Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 marzo 2019, n. 6269 - Infortunio sul lavoro. La compensatio lucri cum damno






Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI Data pubblicazione: 04/03/2019

Rilevato
che con sentenza 12 ottobre 2016, la Corte d'appello di Roma, in sede di riassunzione del giudizio in esito alla cassazione della sentenza della Corte d'appello di L'Aquila n. 138/2008 (di rigetto degli appelli principale e incidentali avverso la sentenza di primo grado) con la sentenza di questa Corte n. 27127/2013: ferme l'accertata esclusiva responsabilità di A.S.M. - Aquilana Società Multiservizi s.p.a. in ordine all'infortunio sul lavoro occorso il 8 marzo 2000 al dipendente G.D. e la già disposta condanna della società datrice al pagamento della somma di € 2.582,00 oltre interessi (a titolo di franchigia sul danno biologico liquidato); condannava la predetta società, in solido con Assimoco Assicurazioni s.p.a., alla corresponsione, in favore del lavoratore a titolo di danno non patrimoniale, della complessiva somma di € 54.648,46, con detrazione di quanto corrisposto in esecuzione delle precedenti pronunce, oltre interessi come statuito nei gradi precedenti; condannava A.S.M. s.p.a. al pagamento, in favore di G.D. a titolo di danno patrimoniale, della somma di € 159.344,43 oltre rivalutazione ed interessi legali ed Assimoco Assicurazioni s.p.a. a tenerla indenne dal pagamento di detta somma; condannava entrambe le società alla rifusione delle spese di tutti i gradi di giudizio come in dispositivo;
che avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con sette motivi, cui resistevano A.S.M. s.p.a. e Assimoco Assicurazioni s.p.a. con distinti controricorsi; che G.D. e la società datrice comunicavano memoria ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. ;


Considerato
che il ricorrente deduce violazione degli artt. 115, 345 c.p.c., per omesso riconoscimento del danno biologico da aggravamento (ulteriore 3% in aggiunta al 24% già accertato) verificatosi successivamente al deposito del primo ricorso per cassazione e documentato da certificazione medica trascritta, oggetto di domanda ammissibile in quanto parte di quella originaria risarcitoria, meritevole, se non ritenuta sufficientemente provata, quanto meno di una nuova C.t.u. medica di verifica (primo motivo); violazione dell'art. 1226 c.c., per il riflesso del mancato riconoscimento dell'aggravamento sulla liquidazione del danno non patrimoniale, inadeguata sulla base delle tabelle in uso presso il Tribunale di L'Aquila (ormai da anni inesistenti) e non presso il Tribunale di Milano, individuate dalla giurisprudenza di legittimità come parametro per una liquidazione di trattamento uniforme, indipendentemente dalla non contestazione delle prime all'epoca del giudizio di primo grado, per l'esigenza di una nuova determinazione in base a parametri aggiornati ai criteri attuali (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 384, 394, 421, 437 c.p.c. e 2909 c.c., per l'erronea applicazione dell'istituto della compensatio lucri cum damno agli emolumenti previdenziali o indennitari percepiti dal lavoratore (in particolare: rendita Inail ed emolumento a titolo di esodo agevolato per inidoneità alle mansioni di elettrauto), in assenza di alcuna allegazione di loro percezione, né tanto meno di detrazione dal danno patrimoniale liquidato, in violazione del giudicato interno formatosi, dei limiti del giudizio di rinvio e dell'esercizio dei poteri officiosi del giudice (che ha disposto l'acquisizione della relativa documentazione con ordinanza del 30 aprile 2015), non eccedente i limiti dei fatti allegati dalle parti ed emersi nel giudizio a seguito del contraddittorio tra le stesse (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1241, 2043, 2056, 2087 c.c. e 38 Cost., per l'erronea determinazione del danno patrimoniale risarcibile, in virtù del computo, al fine di evitare un indebito arricchimento del danneggiato, anche dei benefici previdenziali e assicurativi ricevuti, senza tenere conto della diversa natura giuridica, eminentemente privatistica, del risarcimento direttamente derivante dall'illecito (contrattuale, come nel caso di specie, o anche extracontrattuale) e della rendita vitalizia, espressione del rapporto assicurativo pubblico contro gli infortuni, rispondente ad una scelta di politica legislativa: con irriducibilità della liquidazione del danno a mera contabilità di crediti e debiti di diversa natura, cui inapplicabile la compensatio lucri cum damno (quarto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1916 c.c., 11 e 112 d.p.r. 1124/1965, per la detraibilità della rendita Inail dall'ammontare del danno patrimoniale soltanto nel caso di esercizio della facoltà di surroga dall'Istituto nei diritti del danneggiato nei confronti del terzo responsabile: circostanza nel caso di specie né allegata, né tanto meno provata (quinto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 384, 394, 421, 437 c.p.c., 1223 e 2909 c.c., per vizio di ultrapetizione nella detrazione dell'ammontare dei ratei di rendita Inail percepiti dal lavoratore dal 3 ottobre 2000 al 22 ottobre 2002, ossia prima del 23 ottobre 2002, data di sua collocazione a riposo e di inizio di percezione della pensione anticipata, presupposto di insorgenza del danno patrimoniale ed oggetto della richiesta di decorrenza della sua liquidazione (con richiamo delle precedenti argomentazioni di mancanza di allegazioni e deduzioni in ordine alla detraibilità dal risarcimento del danno della rendita Inail) (sesto motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., d.lg. lgt. 170/1946, dell'art. 1 l. 193/1949, l. 1051/1957 (d.m. 127/2004), dell'art. 9 d.l. 1/2012 (d.m. 140/2012), degli artt. 1 e 13 l. 247/2012 (d.m. 55/2014), per la liquidazione delle spese dei vari gradi di giudizio in misura inferiore ai minimi tariffari tempo per tempo in vigore, come risultante dalle voci indicate nei prospetti allegati, computate su un valore di causa pari a € 382.904,28 (settimo motivo); che ritiene il collegio che il primo motivo sia inammissibile;
che non sussiste la violazione delle norme di diritto denunciate, anche in difetto di un pertinente confronto con il percorso argomentativo della Corte territoriale; che infatti essa dava puntuale conto della risultanza di un'assenza di contestazione: a) degli elementi di determinazione del danno biologico; b) della ritenuta irrilevanza della diversa percentuale del 47% riconosciuta in sede di contenzioso Inail (alla cui esclusiva indicazione si limita la certificazione medica del 7 gennaio 2014 trascritta, in assenza di elementi di aggravamento successivamente insorti); c) dell'implicito rigetto della domanda di asseriti aggravamenti e della formazione di un giudicato interno preclusivo della domanda di accertamento di aggravamento del danno biologico (così in particolare ai quattro primi capoversi di pg. 7 della sentenza);
che il difetto di alcuna confutazione, tanto meno specifica, da parte del ricorrente delle riferite argomentazioni rende generico il motivo, per un'evidente violazione del principio di specificità prescritto dall'art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l'illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959); che anche il secondo motivo è inammissibile;
che, assorbito il profilo di censura dipendente dal mancato riconoscimento dell'aggravamento del danno, escluso con il rigetto del precedente mezzo, il motivo è generico nell'allegazione di migliore adeguatezza della liquidazione del danno in base alle tabelle adottate presso il Tribunale di Milano: in difetto, per giunta, della deduzione del loro deposito, una volta posta la relativa questione nel giudizio di merito, al più tardi in grado di appello (Cass. 7 novembre 2014, n. 23778; Cass. 16 giugno 2016, n. 12397; Cass. 21 novembre 2017, n. 27562), appunto non risultante; che inoltre non è confutata l'argomentazione della Corte territoriale di inammissibilità della richiesta di applicazione delle suddette tabelle siccome volta "alla modifica di una statuizione coperta da giudicato" (così al quarto capoverso di pg. 7 della sentenza); che il terzo, quarto e quinto motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
che occorre premettere come non esista alcuna preclusione del giudice di rinvio allo scrutinio della questione, in assenza di un giudicato interno sulla determinazione del danno patrimoniale, devolutagli siccome oggetto del quarto motivo del (primo) ricorso per cassazione ritenuto assorbito dalla sentenza rescindente (Cass. n. 27127/2013) e pertanto oggetto del suo esame, in quanto specificamente riproposta (Cass. 12 settembre 2011, n. 18677; Cass. 24 ottobre 2013, n. 24093; Cass. 30 novembre 2017, n. 28751);
che una tale preclusione neppure deriva dalla natura del giudizio di rinvio, configurato dall'art. 394, terzo comma c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, nel quale non sono ammesse nuove conclusioni e richieste di nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio; salvo il caso in cui la sentenza d'appello sia stata annullata per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l'accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito, perché ritenuti erroneamente privi di rilievo all'acquisizione (Cass. 26 giugno 2013, n. 16180; Cass. 18 aprile 2017, n. 9768; Cass. 31 ottobre 2018, n. 27823): come appunto avvenuto nel caso di specie, proprio in riferimento all'accertamento del danno patrimoniale (così ai punti 7b, 7c a pgg. 13, 14 e al terzultimo e penultimo capoverso di pg. 18 della sentenza);
che nel giudizio di rinvio, caratterizzato come sopra illustrato, i limiti all'ammissione delle prove concernono l'attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli esercitabili d'ufficio, così da poter riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento (Cass. 9 gennaio 2009, n. 341); che è stata pertanto ritualmente acquisita la documentazione in contestazione ("per come emerge dagli atti: la rendita Inail, la pensione privilegiata e l'incentivo all'esodo agevolatocosì ai primi due alinea di pg. 19 della sentenza), nell'esercizio del potere d'ufficio del giudice di ordinare alla parte, ai sensi degli artt. 210 e 421 c.p.c., l'esibizione di documenti sufficientemente individuati: potere che ha carattere discrezionale, né esige di essere motivato ed è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 24 marzo 2004, n. 5908; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24188); che nel caso di specie la Corte capitolina ha correttamente applicato il principio di compensano lucri cum damno anche tra poste di natura giuridica diversa, siccome fondate sui diversi titoli risarcitorio e di beneficio previdenziale o assicurativo; che è stato recentemente ritenuto, con arresto a composizione di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, che, nell'assicurazione contro i danni, il danno da fatto illecito debba essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto: in quanto detta indennità è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall'assicurato in conseguenza del verificarsi dell'evento dannoso e soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito (Cass. s.u. 22 maggio 2018, n. 12565);
che tale principio è stato affermato con validità generale, anche per i benefici della sicurezza e dell'assistenza sociale, da quelli legati al rapporto di lavoro (e scaturenti dalla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali) a quelli rivolti ad assicurare ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere una tutela assistenziale (p.to 5.2. della motivazione della sentenza citata): sul rilievo secondo cui la determinazione del vantaggio computabile richiede che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito, sicché in tanto le prestazioni del terzo incidono sul danno in quanto siano erogate in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato;
che la prospettiva non è quindi della coincidenza formale dei titoli, ma del collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale e l'obbligazione risarcitoria (p.to 5.7. della motivazione della sentenza citata): e ciò per effetto del solo pagamento dell'indennità, indipendentemente dall'effettivo esercizio della surrogazione (p.to 5.4. della motivazione); che il sesto motivo è pure infondato;
che non sussiste il vizio denunciato di ultrapetizione (nella detrazione dell'ammontare dei ratei di rendita Inail percepiti dal lavoratore prima della data di collocazione a riposo e di inizio di percezione della pensione anticipata), ricorrente quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalla parti ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato o comunque interferendo nel potere dispositivo delle parti, alterando alcuno degli elementi obiettivi (petitum e causa petendi) di identificazione dell'azione (Cass. 22 marzo 2007, n. 6945; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868; Cass. 10 maggio 2018, n. 11304; Cass. 13 novembre 2018, n. 29200);
che nel caso di specie, la Corte territoriale ha semplicemente applicato il principio di compensatio lucri cum damno ad utilità percepite dal lavoratore "in relazione all'infortunio per cui è causa"e limitatamente ad esso, con esclusione di quanto riferito "ad altro precedente infortunio" (come ben chiarito al primo capoverso, in particolare sub 1, di pg. 20 della sentenza); che il settimo motivo è inammissibile;
che è generica la doglianza di liquidazione delle spese di giudizio in misura inferiore alle tariffe minime, senza un'analitica specificazione delle voci e degli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore: in violazione dell'onere a carico della parte, che intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato per pretesa violazione dei minimi tariffari, che rende la censura inammissibile (Cass. 7 agosto 2009, n. 18086; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30716);
che pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la compensazione integrale delle spese del giudizio tra le parti, dipendendo la risoluzione della controversia in misura essenziale dalla composizione di un contrasto giurisprudenziale successiva alla proposizione del ricorso;
 

 



P.Q.M.

 




La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente le spese del giudizio tra le parti.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso nella Adunanza camerale del 16 gennaio 2019