REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio
Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. BRUSCO Carlo G.
Dott. MASSAFRA Umberto
Dott. MARINELLI Felicetta

- Presidente
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) R.D., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 140/2008 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 11/02/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/02/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO GIUSEPPE BRUSCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MURA Antonio, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l'avv. Ariama Agnese (in sost. degli avv.ti Bianchin R. e Cescutti C.), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, e, in subordine, per la prescrizione del reato.

La Corte:


OSSERVA


1) R.D. ha proposto ricorso avverso la sentenza 11 febbraio 2009 della Corte d'Appello di Trieste che ha confermato la sentenza 20 febbraio 2007 del Tribunale di Pordenone che l'aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione per il delitto di cui all'articolo 590 c.p. (lesioni colpose gravi) in danno di V.S.; reato commesso in ***.

La Corte di merito ha ritenuto in colpa l'imputato, datore di lavoro della persona offesa, perché non aveva provveduto a dotare l'ambiente di lavoro di estintori o altro materiale antincendio per cui, avendo preso fuoco un contenitore contenente solvente, il dipendente aveva tentato di spostarlo manualmente venendo investito dal fuoco.

A fondamento del ricorso si deducono vizi di violazione di legge e attinenti alla motivazione della sentenza di secondo grado.

Secondo il ricorrente la valutazione dei giudici di merito sarebbe fondata su elementi di fatto diversi da quelli emersi nel dibattimento. In particolare da alcun elemento emergerebbe che l'infortunato, nel momento in cui il solvente ha preso fuoco, si trovasse nelle vicinanze della saldatrice da cui è partita la scintilla che ha provocato l'incendio o che fosse addetto alla medesima.

In realtà V. in quel momento si trovava lontano ed era addetto a compiti diversi per cui il suo comportamento non può che essere considerato imprevedibile ed abnorme e quindi idoneo ad interrompere il rapporto di causalità.

Con memoria successivamente depositata il ricorrente ha chiesto che venga dichiarata la prescrizione del reato.

2) Il proposto ricorso è manifestamente infondato e deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile.

Indipendentemente dalla circostanza che il lavoratore fosse addetto alla lavorazione - nel corso della quale si è sprigionata la scintilla che ha dato fuoco al contenitore contenente il solvente - deve osservarsi che la persona offesa si trovava nell'ambiente di lavoro nello svolgimento delle sue funzioni. Era quindi del tutto prevedibile che egli intervenisse per eliminare la potenziale fonte di pericolo.

Non si vede quindi come possa essere ritenuta l'abnormità della sua condotta tanto più che la sentenza impugnata ha accertato la mancanza di ogni formazione sulle condotte da adottare in casi consimili posto che la presenza di materiali infiammabili, in luoghi dove si sprigionavano scintille, rendeva prevedibili eventi di tal genere. Con il conseguente ulteriore obbligo, non osservato, di dotare i locali di estintori o altri mezzi per contrastare eventuali incendi.

La natura originaria della causa di inammissibilità non consente di dichiarare l'estinzione del reato a seguito della prescrizione che sarebbe maturata dopo la sentenza di appello (il fatto si è infatti verificato l'8 agosto 2002): v. Cass., sez. un., 22 novembre 2000 n. 32, De Luca, rv. 217266).

3) Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso conseguono le pronunzie di cui al dispositivo.

Con riferimento a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza 13 giugno 2000 n. 186 si rileva che non si ravvisano ragioni per escludere la colpa del ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità in considerazione della palese violazione delle regole sul giudizio di legittimità.

P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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