Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2019, n. 17190 - Infortunio causato dall'improvvisa rottura delle funi d'acciaio di una gru. Prescrizione


Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 11/01/2019

 

 

 

FattoDiritto

 


1. La Corte d'appello di Ancona, con sentenza emessa in data 12/10/2017, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Ascoli Piceno, ha rideterminato la pena inflitta agli imputati P.E. e F.P., ritenuta la equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle aggravanti contestate, in quella di mesi 1 gg. 15 di reclusione ciascuno, confermando nel resto la pronuncia di responsabilità a carico dei predetti imputati per il reato di lesioni colpose, commesse con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del lavoratore H.S..
2. Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito, la parte offesa al momento dell'infortunio era impegnata a manovrare una gru in un cantiere edile, per trasportare sacchi di materiale al secondo piano di un edificio presso il quale si stavano svolgendo lavori di intonacatura. L'infortunato era alle dipendenze di P.E., titolare di una ditta individuale incaricata di lavori ottenuti in subappalto dalla ditta di C.F., a sua volta subappaltatrice della ditta di cui era titolare F.P.. Il lavoratore aveva provveduto al sollevamento del materiale da terra fino al secondo piano utilizzando, con l'apposita pulsantiera, la gru della impresa F.P. presente nel cantiere, aveva quindi scaricato il materiale e predisposto il rialzo delle forche e del bancale scarico per far ruotare il braccio della gru e procedere ad un nuovo sollevamento. Nel compiere tale operazione era stato improvvisamente investito dalle forche e dal bancale vuoto, che si erano staccati per la rottura delle funi d'acciaio della gru.
Si accertava nel corso della istruttoria, si legge in sentenza, che la gru era del tutto inidonea all'utilizzo per non essere stata sottoposta alle dovute revisioni. Si accertava altresì che la ditta di cui era dipendente il lavoratore non aveva predisposto alcun piano di sicurezza. Sulla base di tali elementi i giudici di merito pervenivano alla condanna degli imputati nelle rispettive qualità, ritenendo dimostrata la loro responsabilità per le lesioni cagionate al lavoratore in conseguenza della violazione dell'art. 71, comma 1, d.lgs. 81/2008.
Avverso la sentenza di cui sopra hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori, deducendo, in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Per F.P.: con il primo motivo il difensore deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 590, comma 3, cod. pen.
L'imputato, si legge nel ricorso, viene chiamato a rispondere del reato di lesioni solo per avere fornito la gru risultata non conforme agli standard di sicurezza. All'esito della istruttoria, tuttavia, non risulterebbe in alcun modo dimostrato che sia stato proprio il P.F. a mettere a disposizione della ditta esecutrice dei lavori la gru oggetto di imputazione. Inoltre, non essendovi alcun obbligo contrattuale da parte del P.F. nei confronti dei lavoratori della ditta del P.E., nessun obbligo cautelare si poteva configurare a suo carico.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione agli arti. 192 cod. pen.; 41, comma 2, cod. pen.; 71 comma 1 d.lgs. 81/08. La Corte territoriale avrebbe omesso di motivare compiutamente in ordine alla violazione delle regole cautelari poste a carico del ricorrente.
Con il terzo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Secondo quanto si legge nel ricorso, la Corte di merito avrebbe mancato di valutare la condotta esorbitante del lavoratore rispetto alle istruzione Impartite ed alle mansioni che gli erano state affidate.
Per P.E.: con il primo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'alt. 590, comma 3, cod. pen.
La difesa si duole della genericità del capo di imputazione nel quale sarebbe assente ogni specificazione riguardante le regole cautelari che si assumono violate.
Nel secondo motivo deduce vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione in relazione agli articoli 192, 41 comma 2, 113 cod. pen. e 71 comma 1 d.lgs. 81/08. La sentenza della Corte d'appello sarebbe palesemente ingiusta, errata e contraddittoria poiché non farebbe corretta applicazione delle norme che regolano la materia e fonderebbe il giudizio di responsabilità in capo all'imputato sulla base di un ragionamento puramente ipotetico. Si contesta il fatto che il giudice abbia ritenuto la infondatezza della tesi difensiva circa il comportamento imprevedibile dei lavoratore infortunato.
Nel terzo motivo,deduce violazione degli artt. 590 cod. pen., 113 e 41, comma 2, cod. pen. lamentando che il comportamento del lavoratore è stato del tutto esorbitante ed imprevedibile.
Nel quarto motivo deduce la violazione dell'art. 526, comma 1, cod. pen.
La pronuncia sarebbe ingiusta ed errata perché fondata unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa la quale si è sottratta al confronto dibattimentale.
Nel quinto motivo di ricorso invoca la prescrizione del reato.
3. I ricorsi in esame impongono le considerazioni che seguono.
Osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare, ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo maturato il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, da farsi decorrere dall'1/12/2009. Tenuto conto dei periodi di sospensione della prescrizione che ammontano compessivamente a giorni 248, il reato risulta estinto per prescrizione alla data del 4/2/2018.
Deve rilevarsi che i ricorsi in esame non presentano profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basati su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione.
Pertanto, sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, maturata successivamente rispetto alla sentenza impugnata.
E' appena il caso di rilevare che risulta superfluo qualsiasi approfondimento al riguardo, proprio in considerazione della maturata prescrizione: invero, a prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti dei ricorrenti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rileva la sussistenza di eventuali nullità (anche se di ordine generale) o di vizi di motivazione, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito che ne deriverebbe, è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28.11.2001, dep. 11.01.2002, Rv. 220511).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., in ragione delle risultanze processuali di cui dà atto la Corte d'appello. Come è noto, ai fini della eventuale applicazione delia norma ora citata, occorre che la prova della insussistenza del fatto o della estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni poste a fondamento della sentenza impugnata. Sotto questo profilo nella motivazione della sentenza della Corte di appello non sono riscontrabili elementi di giudizio indicativi della prova evidente dell'innocenza dei ricorrenti.
2. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
In Roma, così deciso in data 11 gennaio 2019