La Corte di appello di Venezia, in accoglimento dell'appello incidentale proposto dall'INAIL avverso una sentenza del Tribunale di Venezia, condannava in solido G.R., S.R., la N. sas e la M.E Costruzioni spa al pagamento in favore dell'INAIL di una somma a titolo di rivalsa per le somme erogate a D. R.M. per l'infortunio sul lavoro da quest'ultimo sofferto.
Osservava in sintesi la Corte, che era dimostrata la responsabilità:

- del G. (dipendente della società M. distaccato presso la società N.S., capogruppo della N.) nella causazione dell'infortunio sofferto dal D.R., per non aver usato la necessaria diligenza e cautela nel movimentare la pesante gru - escavatrice che aveva travolto l'infortunato;

- del S., in quanto, al momento dell'incidente, era responsabile del cantiere e dei lavori;

- della N., per aver omesso, nella qualità di datore di lavoro del D.R., la predisposizione delle necessarie misure di sicurezze connesse all'uso della macchina escavatrice;

- della società M., datrice di lavoro del G., conducente della gru, per aver omesso il preventivo accertamento dell'esistenza nel cantiere dei prescritti presidi infortunistici, assenti nel pontone, per operare la gru senza la presenza di una idonea barriera di protezione e senza la predisposizione di segnalazioni acustiche o manuali a mezzo di lavoratori incaricati.

Ricorrono in Cassazione M.E. Costruzioni e S.R. - Resistono con controricorso l'INAIL e L'A. - LE ASSICURAZIONI D'I. spa, la quale ultima ha anche proposto ricorso incidentale.

La Corte riunisce i ricorsi e rigetta.

"Sebbene, infatti, nella pronuncia della corte veneta si faccia sol incidentalmente riferimento alla previsione dell'art. 2049 c.c., non vi è dubbio che tale previsione costituisca di per sè ragione sufficiente per l'accoglimento della domanda proposta nei confronti della società ricorrente.
Basta, al riguardo, richiamare il principio, affermato da tempo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui la norma in questione, al pari di quella prevista dall'art. 1228 c.c., individua nel nostro ordinamento una ipotesi di responsabilità oggettiva, indipendente, cioè, dalla colpa del soggetto responsabile, sicchè il dolo o la colpa vanno valutati con riferimento al sol fatto dell'ausiliario, e non al comportamento del debitore.
Si tratta di una forma di responsabilità per la quale la dottrina e la giurisprudenza parlano da tempo di una presunzione assoluta di colpa e la cui giustificazione viene essenzialmente rinvenuta nella teoria del rischio di impresa, come principio generale, parallelo alla colpa, di imputazione della responsabilità: espressione, in altri termini, di un criterio obiettivo di allocazione dei rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell'impresa, come componente dei costi di questa".

"Tale principio risulta adeguatamente richiamabile, ad avviso di questa Corte, anche nel caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, tenuto conto dei requisiti individuati dalla giurisprudenza (ancor prima della codificazione dell'istituto ad opera del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30) a giustificazione di questa peculiare forma di dissociazione fra la titolarità del rapporto di lavoro (che permane il capo al soggetto distaccante) e il destinatario della relativa prestazione (che diviene l'imprenditore distaccatario)".

In altre parole, la Corte ribadisce "la ritenuta responsabilità della società ricorrente, alla luce del principio già evidenziato che, in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è tenuto a rispondere, ai sensi dell'art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, per presupporre il distacco uno specifico interesse del datore di lavoro all'esecuzione della prestazione presso il terzo con conseguente permanenza della responsabilità, in virtù del principio del rischio d'impresa, per i fatti illeciti derivanti dallo svolgimento della prestazione stessa."


"Mette conto, peraltro, rilevare che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela antinfortunistica nelle esternalizzazioni delle fasi del processo produttivo, ove lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi interferiscono con l'opera o col risultato dell'opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l'ambiente di lavoro ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 5 sicchè ciascun datore di lavoro è obbligato ex art. 2087 c.c. ad informarsi sui rischi derivanti dall'opera o dal risultato dell'opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo e a dare le conseguenti istruzioni ed informazioni ai propri dipendenti".


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente -
Dott. MONACI Stefano - Consigliere -
Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere -
Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere -
Dott. MELIADOO Giuseppe - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLITUNNO 51, presso lo studio dell'avvocato ONGARO FRANCO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato TONETTO GIANCARLO, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente
contro I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati TARANTINO CRISTOFARO, ROSSI ANDREA,  che lo rappresentano e difendono, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente
e contro M.E Costruzioni S.P.A., L'A. - LE ASSICURAZIONI D'I. S.P.A., IMMOBILIARE L. S.R.L., N.S. S.A.S., G.R.;
- intimati -
sul ricorso 17706/2006 proposto da:
L'A. - LE ASSICURAZIONI D'I. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell'avvocato CILIBERTI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MODÈ  LEOPOLDO giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati TARANTINO CRISTOFARO, ROSSI ANDREA,
che lo rappresentano e difendono, giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente al ricorso incidentale -
e contro S.R., M.E Costruzioni S.P.A., IMMOBILIARE L. S.R.L., N.S. S.A.S., G.R.;
- intimati -
e sul ricorso 14466/2006 proposto da:
M.E Costruzioni S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 20, presso lo studio dell'avvocato ALBISINNI LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato CESARI GIOVANNI, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente-
contro I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati TARANTINO CRISTOFARO, ROSSI ANDREA,
che lo rappresentano e difendono, giusta delega in calce al
controricorso;
S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLITUNNO 51, presso lo studio dell'avvocato ONGARO FRANCO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato TONETTO GIANCARLO, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
e contro IMMOBILIARE L. S.R.L., N.S. S.A.S., G.R.;
L'A. - LE ASSICURAZIONI D'I. S.P.A.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 889/2005 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 14/02/2006 R.G.N. 880/03;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. MELIADOO Giuseppe;
udito l'Avvocato ONGARO FRANCO;
uditi gli Avvocati TARANTINO (per INAIL), CESARI (per M.), CILIBERTI (per ASSITALIA);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.

Fatto

Con sentenza in data 25.10.2005 - 14.2.2006 la Corte di appello di Venezia, in accoglimento dell'appello incidentale proposto dall'INAIL avverso la sentenza del Tribunale di Venezia - sezione stralcio del 4.3.2003, condannava in solido G.R., S.R., la N. sas e la M.E Costruzioni spa al pagamento in favore dell'INAIL della complessiva somma di Euro 226.990,20 oltre accessori di legge, a titolo di rivalsa per le somme erogate a D. R.M. per l'infortunio sul lavoro da quest'ultimo sofferto in data (OMISSIS), dichiarando cessata la materia del contendere fra le altre parti.
Osservava in sintesi la corte territoriale che gli esiti dell'istruttoria dimostravano la responsabilità del G. (dipendente della società M. distaccato presso la società N.S., capogruppo della N.) nella causazione dell'infortunio sofferto dal D.R., per non aver usato la necessaria diligenza e cautela nel movimentare la pesante gru - escavatrice che aveva travolto l'infortunato; del S., in quanto, al momento dell'incidente, responsabile del cantiere e dei lavori;
della N., per aver omesso, nella qualità di datore di lavoro del D.R., la predisposizione delle necessarie misure di sicurezze connesse all'uso della macchina escavatrice; della società M., datrice di lavoro del G., conducente della gru, per aver omesso il preventivo accertamento dell'esistenza nel cantiere dei prescritti presidi infortunistici, assenti nel pontone, per operare la gru senza la presenza di una idonea barriera di protezione e senza la predisposizione di segnalazioni acustiche o manuali a mezzo di lavoratori incaricati.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la M.E Costruzioni spa con un unico motivo.
Avverso la stessa sentenza ha proposto distinto ricorso anche S. R., affidandolo a due motivi.
Resistono con controricorso l'INAIL e L'A. - LE ASSICURAZIONI D'I. spa, la quale ultima ha anche proposto ricorso incidentale.
Non hanno svolto attività difensiva l'IMMOBILIARE L. srl, la N. sas e G.R..
L'A. ha depositato memoria.
Diritto

1. Con un unico motivo la M.E Costruzioni spa (di seguito la società M.) lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., violazione dell'art. 2087 c.c. osservando che la corte territoriale aveva erroneamente omesso di considerare che gli obblighi di tutela previsti dalla norma non risultano riferibili, nel caso di distacco, al datore di lavoro distaccante, per non avere quest'ultimo il potere di interferire nell'altrui organizzazione aziendale, e tanto meno nell'assegnazione delle mansioni e nella direzione dei lavoratori impiegati e che, comunque, il lavoratore infortunato era dipendente della società N., e non della M..

2. Con il primo motivo S.R. deduce omessa e contraddittoria motivazione in ordine all'accertamento di responsabilità (art. 360 c.p.c., n. 5) rilevando che agli atti non vi era prova della sua nomina a direttore dei lavori e che tale qualifica, comunque, in assenza di specifiche attribuzioni in materia di prevenzione degli infortuni, non poteva costituire fonte di responsabilità.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all'art. 112 c.p.c. lamenta l'omessa pronuncia sull'appello incidentale proposto avverso la sentenza, nella parte in cui aveva escluso la responsabilità (o corresponsabilità) della società M. con riferimento ai danni riconosciuti all'infortunato, per non esser stata tale domanda mai rinunciata.

3. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, infine, L'A. denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell'art. 2087 c.c. rilevando che il principio affermato nella sentenza impugnata, per cui il datore di lavoro distaccante resta obbligato per l'obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c., risultava inapplicabile nella fattispecie, non potendo lo stesso essere considerato responsabile per la sicurezza non del dipendente distaccato, ma dei terzi (quale risultava il D.R., in quanto dipendente della N.).

4. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di impugnazioni avverso la stessa sentenza.

5. Il ricorso proposto dalla società M. è infondato.

Il dispositivo della sentenza impugnata, operate le opportune integrazioni della motivazione che appresso si svolgeranno, risulta, infatti, del tutto conforme al diritto.
Sebbene, infatti, nella pronuncia della corte veneta si faccia sol incidentalmente riferimento alla previsione dell'art. 2049 c.c., non vi è dubbio che tale previsione costituisca di per sè ragione sufficiente per l'accoglimento della domanda proposta nei confronti della società ricorrente.
Basta,al riguardo, richiamare il principio, affermato da tempo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui la norma in questione, al pari di quella prevista dall'art. 1228 c.c., individua nel nostro ordinamento una ipotesi di responsabilità oggettiva, indipendente, cioè, dalla colpa del soggetto responsabile, sicchè il dolo o la colpa vanno valutati con riferimento al sol fatto dell'ausiliario, e non al comportamento del debitore.
Si tratta di una forma di responsabilità per la quale la dottrina e la giurisprudenza parlano da tempo di una presunzione assoluta di colpa e la cui giustificazione viene essenzialmente rinvenuta nella teoria del rischio di impresa, come principio generale, parallelo alla colpa, di imputazione della responsabilità: espressione, in altri termini, di un criterio obiettivo di allocazione dei rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell'impresa, come componente dei costi di questa (v. da ultimo Cass. n. 6033/2008; in precedenza ad es. Cass. n. 1343/1972; Cass. n. 2734/1994; Cass. n. 9100/1995).
Tale principio risulta adeguatamente richiamabile, ad avviso di questa Corte, anche nel caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, tenuto conto dei requisiti individuati dalla giurisprudenza (ancor prima della codificazione dell'istituto ad opera del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30) a giustificazione di questa peculiare forma di dissociazione fra la titolarità del rapporto di lavoro (che permane il capo al soggetto distaccante) e il destinatario della relativa prestazione (che diviene l'imprenditore distaccatario), che è vicenda che ricorre con frequenza non solo nell'ambito dei fenomeni di collegamento societario, ma pure nelle molteplici vicende di esternalizzazione dell'attività, produttiva e di collaborazione e cooperazione fra imprese del tutto distinte.
In particolare, del requisito, del tutto imprescindibile per la legittimità della fattispecie (e che, per implicare un accertamento di fatto, risulta insindacabile in cassazione, se correttamente motivato), della esistenza di uno specifico interesse del datore di lavoro alla destinazione del dipendente presso unn organizzazione aziendale esterna, il quale consenta di qualificare il distacco come atto organizzativo dell'impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, in una col carattere essenzialmente temporaneo, anche se non meramente transitorio, della destinazione presso soggetti terzi (cfr. ad es. Cass. n. 9694/2009; Cass. n. 16165/2004; Cass. n. 7743/2000).
Se, pertanto, alla base del distacco è riscontrabile uno specifico interesse organizzativo del datore di lavoro, che qualifica la vicenda in termini di legittima estrinsecazione del potere di conformazione della prestazione di lavoro, non appare dubitabile che pure tale vicenda è riconducibile alla sfera del rischio di impresa dell'imprenditore - datore di lavoro, nel senso che ne riflette la sfera di interessi, ma, al tempo stesso, ne individua i relativi ambiti di responsabilità, con il doveroso contrappesi del rischio per i danni cagionati dai dipendenti nei confronti dei terzi.
Nè vale osservare che, inserendosi la prestazione di lavoro del dipendente distaccato nell'organizzazione aziendale del terzo, spetta a quest'ultimo l'esercizio dei poteri funzionali alla realizzazione del corretto ed utile adempimento, giacchè quel che rileva, ai fini della responsabilità per i danni cagionati dal fatto illecito del dipendente, è che il distacco del dipendente non spezza il collegamento fra l'interesse organizzativo del datore di lavoro distaccante e l'esecuzione della prestazione presso un soggetto terzo, con conseguente permanenza del criterio obiettivo di allocazione dei rischi connesso alla responsabilità di impresa, per come previsto dall'art. 2049 c.c.. Non senza osservare, ad ulteriore dimostrazione della latitudine che riveste la responsabilità dei padroni e dei committenti ex art 2049 c.c., che la giurisprudenza di questa Corte nemmeno richiede un diretto collegamento dell'illecito con le mansioni svolte dal dipendente, apparendo sufficiente, per tal fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purchè sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass. n. 6033/2008; Cass. n. 1516/2007; Cass. n. 19167/2005).
Ciò premesso, va rilevato che il giudice di merito ha accertato (in punto di interesse al distacco) che la società M. era interessata alla verifica, ad opera di un proprio dipendente, del buon funzionamento della macchina escavatrice (che dal giorno seguente sarebbe stata utilizzata in altro cantiere dalla società stessa per conto dell'ENEL e (in punto di responsabilità del dipendente distaccato) che il G., con condotta gravemente negligente, aveva eseguito la manovra, causa dell'incidente, senza preventivamente accertarsi dell'ubicazione del D.R. e pur essendo consapevole che il pesante mezzo non consentiva la perfetta visibilità di tutta la zona, che, peraltro, risultava sprovvista di recinzione e non era pre - segnalata acusticamente o da altro operatore.
E tale accertamento risulta senz'altro idoneo a giustificare la ritenuta responsabilità della società ricorrente, alla luce del principio già evidenziato che, in caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è tenuto a rispondere, ai sensi dell'art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, per presupporre il distacco uno specifico interesse del datore di lavoro all'esecuzione della prestazione presso il terzo con conseguente permanenza della responsabilità, in virtù del principio del rischio d'impresa, per i fatti illeciti derivanti dallo svolgimento della prestazione stessa.
Mette conto, peraltro, rilevare che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte in tema di tutela antinfortunistica nelle esternalizzazioni delle fasi del processo produttivo, ove lavoratori dipendenti da più imprese siano presenti sul medesimo teatro lavorativo, i cui rischi interferiscono con l'opera o col risultato dell'opera di altri soggetti (lavoratori dipendenti o autonomi), tali rischi concorrono a configurare l'ambiente di lavoro ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 5 sicchè ciascun datore di lavoro è obbligato ex art. 2087 c.c. ad informarsi sui rischi derivanti dall'opera o dal risultato dell'opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo e a dare le conseguenti istruzioni ed informazioni ai propri dipendenti, atteso che tale obbligo - non derogabile nemmeno in presenza della notorietà dell'impresa presso la quale vengono inviali i lavoratori medesimi - si pone in sintonia con la normativa vigente in tema di organizzazione del lavoro nelle realtà produttive complesse (v.
Cass. n. 45/2009).
Con la conseguenza che, anche sotto tal aspetto, la società ricorrente non potrebbe andare esente da responsabilità, avendo omesso di porre in essere (per come accertato dai giudici di merito) le verifiche indispensabili ad accertare l'esistenza di un ambiente lavorativo "sicuro", idoneo, cioè, a non costituire causa di danno sia per i propri dipendenti che in tal contesto operavano sia per quelli che con i primi venivano in contatto (data l'assenza nel pontone ove operava la gru delle prescritte misure antinfortunistiche).

6. Quanto al ricorso di S.R., infondato appare il primo motivo dello stesso.
Giova,al riguardo, premettere che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe, in realtà, che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità, risultando del tutto estraneo all'ambito di operatività del vizio di motivazione la possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. ad esempio da ultimo Cass. n. 11789/2005; Cass. n. 4766/2006).
Giusto in quanto l'art. 360 c.p.c., n. 5" non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all'uopo, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (così SU n. 5802/1998), non incontrando, al riguardo, il giudice di merito alcun limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le allegazioni che, sebbene non menzionati specificatamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. ad es. Cass. n. 11933/2003; Cass. n. 9234/2006).
Sulla base di tali principi, la sentenza impugnata risulta immune dalle censure denunciate, avendo la corte veneta accertato, con corretto apprezzamento delle risultanze istruttorie rilevanti, che doveva escludersi che il S. fosse stato incaricato dalla società M. di seguire solo i lavori che successivamente si sarebbero svolti in diverso cantiere lagunare, su commissione dell'ENEL, essendo, per contro, emerso che la verifica del buon funzionamento della gru - escavatrice doveva essere espletata solo "in corso d'opera" (e, quindi, presso il cantiere della N.) e sotto la direzione del S. stesso, tante che il corrispettivo dovuto a quest'ultimo (che, costituendosi in giudizio, si era qualificato come "capo - cantiere") era stato fatturato con riferimento ad un incarico conferito ("sin dal 1 luglio 1992") in data anteriore all'infortunio sofferto dal D.R..
Non meritevole di accoglimento è anche il secondo mezzo di impugnazione.
Per come emerge, infatti, dalle conclusioni del ricorso in appello, riportate nella sentenza impugnata, non risulta che il S. abbia proposto alcuna domanda nei confronti della società M. e, comunque, tale domanda incidentale non risulta nemmeno trascritta in seno al presente ricorso.
La sentenza impugnata ha, peraltro, rigettato "gli ulteriori appelli proposti" e tale statuizione, ove pure riferibile alla posizione del S., non è stata impugnata.

7. Quanto, infine, al ricorso incidentale proposto dalL'A., la fondatezza del gravame resta preclusa dalle medesime considerazioni svolte con riferimento alle censure dedotte dalla società M. (v. sopra sub 5).

8. Sussistono giusti motivi, in considerazione della peculiarità giuridica e fattuale del caso in esame, per compensare fra tutte le parti costituite le spese di causa.

P.Q.M.
LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese fra tutte le parti costituite.
Cosii deciso in Roma, il 24 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010