure per evitare lo stress correlato al lavoro, è pure inammissibile.
5.1. Sotto il (primo) profilo del vizio motivo, ricorre nel caso di specie l'ipotesi di cd. "doppia conforme" prevista dall'art. 348ter, quinto comma c.p.c. (applicabile, ai sensi dell'art. 54, secondo comma d.l. 83/2012 conv. con modif. dalla I. 134/2012, ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), in difetto di indicazione dalla parte ricorrente, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui al novellato testo dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass.22 dicembre 2016, n. 26774).
5.2. Neppure sussiste poi un fatto storico di cui sia stato omesso l'esame, né tanto meno un'omessa pronuncia (inconfigurabile qualora non ricorra una mancanza di qualsiasi decisione su un capo di domanda: Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; Cass. 16 luglio 2018, n. 18797): trattandosi piuttosto di una contestazione della valutazione probatoria e dell'accertamento di fatto della Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità, qualora sorretti da adeguata argomentazione (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come appunto nel caso di specie, in cui in particolare la Corte territoriale ha escluso la rilevanza delle condizioni di salute del lavoratore sotto il profilo dello stress denunciato (dal secondo al quinto capoverso di pg. 5 della sentenza).
5.3. Per il resto, il motivo difetta di specificità, in violazione della prescrizione dell'art. 366, n. 4 e n. 6 c.p.c., in particolare sotto il profilo di inosservanza del
principio di autosufficienza per omessa trascrizione delle istanze istruttorie di acquisizione documentale di cui è stata censurata l'omessa valutazione (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 20 settembre 2013, n. 21632; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48).
6. Dalle superiori argomentazioni discende coerente l'inammissibilità del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018