Cassazione Penale, Sez. 4, 25 febbraio 2019, n. 8083 - Caduta dall'alto durante i lavori di tinteggiatura: ponteggio non allestito in sicurezza e responsabilità di committente e CSE


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 08/11/2018

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza resa il 06/05/2016 confermava la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sezione distaccata di Aversa che aveva dichiarato P.C. e S.S. colpevoli del reato di cui agli artt. 40 cpv, 113 e 589, commi 1 e 2, cod. pen., perché - il primo, legale rappresentante della Immobiliare Atellana s.r.l., quale committente dei lavori per la realizzazione di un complesso immobiliare con cantiere edile in Orta di Atella alla via Bugnano; il secondo, quale coordinatore per l'esecuzione ai sensi del d.lgs. n. 494/1996 e successive modifiche, nominato dal P.C. in adempimento dei doveri imposti dal citato d.lgs. in tema di cantieri temporanei e mobili, per l'esecuzione dei lavori nel menzionato cantiere - cagionavano la morte del lavoratore V.P.. Questi, dipendente del coimputato P.S., mentre era intento ad effettuare lavori di pitturazione al 3° piano del costruendo fabbricato - in particolare a tinteggiare un finestrino esterno mediante l'utilizzo di un ponteggio metallico allestito e utilizzato con procedure palesemente in violazione delle norme in tema di sicurezza, ponteggio che non presentava tavolati sufficienti, tavole ferma piedi nonché parapetti necessari ad evitare la caduta accidentale di persone o cose verso il basso - perdeva l'equilibrio e cadeva accidentalmente verso il vuoto, sbattendo rovinosamente al suolo da un'altezza di m. 12 circa e riportando politrauma con lesioni gravissime che lo portavano a morire. Fatto avvenuto il 14 ottobre 2004.
P.C., quale committente dei lavori, era chiamato a rispondere perché ometteva di trasmettere all'Azienda Sanitaria Locale e alla Direzione Provinciale del Lavoro, territorialmente competenti, l'aggiornamento della notifica preliminare; e perché ometteva di verificare l'idoneità tecnica-professionale delle imprese esecutrici per la realizzazione dei lavori da affidare all'interno del citato cantiere.
A S.S., nell'anzidetta sua qualità, era contestato di non avere sospeso i lavori nonostante avesse riscontrato una situazione di imminente pericolo grave, in attesa della verifica dell'avvenuto adeguamento; perché, sebbene vi fosse tenuto, ometteva di verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni loro pertinenti contenute nel PSC e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; e perché non segnalava al committente, previa contestazione scritta all'impresa, le violazioni alle prescrizioni del PSC e proporre, quindi, la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o la risoluzione del contratto.
3. Avverso detta sentenza interponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, le difese dei due imputati.
3.1. P.C. sollevava un unico motivo di ricorso con cui deduceva violazione di legge e vizio di motivazione.
3.2. S.S. si affida a tre motivi di ricorso. Con il primo deduce inosservanza di norme processuali in relazione all'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. quanto al diniego, da parte della Corte di appello, della concessione della sospensione condizionale della pena «avendone già fruito» con ciò integrando una reformatio in peius. Con il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione anche sotto il profilo del travisamento della prova. La Corte territoriale ha confermato la penale responsabilità del S.S. su due presupposti errati: che il lavoratore fosse caduto dall'impalcatura e che il ricorrente fosse il coordinatore per l'esecuzione. Evidenzia le ragioni a mente delle quali il V.P. non sarebbe potuto cadere dall'impalcatura in questione. Quanto alla qualità del ricorrente, il Giudice di appello, come peraltro quello di primo grado, non ha fatto riferimento alcuno agli elementi probatori da cui ha tratto l'errata convinzione che al S.S. spettasse la coordinazione per l'esecuzione dei lavori. Con il terzo motivo, infine, eccepisce violazione di legge, vizio motivazionale e mancata assunzione di una prova decisiva in relazione agli artt. 603 e 507 cod. proc. pen. La Corte del merito non ha provveduto a rinnovare l'escussione dell'ispettore R.C. sulla mancanza del timbro o del numero di protocollo sulla notifica preliminare e a, sentire su quest'ultimo punto, ex art. 507 cod. proc. pen., l'arch. Francesco M..
 

 

Diritto

 


1. In via preliminare, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di P.C. per essere il reato estinto per morte dell'imputato.
2. Il ricorso proposto di S.S. non ha fondamento e va pertanto disatteso, con ogni conseguente statuizione.
3. Per ciò che concerne il primo motivo di doglianza, è innegabile l'esistenza di una discrasia fra la motivazione - che sul punto si esprime nei termini riportati dal ricorrente - e il dispositivo, confermativo della sentenza del Tribunale che aveva concesso la sospensione condizionale della pena. Fermo quanto sopra, per risalente e consolidata giurisprudenza di legittimità, tale divergenza, lungi dal concretare un'ipotesi di nullità, va risolta mediante la logica attribuzione di prevalenza all'elemento decisionale rispetto a quello giustificativo, chiaramente servente rispetto al primo (Sez. 6, sent. n. 7980 del 01/02/2017, Esposito, Rv. 269375).
Né è a dire che il principio testé ribadito si ponga in contrasto con altre affermazioni di questa Corte, nel senso della non automatica prevalenza del dispositivo sulla motivazione, determinate dalla specificità del caso posto all'attenzione del giudice di legittimità, come nell'ipotesi di dispositivo di condanna cui si correli una motivazione assolutoria (cfr. Cass. Sez. 4, sent. n. 43419 del 29.09.2015, Rv. 264909), in cui, a ben vedere, il dato determinante è costituito dalla sostanziale assenza di motivazione, non essendo in alcun modo ricostruibile il percorso giuridico ed argomentativo che ha condotto alla statuizione di condanna, il cui annullamento, anzi, viepiù conferma la sua prevalenza.
4. Il secondo motivo è infondato.
4.1. Quanto alla doglianza relativa alla caduta del lavoratore dall'impalcatura, la sentenza impugnata, con motivazione esente da vizi, ricorda come la dinamica dei fatti, che hanno condotto a morte il lavoratore V.P., debba ritenersi accertata sulla scorta delle emergenze processuali e come il decesso sia senz'altro ascrivibile alla sua caduta da un ponteggio non allestito in sicurezza ove lo stesso si era portato per pitturare un finestrino dall'esterno. In particolare, richiama la testimonianza dell'ispettore C. il quale, pur non avendo visionato la posizione del corpo della vittima rispetto al pontile, aveva fondatamente tratto la conclusione che il lavoratore fosse caduto proprio da un ponteggio, essendo altresì del tutto compatibile la ricostruita posizione del lavoratore con detta dinamica.
La sua conclusione era oltremodo avvalorata dal fatto che questi, salito sul ponteggio, ne verificava l'assenza di parapetti, riscontrandone la pericolosità. Il teste aveva ben evidenziato che la caduta del V.P. era dovuta all'assenza di misure di sicurezza nell'allestimento dei ponteggi, nella dotazione del lavoratore e nella sua formazione. Inoltre, la dinamica dell'incidente - desunta anche dalle dichiarazioni del teste R. - trovava conferma nelle foto 2 e 8 da cui si evinceva che al quarto piano dell'impalcatura sovrastante il luogo in cui il V.P. era stato rinvenuto, subito dopo il finestrino del secondo piano dell'immobile, era visibile una parte di lamiera vistosamente piegata verso il basso, elemento questo, conclude sul punto la sentenza di appello, del tutto coerente con quanto riferito dal R. sul forte rumore di lamiera udito. Da entrambi i Giudici del merito si vagliava anche la diversa ricostruzione offerta dalla difesa dei ricorrenti la quale veniva tuttavia disattesa sulla base del rilievo che la caduta non poteva essere avvenuta dall'ipotizzato diverso luogo stanti le esigue dimensioni dei finestrini, peraltro muniti di grata, con conseguente impossibilità per il corpo del V.P. di superare l'impalcatura e precipitare nel fossato ove poi è stato rinvenuto.
4.2. L'impugnata sentenza reputa altresì accertato il fatto che l'imputato rivestisse la veste di coordinatore per l'esecuzione sulla base di più evidenze: la già richiamata testimonianza dell'ispettore C. il quale ha affermato di aver visto la nomina effettuata per iscritto, tant'è che proprio sulla base di questa egli lo convocava per sentirlo a sommarie informazioni, durante le quali, peraltro, il geometra S.S. nulla eccepiva al riguardo; la documentazione in atti (foto n. 7 relativa al tabellone riportante questo dato); la circostanza che egli si sia dimesso dall'incarico come da comunicazione mai disconosciuta; che, convocato dal personale Asl di Caserta il 14/10/2004 e sottoposto ad ispezione in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, sottoscrivesse il verbale senza dedurre alcunché, risultando inoltre che abbia provveduto al pagamento della sanzione amministrativa il 27/12/2004.
Correttamente la sentenza di appello valorizza la condotta omissiva del ricorrente S.S. al quale spettava, in quanto coordinatore per l'esecuzione in un cantiere ove erano presenti più imprese, il potere di vigilanza e di sorveglianza in attuazione del quale, una volta accertata la sussistenza di un grave pericolo immediato avrebbe dovuto sospendere i lavori. In tema di infortuni sul lavoro, invero, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati dall'art. 5 del d.lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, pur se non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di segnalare al committente, previa contestazione scritta all'impresa, le violazioni del piano di cui all'art. 12 d. lgs. n.494/96 e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (in senso conforme, Sez. 4, sent. n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267735).
Il legislatore, come è noto, ha mostrato particolare consapevolezza dei rischi derivanti dall'azione congiunta di diverse organizzazioni e ne ha disciplinato la prevenzione, imponendo un penetrante reciproco obbligo di tutti i soggetti coinvolti di coordinarsi e di interagire con gli altri in modo attento e consapevole, affinché risulti sempre garantita la sicurezza delle lavorazioni. Di particolare interesse, ai fini della comprensione del sistema, è l'analisi della figura del coordinatore per l'esecuzione, collaboratore del committente. La lettura della specifica sfera di gestione del rischio affidata a tale soggetto discende per un verso dalla funzione di generale, alta, vigilanza che la legge demanda al committente; e per l'altro dalla disciplina di cui all'art. 5 dell'evocato d.lgs. n. 494. Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro e alle figure che da esso ricevono poteri e doveri, il dirigente e il preposto (Sez. 4, sentenza n. 37738 del 28/05/2013, Gandolla e altri, Rv. 256636).
Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri "tipici" e di quelle afferenti all’inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori. Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non, come si è più sopra detto, la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).
Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità dell'idea di rischio: tutto il sistema è conformato per governare l'immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. Esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi più complessi, si è frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio.
In qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori svolti in un cantiere edile, il S.S. era titolare di una posizione di garanzia che si affiancava a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica in ragione della quale correttamente la Corte di appello di Napoli ne ha confermato la responsabilità.
5. Infondata è altresì la terza doglianza.
In tema di ammissione di nuove prove (art. 507 cod. proc. pen.), non sussiste l'obbligo del giudice di disporre d'ufficio tutte le prove astrattamente pertinenti e rilevanti, bensì il potere- dovere di disporre nuovi mezzi di prova quando risulti "assolutamente necessario". Le nuove prove, rispetto a quelle inizialmente richieste dalle parti, sono soggette ad una più penetrante e approfondita valutazione della loro pertinenza e rilevanza che è correlativa alla più ampia conoscenza dei fatti di causa già acquisita. L'esercizio di tale potere-dovere, correlato alla difficoltà che il giudice ritiene sussistente di procedere ad un compiuto accertamento dei fatti sulla base delle risultanze già acquisite, può essere sindacato in sede di legittimità, ma in limiti più ristretti del potere di ammissione delle prove a richiesta di parte, disciplinato dall'art. 190 cod. proc. pen., richiedendosi una manifesta assoluta necessità della trascurata assunzione probatoria, emergente dal testo della sentenza impugnata [Sez. 6, sent. n. 724 del 08/11/1993 (dep. 24/01/1994) Capizzi ed altri, Rv. 196218].
Dalla sentenza in disamina non si evince affatto la postulata necessarietà avendo la Corte distrettuale esaurientemente dato conto delle emergenze probatorie poste a base del suo convincimento. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacché questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità [Sez. U., sent. n. 2110 del 23/11/1995 (dep. il 23/02/1996), Fachini e altri, Rv. 203767].
È vero che sullo specifico punto non vi è, nella sentenza impugnata, un'esplicita motivazione. Tuttavia, ciò non è sufficiente a radicare il vizio di mancanza di motivazione, essendo comunemente ammessa, in giurisprudenza, la motivazione implicita, che si ha allorquando dal tessuto argomentativo della pronuncia impugnata siano enucleabili le ragioni del convincimento, poiché il giudice a quo ha dimostrato che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente e che le statuizioni emesse si fondano su un substrato razionale esente da aporie e da incongruenze logiche (Sez. 4, sent. n. 26660 del 13/05/2011, Caruso e altro, Rv. 250900). Sicché, ove il provvedimento indichi, come nel caso in disamina, con adeguatezza e logicità, quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice [Sez. 4, sent. n. 1149 del 24/10/2005 (dep. il 13/01/2006), Mirabilia, Rv. 233187), sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di mancanza di motivazione (Sez. 2, sent. n. 29434 del 19/05/2004, Candiano e altri, Rv. 229220).
6. In conclusione, la sentenza della Corte di appello di Napoli deve essere annullata senza rinvio nei confronti di P.C. per essere il reato estinto per morte dell'imputato.
Il ricorso di S.S. va, invece, rigettato con conseguente condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.C. Pierangelo per essere il reato estinto per morte dell'imputato. Rigetta il ricorso di S.S. Salvatore e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 8 novembre 2018