• Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Coordinatore per la Sicurezza

Responsabilità  del coordinatore per la esecuzione dei lavori per infortunio mortale occorso nell'ambito di un cantiere: fu condannato al risarcimento dei danni in favore della vedova della vittima, costituitasi parte civile anche per le figlie, per aver "omesso - in tal modo disattendendo il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. A - di assicurare l'applicazione delle disposizioni contenute nel piano sicurezza e coordinamento di cui al cit. D.Lgs., art. 12, concernenti, in particolare l'obbligatoria rimozione di ogni tipo di materiale presente a monte di scavi che, in caso di caduta, potessero costituire fonte di pericolo, rendendo così possibile il movimento di un grosso masso che, urtato dall'escavatrice azionata da O.F. (separatamente giudicato), schiacciava con il suo peso T.V., che a causa delle gravi ferite riportate, decedeva".

Ricorre in Cassazione -  Inammissibile

"La Corte di merito pur confermando la concorrente responsabilità dell'operaio, che aveva azionato impropriamente ed imprudentemente la macchina escavatrice, e della vittima, che, in presenza di operazioni di spianamento del terreno non doveva trovarsi dentro lo scavo, ha correttamente ritenuto la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento omissivo dell'imputato e la morte dell'operaio, in quanto il sinistro si è verificato anche perchè il B. non ha ottemperato agli obblighi, descritti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, connessi alle sue funzioni. Tali obblighi gli imponevano di verificare l'applicazione da parte dell'impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi delle disposizioni contenute nel piano sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Pertanto l'imputato doveva promuovere, sin dall'inizio delle opere di scavo, la rimozione di ogni tipo di materiale esistente a monte degli scavi, che potesse rappresentare pericolo di caduta, provvedendo a che venisse spianato, così come previsto dal summenzionato P.29, il ciglio dello scavo.
La sentenza impugnata appare pertanto, in punto di responsabilità, priva di vizi giuridici e motivata in maniera adeguata e conforme a regole della logica.
"

Ancora: "con l'ultimo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell'art. 1227 c.c., posto che sussisteva la colpa della vittima nella causazione dell'evento, e dell'erronea applicazione della fattispecie di cui all'art. 1304 c.c., non essendo il diritto di risarcimento moltiplicabile per il numero degli obbligati. In proposito si rileva che correttamente e motivatamente la Corte territoriale ha fatto riferimento all'art. 1304 c.c., in quanto l'imputato era rimasto estraneo alla transazione intervenuta tra la Nuova Edil s.r.l. e la parte civile Bu.Ma.Co..
Si rileva, inoltre, che sebbene la dichiarazione di voler profittare della transazione non sia soggetta ad alcuna particolare forma o a termini di decadenza e possa essere contenuta anche in un atto del giudizio, la stessa non è mai stata formulata dall'imputato nè in un atto extragiudiziale nè nel corso del procedimento; di essa non si rinviene neppure nel ricorso per Cassazione, ove il B. ha continuato a sostenere soltanto che l'accordo in questione aveva fatto conseguire alla parte civile il risarcimento del danno, in misura transattivamente accettata, non potendosi ritenere, come vorrebbe il ricorrente, che detta affermazione costituisca un'implicita richiesta giurisdizionale di voler profittare della transazione.
Nè sussiste la dedotta violazione dell'art. 1227 c.c., applicabile anche in materia di atto illecito per l'espresso richiamo che ne fa l'art. 2056 c.c., ma riguardante solo i rapporti esterni tra il danneggiato e il danneggiante e non anche i rapporti tra più danneggiami in ordine alla distribuzione tra essi della responsabilità per il risarcimento da loro (solidalmente) dovuto al danneggiato.
Nel caso in esame, avendo il giudice di primo grado ritenuto la responsabilità del B. nella misura del 30%, ascrivendo la restante percentuale di responsabilità all'altro operaio, manovratore della gru, e alla vittima, il giudice civile, al quale è stata demandata la liquidazione del danno, nella determinazione del risarcimento, in base alla norma richiamata, provvedere a liquidare alla parte civile una somma di denaro decurtata di quella relativa alla percentuale di colpa della vittima."



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. MARESCA Mariafrancesca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) B.G., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 24/01/2006 CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. MARESCA MARIAFRANCESCA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. GALASSO Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la parte civile, l'avv. Morabito Giuseppe, del foro di Trapani, che ha concluso per il rigetto del ricorso come da conclusioni scritte e nota spese depositata;
udito il difensore avv. Calarretta Michele, del Foro di Trapani, che ha concluso chiedendo l'annullamento come rinvio.

FattoDiritto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Trapani, emessa in data 31.1.2005, appellata da B.G., con la quale lo stesso era stato condannato, concesse attenuanti generiche equivalenti, alla pena di mesi sei di reclusione; pena sospesa;
condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile Bu.M.Co., in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulle figlie minori, da liquidarsi in separata sede, e al pagamento della provvisionale di Euro 30.000,00.
Il B. era imputato del reato di cui all'art. 589 c.p., per avere, quale tecnico progettista, direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza nel cantiere dell'impresa Nuova Edil s.r.l., omesso - in tal modo disattendendo il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. A - di assicurare l'applicazione delle disposizioni contenute nel piano sicurezza e coordinamento di cui al cit. D.Lgs., art. 12, concernenti, in particolare l'obbligatoria rimozione di ogni tipo di materiale presente a monte di scavi che, in caso di caduta, potessero costituire fonte di pericolo, rendendo così possibile il movimento di un grosso masso che, urtato dall'escavatrice azionata da O.F. (separatamente giudicato), schiacciava con il suo peso T.V., che a causa delle gravi ferite riportate, decedeva; in (OMISSIS).
Il Tribunale aveva ascritto il sinistro alla prevalente responsabilità sia di O.F. che della vittima, determinando il concorso di colpa del B. nella misura del 30%, per non aver segnalato il materiale presente sul ciglio del fossato dove lavorava il T., omettendo di esercitare i poteri che gli derivavano dalle sue funzioni, che gli consentivano anche di sospendere i lavori.

La Corte condivideva le argomentazioni del primo giudice in ordine alla conformazione dei luoghi e alla responsabilità dell'imputato, in quanto egli, nella sua qualità, doveva verificare l'applicazione da parte dell'impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.
Nel caso di specie, il punto P29 del piano di sicurezza e di coordinamento prevedeva che "il ciglio superiore dello scavo doveva risultare pulito e spianato così come le pareti, che devono essere sgombre di irregolarità o blocchi" e il P30 vietava "di costituire depositi presso il ciglio degli scavi". Dette prescrizioni trovavano il loro presupposto normativo nel D.P.R. n. 164 del 1956, art. 14, che pone espressamente il divieto di materiali presso il ciglio degli scavi.
La ratio di detta normativa era quella di evitare il pericolo di caduta o scivolamento in basso di qualsiasi materiale e la tipologia dei luoghi, caratterizzati da situazione di pendenza, non consentiva di limitare il concetto di ciglio al bordo superiore dello scavo, imponendo di ricomprendervi la parte in declivio del superiore terreno, degradante verso il fosso, comprensivo del tratto dove si trovava il masso (distante 4 metri dal luogo fossato dove si trovava la vittima).
Non era fondato l'assunto difensivo dell'abnormità della manovra posta in essere dall' O., dato che lo stesso al momento dei fatti non era intento all'utilizzazione della betoniera come bagnatrice, ma a spianare con il mezzo cingolato il tratto interessato per raggiungere con la betoniera il muro da bagnare, bagnatura dei muri, che era regolarmente prevista dal programma dei lavori.
Osservava la Corte che per la gravità dei fatti non era opportuno concedere la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, così come richiesto dall'imputato.
Le statuizioni civili dovevano essere confermate, in quanto l'accordo transattivo intercorso tra la parte civile e la s.r.l. Nuova Edil era inidoneo a esplicare effetti a favore dell'imputato, il quale, quale coobbligato solidale, non aveva chiesto di voler profittare, a sensi dell'art. 1304 c.c..
 
2. Propone ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

Con il primo motivo di impugnazione deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza con riferimento alla ricostruzione del caso concreto, risultante dalla motivazione della sentenza e dagli atti del processo segnalati nel gravame.
Rileva il ricorrente che il precetto antinfortunistico si riferisce alla necessità che nei cantieri dislocati a più livelli sia eliminato tutto il materiale di risulta che possa cadere nonchè ogni altro tipo di materiale, che, sebbene non prodotto dal cantiere, per natura o posizione possa cadere, mentre vanno esclusi quei materiali presenti a monte di scavi connotanti i luoghi, quali vegetazioni e formazioni rocciose naturalmente affioranti dal terreno.
La sentenza impugnata, invece, non opera distinzione tra i detriti o qualsivoglia altro materiale assimilabile e materiali diversi, coesi al terreno, che possono precipitare soltanto per l'effetto di uno specifico intervento umano, dando per scontato che il masso, che provocò l'incidente, fosse qualificabile come detrito estemporaneo, anzichè come roccia preesistente.
Dall'istruttoria svolta (esame testi) risulta che il masso in questione era infisso ad una profondità non inferiore a 30 cm. e che sullo stesso vi erano tracce della naturale infissione.
La dimensione del masso e la infissione nel terreno dello stesso non imponevano che, con giudizio ex ante, l'imputato ne prevedesse l'eventuale caduta.
Sostiene, altresì, il ricorrente che la nuova formulazione dell'art. 533 c.p.p. imponeva la universale riconoscibilità della sussistenza del pericolo.

Con il secondo motivo di impugnazione lamenta l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 40 c.p., art. 41 c.p., comma 2, art. 589 c.p. nonchè delle norme evocabili nel caso concreto in materia di prevenzione antinfortunistica.
Evidenzia la difesa che il masso non doveva essere assimilato al materiale di risulta, che l'azione di sradicamento effettuata dal mezzo meccanico - considerato che il masso si trovava in situazione di assoluto contatto con altri due che addirittura lo sovrastavano - non era ascrivibile a semplice sbadataggine da imprudente retromarcia, quanto piuttosto ad una condotta abnorme ed avulsa da ogni ipotizzabile manovra dell'operatore: il cucchiaio meccanico, che doveva trovarsi ben alto in manovra (regola operativa universale), aveva colpito il solo masso, che era precipitato.
Inoltre, lo stato di avanzamento dei lavori non prevedeva l'uso di una betoniera da utilizzare come spruzzatrice e, pertanto, non vi era ragione di utilizzare l'escavatore per spianare il passo alla betoniera e il T. non doveva trovarsi dove il masso l'aveva colpito.
Il comportamento dei lavoratori era stato, pertanto, del tutto estraneo al processo produttivo e alle mansioni attribuite e si era risolto in condotte del tutto esorbitanti e imprevedibili.
Lo stesso riconoscimento della responsabilità dei lavoratori nella misura del 70% comportava il riconoscimento dell'abnormità ed esorbitanza del loro comportamento, il quale era stato da solo più che sufficiente a causare l'evento mortale.
In caso contrario, si dovrebbe presupporre che l'imputato avrebbe dovuto prevedere il comportamento abnorme ed esorbitante di entrambi i lavoratori nel contempo.
 
Con il terzo motivo si duole dell'inosservanza ed erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 53 e segg. e dell'illogica e carente motivazione sul punto.
In proposito, rileva il difensore che la sostituzione della pena detentiva ha carattere soggettivo ed è illogico negarla in ragione della gravità dei fatti, fatti per i quali si è ritenuto la concorrente colpa dell'imputato nella misura del 30%.
 
Con il quarto motivo denuncia la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'art. 1227 c.c., considerato che l'azione tenuta dalla vittima si poneva in palese violazione del precetto previsto dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 12, comma 3, derivando con ciò la sussimibilità della fattispecie concreta nelle previsioni dell'art. 1227 c.c..
Osserva il ricorrente che detta questione non era stata esaminata dalla Corte d'Appello, la quale aveva, invece, erroneamente applicato alla fattispecie l'art. 1304 c.c., non essendo, nel caso di specie, il diritto al risarcimento moltiplicabile per il numero degli obbligati.
Come risulta dall'atto di transazione le persone offese sono state tacitate in ordine ad ogni pretesa economica riconducibile al caso e non poteva dirsi che l'imputato non avesse chiesto di voler profittare dell'accordo, avendone implicitamente fatto richiesta giurisdizionale.

3. Il ricorso è inammissibile.
 
3.1 Con il primo motivo, invero, si chiede al giudice di legittimità di rivalutare il compendio probatorio preso in esame dal giudice di merito.

La censura, avendo come obiettivo l'apprezzamento del contenuto e della valenza delle prove dichiarative operato dal giudice di merito, vorrebbe introdurre un non consentito controllo di legittimità.
Come è noto, precluso in questa sede procedere ad una rinnovata valutazione sull'attendibilità e valenza dei mezzi di prova posti a fondamento della decisione.
E' principio non controverso, dunque, che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè è tenuta a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se essa sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
Nel caso in esame, sussistono le anzidette condizioni, avendo la Corte distrettuale attentamente valutato le risultanze istruttorie per dedurre che la tipologia dei luoghi, caratterizzati da un'evidente situazione di pendenza, imponeva di ricomprendere nel concetto di ciglio degli scavi non solo il bordo superiore dello scavo, ma anche la parte in declivio del superiore terreno, degradante verso lo scavo stesso, e questo, in conformità al P. 29 delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, doveva essere pulito e spianato.
Invece, la Corte, sulla base delle fotografie in atti, ha rilevato che sull'area sovrastante, prossima al fossato, vi erano dei massi presenti nelle vicinanze di un cumulo terroso e un deposito di residui lapidei bianchi, posti sul retro del cumulo anzidetto; e che la distanza intercorrente tra il punto dove si trovava il masso, che ha colpito l'operaio, e il fossato, dove si trovava lo stesso, non era certamente superiore a quattro metri.
Pertanto, mentre la circostanza descritta nel ricorso, che il masso fosse infisso nel terreno a profondità tale da non poterne prevedere la caduta, non risulta dalla sentenza impugnata, le circostanze di fatto accertate e descritte dimostrano, invero, in modo inequivocabile che la situazione esistente nell'area sovrastante lo scavo non era conforme ai dettami normativi in tema di sicurezza e prevenzione degli infortuni; e che sussisteva una grave situazione di pericolo per la presenza dei massi e dei cumuli terrosi, in un terreno in declivio e in prossimità dello scavo.
Circa il modo di intendere il precetto secondo cui "il giudice pronuncia la sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio", formalizzato dell'art. 533 c.p.p., comma 1, come sostituito dalla L. n. 46 del 2006, art. 5, si osserva che il citato dettato normativo impone di pronunciare condanna quando il dato probatorio acquisito lascia mori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui concreta realizzazione nella fattispecie concreta non trova il benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.
Il concetto, ancor prima della modifica del cit. art. 533 c.p.p., era già stato chiaramente espresso da Cass. 2.3.1992, Di Palma, in Riv. pen., 1992, 955, secondo cui "la prova indiziaria... è quella che consente...la ricostruzione del fatto in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione, ma non anche di escludere la più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsivoglia verosimiglianza ed in conseguenza di un ipotetico, inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili".
La situazione di fatto sopra descritta: presenza di massi, cumuli terrosi e residui lapidei, distanti pochi metri dallo scavo, su un terreno in declivio, evidenzia, invece, l'universale riconoscibilità della sussistenza del pericolo, essendo facilmente prevedibile la loro caduta verso il basso sia per cause naturali che per l'intervento dell'opera dell'uomo, come è avvenuto nel caso di specie, a seguito del comportamento tenuto dai lavoratori per l'esecuzione dell'opera. Pericolo che doveva tanto più essere riconosciuto dal B. nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza nel cantiere nonchè di direttore dei lavori e tecnico progettista.
 
3.2 Anche il secondo è manifestamente infondato.

La Corte di merito pur confermando la concorrente responsabilità dell'operaio, che aveva azionato impropriamente ed imprudentemente la macchina escavatrice, e della vittima, che, in presenza di operazioni di spianamento del terreno non doveva trovarsi dentro lo scavo, ha correttamente ritenuto la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento omissivo dell'imputato e la morte dell'operaio, in quanto il sinistro si è verificato anche perchè il B. non ha ottemperato agli obblighi, descritti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, connessi alle sue funzioni.
Tali obblighi gli imponevano di verificare l'applicazione da parte dell'impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi delle disposizioni contenute nel piano sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle procedure di lavoro.
Pertanto l'imputato doveva promuovere, sin dall'inizio delle opere di scavo, la rimozione di ogni tipo di materiale esistente a monte degli scavi, che potesse rappresentare pericolo di caduta, provvedendo a che venisse spianato, così come previsto dal summenzionato P.29, il ciglio dello scavo.
Intendendo per esso, non solo il bordo superiore dello scavo, ma anche la parte in declivio del superiore terreno, degradante verso lo scavo stesso, posto che la naturale pendenza del terreno rendeva evidente la pericolosità di tutto ciò che sullo stesso insisteva.
Risulta, inoltre, dalla sentenza impugnata che le opere di bagnatura dei muri, anche se non per quella giornata, erano regolarmente previste dal programma di lavori e che era comprensibile che le stesse, in relazione alla particolare situazione dei luoghi, avvenissero con l'impiego della betoniera.
Pertanto, mentre l'uso dell'escavatore per spianare il terreno per consentire l'ingresso della betoniera non poteva considerarsi un comportamento abnorme ed esorbitante del lavoratore, il contesto operativo in cui detti lavori dovevano svolgersi consentiva la rappresentazione potenziale dell'evento dannoso per la presenza pericolosa dei massi e dei cumuli di terra nonchè dei residui lapidei a monte dello scavo.
La sentenza impugnata appare pertanto, in punto di responsabilità, priva di vizi giuridici e motivata in maniera adeguata e conforme a regole della logica.

3.3 Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
 
la L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 58, prevedono per il giudice un potere discrezionale di sostituire la pena detentiva, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., indicando specificatamente i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena erogata, nel caso si proceda alla sostituzione.
L'art. 133 c.p. prevede ai fini della valutazione della pena proprio la gravità del fatto.
Pertanto, è corretta la motivazione del giudice di merito che non ha accolto la richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria in ragione della gravità del fatto, la quale, prescinde dalla percentuale di colpa attribuita all'imputato, posto che lo stesso è, comunque, corresponsabile dell'evento mortale e, pertanto, della gravità del danno.
 
3.4 Con l'ultimo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell'art. 1227 c.c., posto che sussisteva la colpa della vittima nella causazione dell'evento, e dell'erronea applicazione della fattispecie di cui all'art. 1304 c.c., non essendo il diritto di risarcimento moltiplicabile per il numero degli obbligati. In proposito si rileva che correttamente e motivatamente la Corte territoriale ha fatto riferimento all'art. 1304 c.c., in quanto l'imputato era rimasto estraneo alla transazione intervenuta tra la Nuova Edil s.r.l. e la parte civile Bu.Ma.Co..
Si rileva, inoltre, che sebbene la dichiarazione di voler profittare della transazione non sia soggetta ad alcuna particolare forma o a termini di decadenza e possa essere contenuta anche in un atto del giudizio, la stessa non è mai stata formulata dall'imputato nè in un atto extragiudiziale nè nel corso del procedimento; di essa non si rinviene neppure nel ricorso per Cassazione, ove il B. ha continuato a sostenere soltanto che l'accordo in questione aveva fatto conseguire alla parte civile il risarcimento del danno, in misura transattivamente accettata, non potendosi ritenere, come vorrebbe il ricorrente, che detta affermazione costituisca un'implicita richiesta giurisdizionale di voler profittare della transazione.
Nè sussiste la dedotta violazione dell'art. 1227 c.c., applicabile anche in materia di atto illecito per l'espresso richiamo che ne fa l'art. 2056 c.c., ma riguardante solo i rapporti esterni tra il danneggiato e il danneggiante e non anche i rapporti tra più danneggiami in ordine alla distribuzione tra essi della responsabilità per il risarcimento da loro (solidalmente) dovuto al danneggiato.
Nel caso in esame, avendo il giudice di primo grado ritenuto la responsabilità del B. nella misura del 30%, ascrivendo la restante percentuale di responsabilità all'altro operaio, manovratore della gru, e alla vittima, il giudice civile, al quale è stata demandata la liquidazione del danno, nella determinazione del risarcimento, in base alla norma richiamata, provvedere a liquidare alla parte civile una somma di denaro decurtata di quella relativa alla percentuale di colpa della vittima.

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

 
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2009