Cassazione Penale, Sez. 4, 05 marzo 2019, n. 9449 - Infortunio dell'autista di autocarro distaccato. Mancanza di casco protettivo


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 31/01/2019

 

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Napoli il 4 ottobre 2016, in riforma integrale della sentenza emessa dal Tribunale di Benevento all'esito del dibattimento il 1° luglio 2014, appellata dalla parte civile R.B., sentenza con la quale S.T., A.T. ed A.L. erano stati assolti dall'accusa, loro contestata nelle qualifiche di cui si dirà, di lesioni colpose gravi nei confronti di R.B., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 15 dicembre 2006, ha, invece, dichiarato gli imputati responsabili dell'illecito agli effetti civili, condannandoli al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
2. Agli imputati era stato contestato dal Pubblico Ministero di avere, A.L. quale rappresentante legale ed amministratore unico della s.r.l. L. e della s.c.a.r.l. Cabar, S.T. nella qualità di rappresentante legale ed amministratore della s.r.l. Icla ed A.T. quale dipendente della Cabar con mansioni di autista manovratore di escavatore Caterpillar, colposamente cagionato lesioni gravi al lavoratore R.B.: questi, dipendente della ditta s.r.l. Ica di S.T., che aveva avuto il subappalto dei lavori di ristrutturazione del cimitero di San Nicola Baronia (BN), lavori che erano stati dati in appalto dal Comune il 12 settembre 2006 alla ditta s.r.l. A.L., era stato distaccato dall'imprenditore presso il cimitero con il compito di autista di autocarro.
In particolare, agli imputati A.L. e S.T. è stato addebitato di non avere adottato le misure necessarie alla sicurezza e alla salute dei lavoratori, non fornendo loro necessari ed idonei dispostivi di protezione individuale (in particolare, casco di protezione) e non aggiornando le misure di sicurezza e di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi del lavoro (art. 4, comma 5, del d. lgs. 19 settembre 1994, n. 626).
Ad A.T. è stata contestata imperizia nella guida e nell'utilizzo dell'escavatore Caterpillar (art. 5, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 626 del 1994).
2.1. Quanto alla dinamica degli accadimenti, il pomeriggio del 15 dicembre 2006, sospesi i lavori che si stavano effettuando presso il cimitero comunale, R.B. aveva caricato l'escavatore Caterpillar condotto da A.T. sul camion Fiat da lui guidato per portarlo altrove, in una località distante alcuni chilometri, in un punto adiacente un'abitazione in cui i mezzi venivano custoditi, per sicurezza, durante la notte. Qui, dunque, collocato a terra l'escavatore, in fase di alzata e di chiusura delle rampe del carrellone sul quale era stato prima poggiato il mezzo Caterpillar, R.B. aveva chiesto aiuto a T., che aveva risposto che lo avrebbe aiutato con l'escavatore. Qui termina il ricordo della persona offesa, che ha obiettivamente riportato nell'occasione una grave lesione al capo, causativa, tra l'altro, di perdita di memoria.
2.2. Il Tribunale, in estrema sintesi, ha ritenuto che la - stimata - impossibilità di ricostruire esattamente la dinamica dell'infortunio, in ragione di emergenze istruttorie valutate come contraddittorie e tra loro non conciliabili, dovesse inesorabilmente condurre all'assoluzione degli imputati, non essendo stato possibile accertare le loro eventuali responsabilità.
2.3. La Corte di appello, invece, adita dalla parte civile, ha ritenuto che, in base al contributo conoscitivo offerto dalla persona offesa, dai Carabinieri intervenuti (Maresciallo B. e Brigadiere C.) e dal consulente del P.M., dr. M., sia possibile ricostruire l'accaduto nel senso che, una volta scaricato il Caterpillar, una manovra imperita ed imprudente da parte del conduttore del Caterpillar, A.T., abbia fatto sì che la benna, impropriamente usata per rialzare le pedane del carrellone, che erano state in precedenza estratte per far scendere il Caterpillar, abbia colpito al capo R.B., lasciando tracce di sangue, di materiale organico e di capelli sul braccio meccanico dell'escavatore. Ha ritenuto che il lavoratore ferito fosse privo di casco di protezione, per non essergli stato fornito, e che, ove lo avesse indossato, le conseguenze del trauma sarebbero state meno gravi. Ha ritenuto che sia stata concausativa delle gravi lesioni colpose, insieme alla manovra errata di A.T., anche l'omissione di misure di sicurezza necessarie relativamente alla fase del ricovero e del parcheggio del mezzo meccanico e la omessa vigilanza da parte dei datori di lavoro, A.L. e S.T., rispettivamente amministratore unico della omonima s.r.l., cui era stato affidato l'appalto dei lavori riguardanti il cimitero, ed amministratore della Ida s.r.l., alle cui dipendenze lavorava il conduttore di autocarro, R.B., che dal 13 dicembre 2006 era stato "distaccato" nel cantiere presso il cimitero.
3. Ricorrono per la cassazione della sentenza, tramite distinti atti, A.L., S.T. ed A.T., i primi due assistiti dall'avv. OMISSIS ed il terzo dall'avv. OMISSIS.
4. Prendendo le mosse dal ricorso nell'interesse di A.T. (avv. OMISSIS), esso è affidato a tre motivi, con i quali si denunzia violazione di legge.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente censura violazione di legge processuale (art. 603 cod. proc. pen.), per avere omesso la Corte di appello di disporre la rinnovazione istruttoria, riformando la sentenza di primo grado sulla base di una diversa valutazione del compendio probatorio.
Riassunta la motivazione della sentenza di primo grado, assume la difesa che la Corte di appello, diversamente valutando le dichiarazioni rese dai testi, in particolare dei Carabinieri escussi nel dibattimento in Tribunale, ed aderendo alle conclusioni stimate "più probabili", ma non assolute, del consulente del P.M., è giunta a riformare la sentenza, affermando la responsabilità dei ricorrenti, sia pure ai fini civili. Così facendo - si segnala - la Corte di merito ha violato il principio che impone la rinnovazione dell'istruttoria, fissato, dopo una elaborazione giurisprudenziale che si richiama, dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 27620 del 28/04/2016, ric. Dasgupta, che ha specificato, tra l'altro, che «Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio».
Nel contempo si lamenta la violazione del principio dell' "al di là di ogni ragionevole dubbio", per avere i giudici di merito aderito alla ricostruzione di una delle due consulenze, quella del P.M., diametralmente antitetica rispetto a quella della difesa, mentre avrebbe dovuto disporre una nuova perizia ovvero una nuova audizione dei testi e dei consulenti, vertendosi in tema di prova decisiva.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione di ulteriori norme processuali (artt. 182 e 192 cod. proc. pen.), per avere la Corte di appello di Napoli omesso di motivare sulla contestata aggravante della malattia grave, non avendo - si assume - speso una parola sulla sussistenza di una malattia probabilmente o certamente insanabile.
4.3. Infine, con il terzo ed ultimo motivo si assume che il reato, ove si ritenga insussistente l'aggravante della malattia certamente o probabilmente insanabile, si sarebbe prescritto prima della sentenza di appello, e cioè il 7 aprile 2016, pur considerati i 201 giorni di sospensione della prescrizione per rinvìi chiesti dalla difesa (di cui si dà atto alle pp. 2-3 della sentenza del Tribunale). La Corte di appello avrebbe così violato l'art. 129 cod. proc. pen., che impone l'immediata declaratoria di improcedibilità, essendo il reato già prescritto.
5. I ricorsi nell'interesse di A.L. e di S.T., curati dal medesimo difensore (avv. Errico), sono in larga parte sovrapponibili, in quanto il primo ed il terzo motivo nell'interesse di L. sono identici ai due motivi svolti nell'interesse di S.T..
5.1. Con il primo motivo comune alle difese di A.L. e di S.T. si avanza la medesima censura posta dalla difesa di A.T., incentrata sull'avere la Corte di appello ri-valutato le dichiarazioni testimoniali giungendo, senza rinnovare l'istruttoria, ad opposta soluzione, integrata tuttavia dal richiamo, quale parametro violato, all'art. 6 della Convenzione EDU, e dal riferimento all'avere la Corte di appello ritenuto attendibile la dichiarazione della persona offesa, che ha detto di non avere ricevuto i presidi antinfortunistici, tra i quali il casco, in palese contrasto con il documento scritto datato 11 dicembre 2006, firmato da R.B., già prodotto in atti e che si allega ai ricorsi, da cui risulta esattamente il contrario. Ciò rafforzerebbe la necessità nel caso di specie di procedere alla rinnovazione delle prove dichiarative, non effettuata dalla Corte di appello.
5.2. Con il terzo motivo della difesa di A.L., identico al secondo motivo della difesa di S.T., si lamenta ulteriore violazione di legge e difetto motivazionale, anche sotto il profilo del travisamento della prova, per avere la Corte di merito trascurato di considerare la condotta abnorme dell'infortunato, tale, comunque, da interrompere il nesso di causalità tra la condotta addebitata e l'evento dannoso. Si evidenzia, sotto tale profilo, che documentalmente risulta che R.B. era stato formato ed informato, che il sinistro si è verificato fuori dall'orario di lavoro e al di fuori dall'area del cantiere e che la condotta dei due operai, R.B. ed A.T., è stata gravemente imprudente ed imperita, posta in essere di propria esclusiva iniziativa, essendo i due privi di competenza ad effettuare operazioni di carico e scarico, e senza avere previamente avvisato il datore di lavoro. In definitiva, la causa dell'infortunio sarebbe non soltanto sopravvenuta ma anche sufficiente, da sola, a determinare l'evento.
5.3. Con il secondo motivo esclusivamente avanzato nell'interesse di A.L., si censura promiscuamente violazione di legge (arti. 40 e 110 cod. pen. e 192 cod. proc. pen.) e difetto motivazionale, per avere la Corte di appello affermato la penale responsabilità di A.L., mentre l'infortunato era dipendente di S.T., essendo a tale rapporto estraneo A.L. e, dunque, non tenuto in alcun modo a vigilare sui dipendenti degli altri.
Si invoca, in definitiva, da parte di tutti i ricorrenti l'annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono fondati, nei limiti di cui appresso.
1.1. Va premesso che infondata è la questione relativa alla prescrizione, posta dalla difese di A.T. con il terzo motivo: infatti, Sez. 3, n. 3083 del 18/10/2016, dep. 2017, Sdolzini, Rv. 268894-01, ha - opportunamente - precisato (specc. ai punti nn. 2., 2.1., 2.2. e 2.3. del "considerato in diritto", cioè alle pp. 4-7), per quale motivo, in caso di assoluzione in primo grado ed appello della parte civile, non è consentito al giudice modificare, peraltro in peius, gli effetti penali sostituendo alla pronunzia assolutoria la declaratoria di prescrizione («La parte civile è legittimata a proporre appello avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto al fine di chiedere al giudice dell'impugnazione di affermare la responsabilità dell'imputato, sia pure incidentalmente e ai soli fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto, ferma restando, nel caso di appello della sola parte civile, l'intangibilità delle statuizioni penali. (Nella fattispecie, la S.C. ha annullato la decisione che, accogliendo l'impugnazione della sola parte civile, aveva riformato la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli per intervenuta prescrizione, maturata in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di primo grado)»).
1.2. Ciò posto, si prende atto che la Corte di appello, nel riformare integralmente la decisione assolutoria, ha valorizzato essenzialmente la deposizione della persona offesa e dei Carabinieri intervenuti nell'immediatezza, oltre alle dichiarazioni, sia scritte (relazione) che orali (esame a dibattimento), del consulente del Pubblico Ministero, contributi conoscitivi tutti da ritenersi prove decisive, sia in sé sia nelle reciproche implicazioni, alla stregua della concreta strutturazione delle motivazioni dei giudici di merito.
Ebbene, le Sezioni Unite, come ben noto, hanno puntualizzato che «Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio» (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasguota, Rv. 267489-01).
Il principio è stato anche ribadito dal massimo consesso giurisdizionale: «Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado emessa all'esito di giudizio abbreviato, sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio.» (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269787-01).
Occorre, dunque, annullare la sentenza affinché possano essere nuovamente acquisite le prove dichiarative decisive.
1.3. Le altre questioni poste dai ricorrenti sono, all'evidenza, assorbite.
2. Consegue l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese fra le parti per questo giudizio di legittimità.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda anche la regolamentazione delle spese fra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 31/01/2019.