Cassazione Penale, Sez. 4, 13 marzo 2019, n. 11157 - Investimento mortale sul marciapiede attiguo al cancello d'entrata di un istituto scolastico interessato da lavori di edificazione. Accezione di zona di accesso al cantiere e causalità della colpa


 

"La zona di accesso al cantiere è da un verso facilmente individuabile; almeno nei cantieri che risultano recintati, come quello che qui interessa, l'accesso coincide con il varco che permette il transito verso e dal cantiere. Meno agevole è delimitare lo spazio fisico che perbene all'accesso; operazione tuttavia necessaria per non giungere al paradosso, segnalato dai ricorrenti, di considerare zona di accesso al cantiere anche la via pubblica che deve essere percorsa per giungere in prossimità di quel varco.
Il criterio che deve guidare la ricerca della soluzione interpretativa deve essere rinvenuto nel principio che sottostà all'attribuzione di compiti doverosi, ovvero quello della titolarità di poteri che consentono l'assolvimento dei correlati doveri. Detto altrimenti, non possono rientrare nell'area di accesso al cantiere zone sulle quali il soggetto gravato di obblighi che pertengono alla stessa non abbia poteri dispositivi; correlativamente, non si possono riferire al titolare del potere dispositivo obblighi comportamentali che eccedano quel potere. E pertanto non può rientrare nella zona di accesso al cantiere, secondo la accezione che rileva ai fini dell'applicazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro, il marciapiede esterno al varco, se di proprietà pubblica o comunque non nella disponibilità del datore di lavoro, chiamato a gestire i rischi derivanti dal transito attraverso l'accesso al cantiere.

Non v'è dubbio, per contro, che sul P.G., in qualità di datore di lavoro, gravasse l'obbligo di predisporre l'accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili, secondo quanto può trarsi dal menzionato art. 96. Questa previsione rimanda implicitamente alle disposizioni di maggior dettaglio tecnico, le quali indicano quali caratteristiche deve avere la segnaletica. L'ALL. XXIV, 2.1.4. al d.lgs. n. 81/2008 prevede che "la segnaletica delle vie di circolazione deve essere di tipo permanente e costituita da un colore di sicurezza". Occorreva quindi rendere percepibile la via di circolazione passante per l'accesso al cantiere. Nella specie, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, tale cartellonistica specifica era assente.
Ma ciò posto, sarebbe stato necessario accertare anche la cd. causalità della colpa; ovvero verificare che la condotta doverosa, qualora posta in essere, avrebbe evitato l'evento illecito." ...


 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 04/12/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di L'Aquila ha parzialmente riformato la pronuncia emessa nei confronti di P.G. e di S.M. dal Tribunale di Vasto, con la quale essi erano stati giudicati responsabili del reato di cui all'art. 589 cod. pen., commesso con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni in danno di A.S.F., cooperando colposamente tra loro e in concorso causale con M.A..
La Corte di Appello, infatti, ha ritenuto le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla menzionata aggravante e pertanto ridotto la pena inflitta dal Tribunale; inoltre ha concesso allo S.M. la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
2. La vicenda oggetto dei procedimenti di merito può essere così sintetizzata, alla luce di quanto esposto dalle decisioni sopra menzionate.
Il 26 giugno 2007 la signora A.S.F. stava transitando a piedi sul marciapiede attiguo al cancello dell'entrata secondaria dell'Istituto tecnico commerciale Palizzi, di Vasto, quando venne colpita dalla parte posteriore sinistra del mezzo d'opera Astra FID7/C targato Omissis, condotto da M.A., mentre questi stava effettuando una manovra di svolta a destra per immettersi in un'area antistante tale cancello. A causa dell'investimento la A.S.F. riportava gravi traumatismi che la conducevano a morte.
Il M.A., tratto a giudizio per rispondere di omicidio colposo commesso con violazione di norme in materia di circolazione stradale, definiva la propria posizione con sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. pen.
Al P.G. e allo S.M. l'evento luttuoso veniva attribuito in qualità, il primo, di legale rappresentante, direttore tecnico di cantiere e responsabile della sicurezza di cantiere per la  P.G. s.p.a., impresa appaltatrice dei lavori di costruzione di un edificio da erigersi nella zona retrostante l'Istituto Palizzi, il secondo perché coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione e di direttore dei lavori per la Provincia di Chieti (committente dei lavori). All'esito di rito ordinario essi riportavano la condanna sopra riferita.
I coimputati C. e M., per i quali si era proceduto separatamente, venivano mandati assolti.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il P.G. a mezzo del difensore di fiducia, avv. OMISSIS.
3.1. Con un primo motivo deduce vizio della motivazione, non avendo la Corte di Appello preso in considerazione taluni argomenti difensivi enunciati nell'atto di impugnazione, aventi rilievo decisivo:
- con la sentenza di assoluzione del coimputato C., passata in giudicato, era stato accertato che il M.A. avrebbe dovuto utilizzare un diverso varco di accesso al cantiere; quindi l'evento si era prodotto per l'utilizzo abusivo della via di accesso provvisoria al cantiere, interdetto da circa un mese e quindi non necessitante di cartellonistica di sicurezza;
- con la medesima sentenza è stato accertato che se il M.A. avesse mantenuto una velocità conforme a quella che una eventuale cartellonistica avrebbe imposto l'evento si sarebbe egualmente verificato;
- le qualifiche di direttore e di responsabile di cantiere del P.G. erano "circoscritte e delimitate al cantiere e non a qualsiasi altro luogo esterno ad esso", sia pure in qualche modo riconducibile all'attività edificatoria che vi si svolgeva; non sussisteva, quindi, uha posizione di garanzia in capo al P.G..
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza anche lo S.M., a mezzo dei difensori, avvocati Omissis.
Con unitario motivo anch'egli ha denunciato la pretermissione da parte della Corte di Appello degli argomenti difensivi illustrati dal P.G., operando alcune ulteriori puntualizzazioni.
Ha osservato che la corte territoriale non ha reso alcuna motivazione in ordine all'efficacia della sentenza emessa nei confronti dei coimputati C. e M.; ha errato nel ritenere che l'assoluzione si fondasse sull'assenza di un obbligo giuridico di adottare misure prevenzionistiche per il cantiere in argomento; infatti nei confronti del C. si è esclusa l'esistenza di un nesso di causalità tra la sua condotta e l'evento.
Aggiunge che la Corte di Appello ha travisato la prova, asserendo che la cartellonistica non era presente in loco, contrariamente a quanto asserito dai testi G.T., G.A., P.G., G.R.; che l'apposizione di un cartello in più non avrebbe evitato l'evento; che l'accesso presso il quale avvenne il sinistro è stato ritenuto ingresso provvisorio al cantiere ma era l'unico accesso carrabile all'Istituto Palizzi, tanto che il passaggio, anche dei mezzi pesanti, vi si svolgeva quotidianamente; che lo S.M. non era titolare di obbligo di garanzia rispetto a un luogo lontano dal cantiere.
 

 

Diritto

 


5. I ricorsi sono fondati, nei termini di seguito precisati. 
6. Coglie il segno la comune censura di omessa motivazione in merito a quanto prospettato nell'atto di appello.
La stessa corte distrettuale dà conto del fatto che gli imputati avevano sollecitato una sentenza di assoluzione alla luce anche di quanto accertato e ritenuto nel diverso procedimento che era stato celebrato a carico del coimputato C.. Ciò nonostante il tema, potenzialmente decisivo per le circostanze che in tal modo venivano evidenziate all'attenzione della corte di appello, è stato totalmente pretermesso.
Tanto integra il reclamato vizio di motivazione.
7. In punto di fatto torna utile ribadire alcune circostanze, per come si traggono dalla lettura dalla decisione qui impugnata: la A.S.F. venne investita "dal mezzo che, dalla pubblica via, stava entrando nell'area direttamente interessata dai lavori" mentre ella "transitava sul marciapiede attiguo al cancello d'entrata secondaria dell'istituto scolastico dove erano in corso lavori di edificazione di un nuovo complesso edilizio".
La Corte di appello ha ritenuto che gli odierni ricorrenti dovessero, per le qualità da loro assunte, interdire il transito pedonale nella zona dove dovevano transitare i mezzi pesanti diretti al cantiere; ovvero, dare un'adeguata informazione al pedone del pericolo derivante dal transito di veicoli in arrivo ed in uscita dal cantiere.
Tali obblighi sono stati ricavati dall'art. 96 d.lgs. n. 81/2008, che impone al datore di lavoro di predisporre l'accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili.
7.1. Occorre porre alcuni punti fermi. La zona di accesso al cantiere è da un verso facilmente individuabile; almeno nei cantieri che risultano recintati, come quello che qui interessa, l'accesso coincide con il varco che permette il transito verso e dal cantiere. Meno agevole è delimitare lo spazio fisico che perbene all'accesso; operazione tuttavia necessaria per non giungere al paradosso, segnalato dai ricorrenti, di considerare zona di accesso al cantiere anche la via pubblica che deve essere percorsa per giungere in prossimità di quel varco.
Il criterio che deve guidare la ricerca della soluzione interpretativa deve essere rinvenuto nel principio che sottostà all'attribuzione di compiti doverosi, ovvero quello della titolarità di poteri che consentono l'assolvimento dei correlati doveri. Detto altrimenti, non possono rientrare nell'area di accesso al cantiere zone sulle quali il soggetto gravato di obblighi che pertengono alla stessa non abbia poteri dispositivi; correlativamente, non si possono riferire al titolare del potere dispositivo obblighi comportamentali che eccedano quel potere. E pertanto non può rientrare nella zona di accesso al cantiere, secondo la accezione che rileva ai fini dell'applicazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro, il marciapiede esterno al varco, se di proprietà pubblica o comunque non nella disponibilità del datore di lavoro, chiamato a gestire i rischi derivanti dal transito attraverso l'accesso al cantiere.
Va quindi escluso che la corte abbia fondatamente posto a carico degli odierni ricorrenti di non aver limitato il transito dei pedoni su un'area che, certamente estranea al cantiere e costituita da componenti della viabilità pubblica (marciapiedi e carreggiate) non erano nella disponibilità degli stessi.
7.2. Non v'è dubbio, per contro, che sul P.G., in qualità di datore di lavoro, gravasse l'obbligo di predisporre l'accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili, secondo quanto può trarsi dal menzionato art. 96. Questa previsione rimanda implicitamente alle disposizioni di maggior dettaglio tecnico, le quali indicano quali caratteristiche deve avere la segnaletica. L'ALL. XXIV, 2.1.4. al d.lgs. n. 81/2008 prevede che "la segnaletica delle vie di circolazione deve essere di tipo permanente e costituita da un colore di sicurezza". Occorreva quindi rendere percepibile la via di circolazione passante per l'accesso al cantiere. Nella specie, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, tale cartellonistica specifica era assente.
7.3. Ma ciò posto, sarebbe stato necessario accertare anche la cd. causalità della colpa; ovvero verificare che la condotta doverosa, qualora posta in essere, avrebbe evitato l'evento illecito.
A tal proposito la corte territoriale si è limitata ad affermare lapidariamente che l'infortunio era dipeso "proprio dalla mancata predisposizione di limitazioni all'accesso al cantiere".
Orbene, risulta palese la manifesta illogicità della traduzione dell'obbligo di segnalazione dell'accesso e della recinzione del cantiere in quello di limitare l'accesso allo stesso; come vi è manifesta incongruenza tra l'affermazione dell'esistenza di un obbligo di interdire il transito dei pedoni nella zona di accesso al cantiere e limitare l'accesso al cantiere.
Piuttosto, la corte avrebbe dovuto accertare se in presenza di cartellonistica conforme alla menzionata prescrizione l'investimento del pedone si sarebbe comunque verificato o meno. Il tema della causalità della colpa è stato invece totalmente pretermesso dalla Corte distrettuale, che si è limitata ad argomentare in merito all'esistenza di una posizione di garanzia in capo agli odierni ricorrenti e alla violazione di talune norme prevenzionistiche.
7.4. Con riferimento alla posizione dello S.M., poi, si rinviene un ulteriore vizio. La corte distrettuale ha ricavato dalla titolarità di alcuni ruoli la titolarità di un generale, onnicomprensivo obbligo di garantire la sicurezza del lavoro. Poiché lo S.M. aveva rivestito il ruolo di coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione e di direttore dei lavori, egli era tenuto ad "attuare le prescritte misure di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate". Un simile approccio al tema della responsabilità penale avvia rapidamente alla fondazione del rimprovero penale sulla mera responsabilità oggettiva. Come ripete la giurisprudenza di questa Corte, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015 - dep. 08/06/2015, Ruocco, Rv. 264128). Ma non solo: l'individuazione di una posizione di garanzia non esaurisce l'indagine sul piano obbiettivo, dovendo ancora essere individuata la regola cautelare che integra e delimita l'ampiezza della posizione gestoria. Essa non può rinvenirsi in norme che attribuiscono compiti senza individuare le modalità di assolvimento degli stessi, dovendosi, invece, aver riguardo esclusivamente a norme che indicano con precisione le modalità e i mezzi necessari per evitare il verificarsi dell'evento (Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015 - dep. 24/03/2016, P.G. in proc. e altri in proc. Barberi e altri, Rv. 267813).
Anche a questo compito la Corte di appello si è indebitamente sottratta.
7.5. I restanti motivi restano assorbiti.
8. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia, competente ai sensi del combinato disposto agli articoli 623 cod. proc. pen. e 175 disp. att. cod. proc. pen.
 

 

P.Q.M.

 


annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4/12/2018.