• Infortunio sul Lavoro
  • Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Datore di Lavoro
  • Committente
  • Delega di Funzione

  

  

 

B.O. e R.S., mentre erano occupati ai lavori di rimozione di alcune travi in ferro di sostegno dei solai di un vecchio edificio, cadevano da circa 15 metri per l'improvviso cedimento di  parte del solaio sul quale stavano operando e decedevano immediatamente.

  

Triplice responsabilità:

- D.S. quale amministratore unico della società "D.I s.r.l." (società all'epoca proprietaria dell'edificio) ed allo stesso tempo della società "F. s.r.l." alla quale la predetta società aveva commissionato l'esecuzione dei lavori di "consolidamento e di ristrutturazione" dell'intero edificio; 

- P., già procuratore della società ex proprietaria dell'immobile ed anche fiduciario della "D.I s.r.l." allo scopo di gestire i lavori in questione;

- C. nella qualità di custode e di responsabile del cantiere.

  

Responsabilità di D.S. e P. per aver omesso di dare esecuzione all'ordinanza del sindaco del Comune di Catania con la quale la società proprietaria dell'immobile era stata diffidata a provvedere, immediatamente, stante le accertate condizioni di abbandono e di degrado dell'immobile, ad eseguire i lavori necessari al fine di eliminare ogni pericolo per la pubblica incolumità.
Responsabilità per avere altresì il D.S., avvalendosi dell'intervento quale fiduciario del P., dato incarico per l'esecuzione dei lavori di taglio di alcune delle travi del solaio dell'immobile che risultavano fortemente danneggiate agli operai B.O. e R.S., benchè non avessero alcuna esperienza nel settore.
Responsabilità per avere tutti e tre gli imputati consentito che l'esecuzione dei lavori avvenisse in assoluta violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare di quanto previsto dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 71 e segg. (che si attengono alle precauzioni da osservarsi nel corso dei lavori di demolizione, onde evitare il verificarsi di infortuni), dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7
,*(sulla idoneità tecnico professionale delle imprese e dei soggetti ai quale affidarsi i lavori in appalto o con contratto d'opera) ed ancora, dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 3 sulle informazioni che il datore di lavoro deve dare ai lavoratori autonomi circa i rischi specifici esistenti sul posto di lavoro ove gli stessi sono chiamati a prestare la loro opera.

  

Ricorrono in Cassazione i tre imputati - Respinti.

  

In via preliminare si evidenzia la manifesta infondatezza del motivo, comune a tutti i ricorsi, relativo alla dedotta erronea ammissione della costituzione di parte civile del sindacato C.G.I.L..

Questa Corte ha osservato: "poichè la L. 20 maggio 1970, N. 300, art. 9 - Statuto dei Lavoratori - tutela la salute ed integrità fisica degli stessi, riconoscendo loro il diritto, mediante proprie rappresentanze, di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione, l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute ed integrità, tale rappresentanza è generalmente svolta dalle organizzazioni sindacali cui i lavoratori aderiscano, comportando l'adesione anche il mandato a rappresentarli per l'esercizio dei loro diritti."

  

Per quanto riguarda le responsabilità, la Corte afferma  che "la situazione ambientale era senza alcun dubbio tale da imporre l'assoluto divieto per chiunque (anche se si fosse trattato di un prestatore d'opera od esecutore di lavori in appalto, ovvero in condizioni di piena autonomia: il che in presenza di un cantiere in attività, qual era quello aperto nel sito si realizzava effetivamente) di accedere all'interno dell'edificio e di eseguirvi dei lavori, se non dopo che l'intera struttura fosse stata messa in sicurezza e dopo che fossero adottate tutte quelle misure di protezione e quegli accorgimenti che si rendevano necessari".
 

Inoltre, come più volte ribadito, "l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento".

 

In ordine all'altra doglianza, secondo cui il D.S., risiedendo altrove, non si era mai occupato delle attività che si svolgevano nell'edificio, avendo a tal fine nominato quale suo procuratore speciale il P., si osserva che nella materia infortunistica, perchè possa prodursi l'effetto del trasferimento dell'obbligo di prevenzione dal titolare della posizione di garanzia ad altri soggetti inseriti nell'apparato organizzativo dell'impresa (siano essi responsabili di settore o capireparto) è necessaria una delega di funzioni da parte dell'imprenditore o del datore di lavoro che deve trovare consacrazione in un formale atto di investitura,in modo che risulti certo l'affidamento dell'incarico a persona ben individuata, che lo abbia volontariamente accettato nella consapevolezza dell'obbligo di cui viene a gravarsi; quello cioè di osservare e fare rispettare la normativa di sicurezza.
Delega che nel caso concreto non è stata conferita.


(*vd. ora D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. D.S.F., n. il (OMISSIS);
2. P.A., n. il (OMISSIS);
3. C.L., n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d'Appello di CATANIA in data 12.01.2007;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Claudio D'Isa;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del Dott. Angelo Di Popolo che chiede rigettarsi i ricorsi.
L'Avv. Merlino Vincenzo, difensore delle parti civili L.M., R.G., R.L. e R.D. chiede la conferma
della sentenza impugnata, come da conclusioni scritte e nota spese che deposita.
L'Avv. Mellia Vincenzo in sostituzione dell'avv. Granata Pietro Nicola, difensore della parti civili B.G., B.
V. e B.C. chiede il rigetto dei ricorsi.
L'avv. Pennini Rosario in sostituzione dell'avv. Miano Salvatore difensore di P.A. chiede l'accoglimento del ricorso.

Fatto

La Corte d'Appello di Catania, in data 12.01.2007, in parziale riforma della sentenza di condanna, emessa il 16.12.2002 dal Tribunale dello stesso capoluogo nei confronti di D.S.F., P.A. e C.L., in ordine al reato di omicidio colposo, con violazione delle norme antinfortunistiche, ai danni di B.O. e R.S., ha revocato il beneficio della sospensione condizionale concesso agli imputati ed ha dichiarato condonato le pene inflitte in primo grado determinando in Euro 20.000,00 la somma da versarsi a titolo provvisionale in favore di ciascuna delle costituite parti civili.

In sintesi i fatti di causa come ritenuti dai giudici di merito.
 
Nel primo pomeriggio dell'(OMISSIS), intorno alle ore 14.45, B.O. e R.S. stavano accudendo ai lavori di rimozione di alcune travi in ferro di sostegno dei solai di un vecchio edificio, costituito da un vasto complesso suddiviso in più plessi ed ubicato a (OMISSIS)), avvalendosi, per come poi accertato, oltre che della fiamma ossidrica (come previsto almeno a quanto si evince dalle fatture prodotte in atti) anche dell'utilizzo di un martello pneumatico per disincagliare le travi nelle parti in cui si trovavano innestate nei muri perimetrali, allorchè, all'improvviso, parte del solaio sul quale stavano operando cedeva trascinando anche porzione del muro di appoggio delle travi, determinandosi così la caduta dei due operai (i cui corpi sono stati trovati al disotto di un cumulo di macerie) da un'altezza di circa mt. 15 ed il loro istantaneo decesso per il grave traumatismo riportato.

I giudici di merito hanno individuato a carico degli imputati specifici elementi di colpa.
 
Si è addebitato agli imputati, in cooperazione fra di loro, agendo il D.S. quale amministratore unico della società "Delar Immobiliare s.r.l." (società all'epoca proprietaria dell'edificio comunemente conosciuto a (OMISSIS)) ed allo stesso tempo della società "Federcostruzioni s.r.l." alla quale la predetta società aveva commissionato l'esecuzione dei lavori di "consolidamento e di ristrutturazione" dell'intero edificio; il P., già procuratore della società "Centro Direzionale Sicilia Est s.p.a" (ex proprietaria dell'immobile) ed anche fiduciario per la zona di (OMISSIS) della "Delar Immobiliare s.r.l." allo scopo di gestire i lavori in questione ed, infine, il C. nella qualità di custode e di responsabile del cantiere: Nell'avere il D.S. ed il P. omesso di dare esecuzione all'ordinanza del sindaco del Comune di Catania n. 1447 dell'11/10/1995, poi reiterata con ordinanza n. 1275 del 21/12/1998, con la quale la società proprietaria dell'immobile era stata diffidata a provvedere, immediatamente, stante le accertate condizioni di abbandono e di degrado dell'immobile, ad eseguire i lavori necessari al fine di eliminare ogni pericolo per la pubblica incolumità (messa in sicurezza generale dell'immobile per evitare crollo di parti della struttura di questo sia all'esterno che all'interno);
Nell'avere altresì il D.S., avvalendosi dell'intervento quale fiduciario del P., dato incarico per l'esecuzione dei lavori di taglio di alcune delle travi del solaio dell'immobile che risultavano fortemente danneggiate agli operai B.O. e R.S., benchè non avessero alcuna esperienza nel settore e pur richiedendosi invece, per la natura e tipologia dei lavori, l'impiego di manovalanza particolarmente specializzata nel settore, ed essendo, invece, il B. soltanto un artigiano che aveva nel passato svolto attività, come titolare di ditta individuale nel settore della riparazione delle macchine agricole;
Nell'avere tutti e tre gli imputati, il C. quale responsabile del cantiere ed assolvendosi dal medesimo anche le mansioni di custode, consentito che l'esecuzione dei lavori nel corso dei quali si è verificato l'incidente, che ha provocato la morte dei due lavoratori, avvenisse in assoluta violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare di quanto previsto dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 71 e segg. (che si attengono alle precauzioni da osservarsi nel corso dei lavori di demolizione, onde evitare il verificarsi di infortuni), dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 (sulla idoneità tecnico professionale delle imprese e dei soggetti ai quale affidarsi i lavori in appalto o con contratto d'opera) ed ancora, dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 3 sulle informazioni che il datore di lavoro deve dare ai lavoratori autonomi circa i rischi specifici esistenti sul posto di lavoro ove gli stessi sono chiamati a prestare la loro opera;
In generale, nel non avere adottato le opportune misura di sicurezza strutturali (quali la predisposizione di ponteggi od altro) idonee e necessarie al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori.

La Corte d'appello, nel fare proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, ha ritenuto infondati i motivi posti a base dell'appello.
 
Ricorrono in Cassazione tutti e tre gli imputati.
 
D.S.F. denuncia:

Con un primo motivo violazione di legge nella specie degli artt. 42, 43, 113 e 589 c.p. evidenziandosi che l'evento letale, sotto il profilo del rapporto di causalità oggettiva e soggettiva, non si collega al comportamento dell'imputato quale proprietario dell'immobile.
Il luogo ove avvenuto l'infortunio non poteva considerarsi un cantiere (come emerge dalle dichiarazioni dell'ispettore del lavoro Ro.) nè si svolgevano attività tipiche di un cantiere, anche perchè mancava la forza motrice per svolgere i lavori.
Nè il ricorrente può ritenersi datore di lavoro o committente: le due qualifiche sono state confuse dai giudici di merito, poichè dalla prima scaturisce un rapporto di lavoro subordinato, dalla secondo un rapporto di lavoro autonomo.
La circostanza che il B. sia rimasto anch'egli vittima dell'incidente ha contribuito a creare una grave confusione nell'individuazione della responsabilità penale.
E', invece, emerso in modo inconfutabile che il rapporto intercorso tra il D.S. ed il B. concretizzava un contratto di appalto o, quantomeno, di contratto d'opera, che in quanto tale ha comportato l'assunzione del rischio e l'autonomia del lavoro da parte del B., per altro titolare di partita IVA ed iscritto alla camera di commercio, tanto che nel caso di specie, quale modalità di pagamento, sono state emesse da B. due fatture di acconto.
Altra violazione di legge, con riferimento alle disposizioni normative già citate, viene ravvisata nella mancata affermazione del concorso di colpa prevalente del B., implicitamente riconosciuto dagli stessi giudici di merito i quali non hanno potuto smentire che sotto il profilo causale l'evento è stato prodotto dal B., il quale senza alcuna autorizzazione e di sua iniziativa ha utilizzato un martello pneumatico tagliando impudentemente e con negligenza una trave portante che ha causato il crollo del solaio.
Se il B. avesse rispettato gli impegni assunti con il contratto di appalto, che non prevedevano l'uso del martello pneumatico, l'evento non si sarebbe verificato.
Inoltre il D.S., che risiede a (OMISSIS), non si è mai direttamente occupato della attività che si svolgeva nell'edificio sito in (OMISSIS), avendo a tal fine nominato, quale suo procuratore speciale, il P.A. il quale si era occupato personalmente di tutte le attività relative alle esecuzione dei lavori. Con un quarto motivo si eccepisce la nullità della sentenza in quanto i giudici di appello hanno omesso di dichiarare la contumacia dell'imputato con le ovvie conseguenze in ordine alla tutela del diritto di difesa.
Da ultimo, si contesta l'erronea ammissione della costituzione di parte civile del sindacato CGIL in quanto soggetto non legittimato a costituirsi p.c. non avendo subito un danno immediato e diretto (V. sentenza pag. 5).
 
Il P.A. denuncia:
 
con un primo motivo violazione di legge.
Si eccepisce l'erronea ricostruzione dei fatti ed in particolare l'erronea attribuzione al ricorrente di una qualifica mai rivestita.
Ed infatti la qualità addebitata al P. di "procuratore della Centro Direzionale Sicilia est s.p.a." era cessata con la vendita dell'immobile in questione, in data 19.09.1999, da parte della suddetta società alla DELAR Immobiliare s.r.l., rappresentata dal D.S.F., venendo così a cessare ogni correlativo potere nella persona del P..
Nè a far assumere un ruolo di cointeressenza nella successiva fase di ristrutturazione dell'edificio in capo al P. è la circostanza che costui abbia indicato ditte e persone ai responsabili della Federcostruzioni s.r.l., rappresentata dal D. S.. In modo illegittimo la Corte territoriale ha respinto i rilievi difensivi in ordine all'assunto accusatorio che il P. rivestisse il ruolo di "fiduciario per la zona di (OMISSIS) della DELAR immobiliare s.r.l. al fine di gestire in loco l'esecuzione dei lavori".
Si evidenzia la mancanza di qualsiasi valutazione da parte della Corte in ordine alla posizione di piccolo imprenditore del B., documentalmente provata, e di datore di lavoro del R., nonchè il rigetto della richiesta di disporre l'acquisizione di informazioni presso la Camera del Commercio per verificare che il B. era iscritto nell'elenco degli artigiani della Provincia, e quella di verificare per quali importi il B. presentò negli ultimi anni '90 le dovute dichiarazioni dei redditi.
Sul punto non v'è alcuna motivazione, nonostante la difesa avesse rappresentato che il B. avesse ricevuto in un arco di tempo del (OMISSIS) incassi aggiratisi intorno ai cento milioni di lire, cioè quelli di un piccolo imprenditore. Per altro appare inspiegabile che cinque su otto dei prossimi congiunti abbiano rinunciato all'eredità del B., non può essere escluso il sospetto che tra i familiari del predetto vi sia stata una spartizione complessa del patrimonio.
Si denuncia altra violazione di legge nella specie dell'art. 2222 c.c. che definisce e regola il contratto d'opera, posto alla base degli intervenuti accordi per il taglio delle travi in ferro ad opera del B. verso un corrispettivo previamente stabilito tra le parti, ma senza che fosse stabilito un tempo breve e/o continuativo per il compimento di quel servizio, così come sempre evidenziato dalla difesa degli imputati ricorrendone tutti i presupposti, nonchè essendovi prova sicura in atti che non vi è stata alcuna prestazione continuativa con il B. e/o di altri per l'effettuazione di quei tagli di travi.
La Corte di merito ha omesso di affrontare e di decidere sul dedotto contratto d'opera, confermato dalle circostanze che non venne convenuta altra modalità di esecuzione al di fuori dell'utilizzo della fiamma ossidrica, nè che il lavoro dovesse essere eseguito dal solo B. o insieme ad altri, nè intervenne mai alcun sollecito dal committente o da un suo incaricato affinchè il B. accelerasse i tempi di esecuzione del lavoro, ed anche dalle prove in atti circa il convenuto corrispettivo del lavoro autonomo che doveva essere svolto dall'artigiano B. titolare di sede di piccola impresa artigianale senz'altra aggiunta che possano far ritenere un diverso accordo estraneo allo schema del contratto d'opera. Con un secondo motivo si denuncia vizio motivazionale in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Con un terzo motivo: si deduce violazione dell'art. 74 c.p. relativamente alla mancata revoca della costituzione di parte civile del sindacato.
 
C.L. denuncia:
 
Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, derivata dall'erronea valutazione dell'assetto probatorio.
Secondo l'impugnata sentenza il ricorrente, lungi dall'essere un semplice custode avrebbe svolto funzioni di capo-cantiere, attribuendo all'imputato un ruolo e degli interessi ben diversi rispetto a quelli di un mero lavoratore subordinato, considerato, invece, vero e proprio faccendiere del P.A., suo diretto referente, ora aprendo e chiudendo il cantiere, altre volte prendendo in consegna merci in arrivo, o ancora pagando gli stipendi agli operai o assumendone nuovi.
Tale ricostruzione è palesemente contraddetta da riscontri probatori.
Nella sentenza impugnata si richiama uno specifico episodio in cui il C. avrebbe indicato al B. un'utenza elettrica presso cui prelevare la corrente, ciò per i giudici di merito darebbe contezza delle mansioni realmente svolte dal C., non un semplice custode ma un factotum del P.. Ciò è contraddetto dalle dichiarazioni rese da C.A. (sentito silo a s.i.t.) titolare dell'utenza elettrica, ha dichiarato che la Cortesia di poter usufruire del proprio allaccio elettrico gli era stata richiesta da un individuo qualificatosi come operaio e poi identificato nel B., e di non aver mai avuto a che fare con nessun direttore dei lavori, nè tanto meno con una persona a nome C.L.. In tal senso anche le dichiarazioni di Ro.
R. dipendente dell'ispettorato del lavoro e di R. S., titolare di una ditta di ponteggi, entrambi hanno dichiarato che il ricorrente si occupava di aprire e chiudere i cancelli. Inoltre L.R.S., cassiere del "Caffè Alcali", bar ubicato nelle vicinanze del cantiere, e l'architetto M. G., firmatario del progetto di messa in sicurezza dello stabile, hanno riferito che il C. ricopriva il ruolo di custode del cantiere, senza nessun ruolo di gestione di direzione o controllo dei lavori.
Quanto al rapporto che legava le due vittime alla "FEDERCOSTRUZIONI s.r.l.", diversamente da come ritenuto in sentenza secondo cui esse lavoravano alle dirette dipendenze della società, assunti formalmente dal D.S. e assegnati alle loro mansioni dal P. e dal C., sostanzialmente si censura la sentenza con le stesse argomentazioni svolte dagli altri due ricorrenti.
Inoltre, con riferimento al ruolo svolto dal P.A., come ritenuto in sentenza emerge che il P. è l'unico responsabile del cantiere in quanto colui che si occupava in prima persona di tutte le incombenze afferenti al cantiere, e che quindi il C. non può, per ovvia conseguenza, essere in alcun modo sostituto stabile del primo.
Infine si denuncia carenza assoluta di motivazione in ordine alle denegate attenuanti generiche.
 
Diritto
 
I motivi addotti, posti a base dei ricorsi, in parte non sono consentiti in sede di legittimità, perchè concernono differenti valutazioni di risultanze processuali ed allegazioni di fatto, ed in parte manifestamente infondati, sicchè i ricorsi devono essere tutti dichiarati inammissibili.
In via preliminare si evidenzia la manifesta infondatezza del motivo, comune a tutti i ricorsi, relativo alla dedotta erronea ammissione della costituzione di parte civile del sindacato C.G.I.L..
Questa Corte ha osservato: poichè la L. 20 maggio 1970, N. 300, art. 9 della - Statuto dei Lavoratori - tutela la salute ed integrità fisica degli stessi, riconoscendo loro il diritto, mediante proprie rappresentanze, di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione, l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute ed integrità, tale rappresentanza è generalmente svolta dalle organizzazioni sindacali cui i lavoratori aderiscano, comportando l'adesione anche il mandato a rappresentarli per l'esercizio dei loro diritti. (V. sezione 4, sentenza n. 10048 del 16.07.1993, Rv. 195706).
Dunque, è corretta la motivazione sul punto della Corte d'Appello laddove ha evidenziato che l'organizzazione sindacale è portatrice di un interesse che è tanto generale quanto specifico dei singoli soggetti che in questa si identificano ed a questa prestano adesione, come nel caso concreto l'infortunato lavoratore R.S..
L'analisi dei motivi presentati dal D.S., che coinvolge anche quelli posti a base degli altri ricorsi, in ordine al rapporto intercorso (V. parte narrativa) tra il ricorrente e le vittime dell'infortunio sul lavoro di cui trattasi, non può prescindere da rilievi di fatto secondo cui il B. ed il R. stavano operando nell'ambito della struttura immobiliare di cui trattasi di proprietà della "Delar Costruzioni s.r.l", come da atto di acquisto del (OMISSIS), il cui amministratore legale rappresentante era all'epoca il D.R., che il B. iniziò il lavoro di rimozione di alcune travi in ferro di sostegno dei solai del vecchio edificio già dal mese di settembre del (OMISSIS), contattato dal P.; costui, nel mese di novembre dello stesso anno, si qualificò coordinatore dei lavori di messa in sicurezza dell'edificio ai vigili urbani del Comune di Catania intervenuti sul posto che costatarono la presenza di operai e lavori di bonifica in corso. Dunque, innanzitutto è del tutto disancorata dai suddetti dati fattuali l'osservazione del ricorrente D.S. secondo cui il luogo ove è avvenuto l'infortunio non poteva considerarsi un cantiere, atteso che, da come è emerso documentalmente (ordinanza sindacale 1147 del 1995 che aveva imposto lavori di messa in sicurezza e telegramma del P.A. dell'8.07.1999 con cui comunicava alla Direzione Gestione del Territorio di Catania la ripresa dei lavori Mulino Santa Lucia e relativa occupazione di suolo pubblico....) ed attraverso i sopralluoghi effettuati dai VV.UU. l'area circostante il vecchio edificio era interessata da lavori di risanamento e, quindi, poteva definirsi cantiere a tutti gli effetti.
Quanto al rapporto lavorativo intercorso tra il B. ed il R. e la "Delar Costruzioni s.r.l.", indipendentemente dal fatto che lo si voglia definire appalto (ma sembra più appropriato parlare di contratto d'opera) non per questo sarebbero venuti meno gli obblighi del committente di assicurare che la prestazione di lavoro avvenisse in luogo protetto e privo di pericoli per la sicurezza.
Risulta infatti dalle sentenze di merito che ci si troverebbe comunque in presenza di un contratto il cui oggetto era costituito dai lavori di demolizione di alcune travi di ferro.
Se l'oggetto del contratto d'opera era questo - nè risulta, dagli accertamenti svolti dal giudice di merito, esistesse un regolamento contrattuale che prevedesse anche la predisposizione delle misure di prevenzione nei luoghi di lavoro - ne consegue che competeva al committente tale predisposizione per garantire la sicurezza di chi, in questo luogo, si trovasse a prestare la propria attività, qualunque fosse il titolo in base al quale ciò avveniva.
E anche se il contratto dovesse essere qualificato come appalto ne conseguirebbe l'applicazione al caso di specie della disciplina prevista dal D.Lgs.19 settembre 1994, n. 626, art. 7, comma 2 che prevede un obbligo di cooperazione e coordinamento tra appaltante e appaltatore nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione.
Anzi, per il comma 3 di questa norma, incombe sul datore di lavoro committente promuovere la cooperazione e il coordinamento.
E questo obbligo deve ritenersi escluso soltanto nel caso previsto dal ricordato art. 7, comma 3, u.p. (che esclude l'obbligo per il datore di lavoro committente per i "rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi"); esclusione che va riferita non alle generiche precauzioni da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti ma alle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale - generalmente mancante in chi opera in settori diversi - nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine.
Come è ovvio, non può quindi considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica necessità di impedire crolli di solai dovuta alla fatiscenza delle strutture portanti, questo pericolo, riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche competenze (Sez. 4, Sentenza n. 12348 del 29/01/2008 Ud. Rv. 239252).
E' puntuale l'osservazione della Corte territoriale secondo cui la situazione ambientale era senza alcun dubbio tale da imporre l'assoluto divieto per chiunque (anche se si fosse trattato di un prestatore d'opera od esecutore di lavori in appalto, ovvero in condizioni di piena autonomia: il che in presenza di un cantiere in attività, qual era quello aperto nel sito si realizzava effetivamente) di accedere all'interno dell'edificio e di eseguirvi dei lavori, se non dopo che l'intera struttura fosse stata messa in sicurezza e dopo che fossero adottate tutte quelle misure di protezione e quegli accorgimenti che si rendevano necessari al fine di prevenire possibili infortuni, che, nel caso concreto, erano intuibili ed estremamente probabili, atteso che i due operai eseguivano il taglio delle travi a notevole altezza dal suolo, con mezzi inadeguati, operando su dei fatiscenti solai, alcuni dei quali in precedenza erano crollati anche senza intervento umano.
E si aggiunge che "è impensabile, quant'anche dovesse accedersi alla tesi prospettata dai difensori che il B. ed il R. lavorassero in piena autonomia, che gli stessi da soli potessero mettere in atto quei dispositivi di sicurezza e prevenzione che invece incombevano sul proprietario dell'immobile e su colui a vantaggio del quale i lavori venivano eseguiti".
Anche il secondo motivo, con cui si denuncia la mancata affermazione del concorso di colpa prevalente di B., è manifestamente infondato.
Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è più che congrua nel rilevare che dall'inadempimento relativo all'omessa adozione di misure antinfortunistiche è derivata l'evento letale di cui trattasi e che nessuna incidenza significativa assume il comportamento delle vittime.
D'altronde non può certo ritenersi abnorme il comportamento delle parti offese atteso il contesto lavorativo in cui si è verificato l'infortunio; essendo stato loro richiesto di demolire le travi in ferro, senza essere muniti di attrezzatura idonea, si sono adoperati alla men peggio per assolvere il compito, adoperando quella in loro possesso.
Rileva la Corte del merito: il dato fattuale che i due operai abbiano scelto di utilizzare il martello pneumatico invece che la fiamma ossidrica, come sarebbe stato previsto negli accordi sulle modalità da eseguirsi per il taglio delle travi, non esclude la responsabilità degli imputati sui quali incombeva l'onere di seguire i lavori, di apprestare le misure antinfortuni e di assicurare ad essi con la loro presenza quella vigilanza da cui derivava anche il richiamo sulla pericolosità di tale condotta in presenza di condizioni critiche dell'edificio.
Al contrario, per come è emerso dall'istruttoria, è stato proprio il C. ad indicare l'utenza elettrica di un'officina poco distante, da dove prelevare la corrente per effettuare il collegamento con il martello pneumatico.
In ordine all'altra doglianza, secondo cui il D.S., risiedendo a (OMISSIS), non si era mai occupato delle attività che si svolgevano nell'edificio sito in (OMISSIS), avendo a tal fine nominato quale suo procuratore speciale il P., si osserva che nella materia infortunistica, perchè possa prodursi l'effetto del trasferimento dell'obbligo di prevenzione dal titolare della posizione di garanzia ad altri soggetti inseriti nell'apparato organizzativo dell'impresa (siano essi responsabili di settore o capireparto) è necessaria una delega di funzioni da parte dell'imprenditore o del datore di lavoro che deve trovare consacrazione in un formale atto di investitura,in modo che risulti certo l'affidamento dell'incarico a persona ben individuata, che lo abbia volontariamente accettato nella consapevolezza dell'obbligo di cui viene a gravarsi; quello cioè di osservare e fare rispettare la normativa di sicurezza.
Se, dunque, è possibile che l'imprenditore, nel caso di specie il proprietario responsabile del cantiere, possa delegare ad altri gli obblighi attinenti alla tutela delle condizioni di sicurezza del lavoro su di lui incombenti per legge, in quanto principale destinatario della normativa antinfortunistica, qualora sia impossibilitato ad esercitare di persona i poteri-doveri connessi alla sua qualità il cennato obbligo di garanzia può ritenersi validamente trasferito purchè vi sia stata una specifica delega, e ciò per l'ovvia esigenza di evitare indebite esenzioni, da un lato, e, d'altro, compiacenti sostituzioni di responsabilità.
Delega che nel caso concreto non è stata conferita.
Il quarto motivo è inammissibile per la mancanza di specificità.
Si assume che la Corte d'Appello avrebbe dovuto dichiarare la contumacia dell'imputato ma non si adduce una sola ragione, in diritto o in fatto, in base alla quale la Corte avrebbe dovuto prendere tale provvedimento.
E il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr. ex plurimis Cass. 5, 21 aprile 1999, Macis, RV 213812; Cass. 6, 1 dicembre 1993, p.m. in c. Marongiu, RV 197180; Cass. 4, 1 aprile 2004, Distante, RV 228586).
I motivi del P. e del C. possono essere trattati unitariamente, atteso che le censure vengono mosse, in chiave di violazione di legge e vizio motivazionale, in punto di responsabilità, in riferimento alla ritenuta rispettiva posizione di garanzia.
Trattasi di motivi non consentiti in sede di legittimità.
Le censure si basano essenzialmente, come si è visto (V. parte narrativa) sulla diversa valutazione delle risultanze probatorie relative alla qualità, per il P., di fiduciario del D. S., e di capocantiere, per il C., o comunque, responsabile dei luoghi ove si svolgevano materialmente i lavori; le deduzioni non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, in quanto la Cassazione non è giudice delle prove, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto i giudici di merito, ma deve stabilire - nell'ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell'interpretazione del materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove.
Comunque, non è dato rilevare la denunciata errata valutazione dei risultati probatori stante la coerenza logica di tutto il percorso argomentativo della impugnata sentenza che è emerso in maniera del tutto chiara, anche laddove ha fatto proprio le motivazioni, in fatto ed in diritto, del giudice di primo grado.
Il P. eccepisce la mancata acquisizione di una prova ritenuta decisiva a seguito del rigetto illegittimo operato dalla Corte d'Appello in ordine alla richiesta di acquisire presso la Camera di Commercio dati relativi alla posizione di artigiano in proprio del B..
La Corte d'Appello, con motivazione più che esaustiva, ha ritenuto di non aderire alla richiesta dell'imputato per evidenti motivi di supefluità, tenuto conto che gli elementi a carico erano già più che sufficienti alla affermazione della penale responsabilità.
Tale decisione non è sindacabile in punto di legittimità; tra l'altro, la integrazione probatoria richiesta, per quanto argomentato, non presenta i caratteri della decisività, e, passando così all'esame del terzo motivo, si osserva che la mancata acquisizione di una prova decisiva può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell'art. 606 c.p.p., lett. D), quando si tratta di prova determinante, quando cioè la mancanza di tale elemento probatorio abbia inciso a tal punto da portare ad una motivazione basata su affermazioni apodittiche o congetturali (V. Cass. Sez. 1, sent. N. 7399 dell'8.05.1992 Rv. 190718 - Cass. Sez. 1, sent. N. 3182 del 17.01.1995 Rv. 200690 - Cass. Sez. 1, sent. N. 7747 del 23.05.1996, Rv. 205528 - Cass. Sez. 4 sent. N. 11657 del 29.09.2000, Rv. 217273).
Anche il secondo motivo di entrambi i ricorsi può essere trattato contestualmente non ravvisandosi alcuna carenza di motivazione in ordine alle denegate attenuanti generiche ad entrambi gli imputati, "parimente è manifestamente infondato osservandosi che, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. 6, 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua" vedi Cass. sez. 6, 4 agosto 1998 n. 9120 rv. 211583), ma anche, quando impone un obbligo di motivazione espressa per la concessione di un'attenuante negata dal primo giudice o per l'esclusione di un'aggravante, poichè esiste un'esplicita deduzione della censura in appello, presupposto imprescindibile per l'ammissibilità della doglianza in ricorso (Cass. sez. 1, 30 giugno 1988 n. 7707 rv. 178767, che recepisce un principio pacifico sotto il vigore del precedente e dell'attuale codice di rito), oppure perchè si è effettuata una differente qualificazione di un fatto o si è ritenuto insussistente un reato (Cass. sez. 5, 29 dicembre 1999 n. 14745 rv. 215198), afferma che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., sono censurabili in Cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908 rv. 229298).
Certamente, per il caso di specie, non può sostenersi che la mancata concessione delle attenuanti generiche ai ricorrenti, da parte prima del Tribunale e poi della Corte d'Appello, sia frutto di arbitrio, considerato lo specifico richiamo alla gravità del fatto ed al comportamento processuale dei medesimi.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi dell'imputato che condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che si liquidano in complessivi Euro 1800,00 per quelle difese dall'avv. Merlino ed in complessivi e Euro 3500,00 per quelle difese dall'avv. Granata, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 3 giugno 2009.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2009