Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 febbraio 2019, n. 4817 - Infortunio durante l'ispezione delle grondaie sul tetto. Violazione degli obblighi di informazione e formazione e omissione di qualsiasi cautela


Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 19/02/2019

 

 

RILEVATO CHE
1. Con sentenza n. 626 del 18.7.2013 la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Pordenone, ha accolto la domanda di R.D., L.,W.,L. M., A.C. nei confronti della società P.R. Imballaggi s.p.a. diretta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dall'infortunio sul lavoro subito dal loro congiunto, S..C., in data 1.7.2004 mentre, sul tetto del capannone industriale, era intento ad ispezionare le grondaie.
2. La Corte distrettuale, pronunciando sul gravame proposto dalla società, ha rigettato la domanda formulata dai nipoti di S.C. (OMISSIS) e, nel merito, ha confermato la sentenza di primo grado di condanna della società e delle eredi del legale rappresentante della società stessa (Ma. e G. P.F.) per la complessiva somma di euro 834.501,92, ritenendo omessa la predisposizione di cautele volte a prevenire gli infortuni.
3. Per la cassazione della sentenza ricorrono la società P.R. Imballaggi s.p.a., Ma. P.F. e G.P.F. affidandosi a sei motivi. R.D. e L.,W.,L. M., A.C. resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
 

 

CONSIDERATO CHE
4. - Con il primo motivo, i ricorrenti, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1223, 1227 cod.civ. nonché vizio di motivazione. Assumono che erroneamente la Corte territoriale ha trascurato la completa estraneità della condotta del dipendente alle mansioni disimpegnate (meccanico manutentore) e la conseguente interruzione del nesso di causalità tra condotta ed evento per abnormità ed imprevedibiltà del comportamento tenuto dal lavoratore.
5. - Con il secondo motivo, i ricorrenti, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 444 e 445 cod.proc.civ. Assumono che erroneamente la Corte di appello, al pari del giudice di primo grado, ha attribuito valore di accertamento del fatto alla sentenza penale di applicazione concordata della pena, dovendo invece procedere autonomamente per verificare la responsabilità del datore di lavoro.
6. - Con il terzo motivo, i ricorrenti, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod.civ. e 115, 116 cod.proc.civ. nonché vizio di motivazione. Assumono che la Corte distrettuale si è limitata ad asserire l'applicazione delle Tabelle milanesi senza illustrare i criteri equitativi a cui si informano le medesime tabelle e, in specie, il processo logico-giuridico seguito per la personalizzazione del danno, salvo il laconico accenno al "nucleo familiare coeso" (giungendo a liquidare euro 154.350,00, limite inferiore della fascia di oscillazione delle Tabelle, per ciascun erede ossia moglie e 5 figli di S.C., 70enne all'epoca dell'infortunio mortale).
7. - Con il quarto motivo, i ricorrenti, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 83 cod.proc.civ. nonché nullità della sentenza e vizio di motivazione. Assumono che erroneamente la Corte distrettuale ha ritenuto valida la procura alle liti rilasciata a "Roberto" (senza il cognome del difensore) su foglio separato in calce all'atto di citazione, considerato che si tratta di procura generale (rilasciata sia per atti stragiudiziali che giudiziali) rilasciata un anno e mezzo prima della notifica dell'atto di citazione ed autenticata dall'avv. Roberto R. e non da un notaio o da un pubblico ufficiale come richiesto dall'art. 83, comma 2 cod.proc.civ.
8. - Con il quinto motivo, i ricorrenti, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 163, comma 3, n. 3 e 164, comma 4, cod.proc.civ. nonché vizio di motivazione. Assumono che l'atto di citazione era nullo in quanto assolutamente carente con riferimento al danno non patrimoniale invocato.
9. - Con il sesto motivo, i ricorrenti, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 213 cod.proc.civ. e 10 d.P.R. n. 1124 del 1965 nonché vizio di motivazione. Assumono che la Corte distrettuale non ha accolto la richiesta di informazione avanzata ex art. 213 cod.proc.civ. presso l'INAIL di Treviso ai fini di verificare l'entità dell'indennità corrisposta ai familiari ai fini della detrazione dalla somme riconosciute e, dunque, dalla quantificazione del c.d. danno differenziale.
10. - Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento; il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un'erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che - nella versione ratione temporis applicabile - lo circoscrive all'omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
11. - Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell'apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori. La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato che il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore per aver omesso di fornire determinate informazioni nonché misure di sicurezza al dipendente. In particolare, la Corte di appello che precisato che era "circostanza pacifica che il povero A.C. era già salito sul tetto del capannone in precedenti occasioni, sia pure non frequenti, e non è stato allegato che di ciò sia stato redarguito - in quanto attività estranea al suo mansionario - ovvero che siffatte condotte si siano svolte all'oscuro del datore di lavoro. Accanto a ciò, è altrettanto pacifico che non vi erano sistemi di tutela", a fronte dell'apparente sicurezza della struttura.
12. - La Corte di appello ha individuato dunque il fondamento della responsabilità di parte datoriale nella violazione degli obblighi di informazione e formazione del lavoratore, scaturenti dal d.Lgs. n. 81 del 2008, e nella specie nell'omissione di informazioni, cautele, divieti di accesso al tetto del capannone (in quel momento interessato da lavori di ampliamento) frequentato dagli operai addetti ai lavori di sistemazione della struttura. I giudici del merito hanno, quindi, ritenuto che la condotta del dipendente non potesse ritenersi abnorme, e dunque nemmeno concausa dell'evento dannoso, per essere la condotta stessa riconducibile all'inadempimento datoriale.
13. - In particolare, la Corte di appello si è uniformata agli insegnamenti di questa Corte, secondo cui: gravano sul datore di lavoro puntuali obblighi di informazione del lavoratore, al fine di evitare il rischio specifico della lavorazione (Cass. n. 20051 del 2016); la circostanza che un infortunio sul lavoro sia dovuto a "colpa" del lavoratore non esclude la responsabilità del datore di lavoro, ove questi non dimostri di avere fornite al lavoratore tutte le necessarie istruzioni per evitare di commettere l'errore che fu causa dell'infortunio (cfr. Cass. n. 4718 del 2008); il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, anche qualora sia ascrivibile non soltanto ad una sua disattenzione, ma anche ad imperizia, negligenza e imprudenza (Cass. n. 19494 del 2009); il datore di lavoro è totalmente esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell'evento (Cass. n. 3786 del 2009): così integrando il cd. "rischio elettivo", ossia una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (Cass. n. 18786 del 2014); la colpa o la negligenza del lavoratore non necessariamente devono considerarsi concausa dell'evento dannoso, ove abbiano potuto esplicare efficacia causale solo a causa degli inadempimenti del datore di lavoro, (così in motivazione, Cass. n. 4718 del 2008).
14. Il secondo motivo di ricorso va respinto, essendo errato il principio di diritto fatto valere dai ricorrenti in merito alla valenza probatoria della sentenza resa in seguito al patteggiamento, dato che la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. - pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare (cfr. da ultimo, Cass. n. 26263 del 2011 e n. 9456 del 2013).
15. - Nel caso di specie, la Corte territoriale - richiamando i principi statuiti da questa Corte - ha precisato di aderire alla ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice di primo grado che "di detta sentenza [sentenza penale di patteggiamento] ha dimostrato di averne tenuto conto, sia pure senza fondare esclusivamente su tale pronuncia la responsabilità della parte convenuta".
16. Il terzo motivo di ricorso non è fondato, avendo, la Corte territoriale effettuato la determinazione del danno tenendo conto dei limiti inferiori della fascia di oscillazione determinata dalle Tabelle milanesi e secondo una valutazione equitativa che - seppur succintamente - ha tenuto conto dell'intensità del vincolo familiare, considerata l'assenza di ulteriori elementi che consentissero di liquidare una somma inferiore ai limiti. La Corte territoriale ha, dunque, accertato la sussistenza di un vincolo familiare intenso tra vedova, figli e lavoratore deceduto, legame tale da giustificare la liquidazione di una somma nei limiti minimi previsti dalle Tabelle di Milano, ed ha, inoltre, evidenziato che non erano stati allegati elementi che concorressero a favore di una diversa (e più limitata) liquidazione in favore dei congiunti. La Corte risulta, pertanto, aver rispettato i principi in materia di presunzioni e di valutazione equitativa del danno, da applicare con riguardo alle allegazioni contenute negli atti ed alle prove acquisite.
17. - Giova richiamare, inoltre, la lettura costituzionalmente orientata data da questa Corte a Sezioni Unite in tema di presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale attraverso la quale, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, è stata estesa la tutela ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione e, per effetto di tale estensione, è stata ricondotta nell'ambito dell'art. 2059 c.c., anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) con la precisazione che il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto consiste nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto. (Cass. Sez. U. n. 26972 del 2008).
18. - Il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili, in quanto le censure sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso sia l'intero contenuto (e non stralci) della procura sia l'atto di citazione e l'istanza di informazioni dei quali si lamenta I invalidità, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
19. Il sesto motivo è meritevole di accoglimento; va sottolineato che le Sezioni Unite, intervenendo recentemente in materia di azione di regresso dell'INAIL, hanno affermato che opera il principio della compensatio lucri cum damno quale "meccanismo di riequilibrio idoneo a garantire che il terzo responsabile dell'Infortunio in itinere, estraneo al rapporto assicurativo, sia collateralmente obbligato a restituire all'INAIL l'importo corrispondente al valore della rendita per inabilità permanente costituita in favore del lavoratore assicurato" confermando che il cumulo di benefici, di carattere indennitario e risarcitorio, determina una locupletazione del danneggiato, strutturalmente incompatibile con la natura meramente reintegratoria della responsabilità civile (Cass., Sez. Un., nn. 12564, 12565, 12566, 12567 del 2018).
20. - Il richiamo di questo recente arresto delle Sezioni Unite - teso a risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione se dall'ammontare del danno risarcibile si debba scomputare la rendita per l'inabilità permanente riconosciuta dall'INAIL a seguito di infortunio occorso al lavoratore - consente di ribadire (alla stregua di quanto già affermato dalle stesse Sezioni Unite nel 2008) la necessità di evitare automatismi e duplicazioni risarcitorie. Infine, va rilevato che l'eccezione di compensatio lucri cum damno è una eccezione in senso lato, vale a dire non l'adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all'esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed è, come tale, oltre che rilevabile d'ufficio dal giudice (il quale, per determinare l'esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell'acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio), anche proponibile per la prima volta in appello (Cass., n. 533 del, 2014; Cass. n. 20111 del 2014; Cass. n. 13819 del 2017; Cass. n. 12566 del 2018).
21. - Nel caso di specie, la Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado con riguardo alla liquidazione del danno patrimoniale subito dai congiunti, pari a euro 43.822,06 nonché ad euro 8.223,00 per spese funerarie, senza erroneamente valutare (secondo il criterio consolidato della comparazione di poste omogenee, cfr. Cass. n. 13222 del 2016; Cass. n. 20807 del 2016; Cass. 9166 del 2017) l'esistenza di un danno patrimoniale differenziale rispetto ad importi dovuti dall'INAIL. La Corte dovrà procedere, pertanto, ad una comparazione del danno civilistico e delle indennità dovute dall'INAIL ai congiunti al fine di scongiurare duplicazioni risarcitorie.
22. - Alla stregua delle esposte considerazioni, va accolto il sesto motivo, rigettati gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il sesto motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 20 dicembre 2018.