Lavorazione amianto – asbestosi e mesotelioma polmonare – decesso moglie lavoratore dipendente – accertamento nesso di causalità con il lavoro del marito – condotta omissiva del datore di lavoro - responsabilità – giudizio controfattuale - criteri di determinazione e di apprezzamento logico-probabilistico della spiegazione causale – necessaria verifica dell’attendibilità di utilizzazione della legge statistica al singolo evento
“Come è noto, la colpa per condotta omissiva è stata oggetto, ed ancora continua ad esserlo, di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza, in particolare per quel che riguarda il nesso di causalità tra la condotta e l'evento. A differenza della causalità riferibile ad una condotta commissiva, nel caso di causalità omissiva il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un soggetto; la causalità omissiva, in quanto giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà, ed empiricamente verificabili, costituisce dunque una causalità costruita su ipotesi e non su certezze. Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata su un giudizio controfattuale ("contro i fatti": se l'intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe evitato l'evento?)…La "certezza processuale" può derivare anche dall'esistenza di coefficienti medio bassi di probabilità c.d. frequentista quando, suffragati da positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori alternativi, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento. Viceversa, livelli elevati di probabilità statistica o schemi interpretativi dedotti da leggi di carattere universale, "pur configurando un rapporto di successione tra eventi rilevato con regolarità o in numero percentualmente alto di casi, pretendono sempre che il giudice ne accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l'irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni diverse, controllandone quindi l'attendibilità in riferimento al singolo evento e all'evidenza disponibile" (pagg. 15 e 16 della sentenza F.). Con la conseguenza che non è "consentito dedurre automaticamente - e proporzionalmente - dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge la conferma dell'ipotesi sull'esistenza del rapporto di causalità ".
Massima a cura della redazione di Olympus
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. D'URSO GIOVANNI PRESIDENTE
1. Dott. COSTANZO ENZO CONSIGLIERE
2. Dott. DE BIASE ARCANGELO CONSIGLIERE
3. Dott. VISCONTI SERGIO CONSIGLIERE
4. Dott. ROMIS VINCENZO CONSIGLIERE
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
1) E. M. N. IL 11/07/1929
avverso SENTENZA del 28/09/2001
CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere ROMIS
VINCENZO
udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Proc. Generale
dott. Mario Iannelli
che ha concluso per annullamento con rinvio
udito il difensore Avv. Giovanni Lageard che ha concluso chiedendo
l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
Fatto
Diritto
Il ricorso deve essere accolto per i motivi e nei termini appresso precisati.
Gli elementi fattuali più significativi che hanno caratterizzato la vicenda in esame - in particolare per quel che riguarda il periodo di esposizione all'amianto del lavoratore F., le modalità con le quali la di lui moglie risultò anch'essa esposta alla polvere di amianto, il ruolo di garanzia ricoperto dall'E. e l'arco di tempo nel quale tale ruolo fu dal medesimo svolto, nonché il periodo lavorativo del F. - non risultano posti in discussione; così come pure assolutamente indiscussa è la riconducibilità della morte della moglie del F. all'asbestosi ed al mesotelioma pleurico in conseguenza dell'inalazione delle polveri di amianto. Quel che si contesta con il ricorso - per quanto concerne l'affermazione di colpevolezza dell'imputato - è la ritenuta efficienza causale delle omissioni riferibili all'imputato stesso.
Nella concreta fattispecie, dunque, gli elementi di colpa risultano addebitati all'imputato E. M. sotto il profilo di una condotta colposa omissiva.
Come è noto, la colpa per condotta omissiva è stata oggetto, ed ancora continua ad esserlo, di ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza, in particolare per quel che riguarda il nesso di causalità tra la condotta e l'evento.
A differenza della causalità riferibile ad una condotta commissiva, nel caso di causalità omissiva il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un soggetto; la causalità omissiva, in quanto giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà, ed empiricamente verificabili, costituisce dunque una causalità costruita su ipotesi e non su certezze. Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata su un giudizio controfattuale ("contro i fatti": se l'intervento omesso fosse stato adottato si sarebbe evitato l'evento?).
Il pluridecennale dibattito, giurisprudenziale e dottrinale, diretto ad individuare criteri soddisfacenti per ricollegare l'evento all'omissione in termini di ragionevolezza non si è ancora concluso e, ancora di recente, ha trovato nuovi sviluppi.
La giurisprudenza di legittimità in materia, formatasi per lo più sul tema della responsabilità professionale medica relativamente a trattamenti chirurgici e terapeutici, ha prevalentemente seguito, negli ultimi due decenni, una linea che può definirsi di tipo "probabilistico" affermando che, per ritenere esistente il rapporto di causalità materiale, si dovesse accertare che l'intervento omesso, se tempestivamente e correttamente eseguito, avrebbe avuto "serie ed apprezzabili probabilità di successo" (formulazione questa che si ritiene idonea ad esprimere sinteticamente detta linea interpretativa).
Tale indirizzo è stato contrastato, con argomentazioni di forte critica, da alcune sentenze di questa medesima sezione (v. in particolare Cass., sez. IV, 28 settembre 2000 n. 1688, B., nonché, proprio sul tema della esposizione all'inalazione delle fibre di amianto, sez. IV, 25 settembre 2001 n. 1652, C. e altri) che, richiamando un autorevole orientamento dottrinario, hanno capovolto l'impostazione tradizionale della giurisprudenza di legittimità fondata sul giudizio probabilistico, giungendo a sostenere che "in tanto il giudice può affermare che un'azione od omissione sono state causa di un evento, in quanto possa effettuare il giudizio controfattuale avvalendosi di una legge o proposizione scientifica che ".
Più recentemente, per dirimere il contrasto insorto in materia, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza 10 luglio 2002 n. 30328, F. (depositata l'11 settembre 2002), decidendo un ricorso in tema di colpa professionale medica, hanno posto un punto fermo su questa complessa problematica.
Nel riaffermare la necessità di procedere al giudizio controfattuale al fine di verificare se, eliminata mentalmente la condotta presa in considerazione, l'evento si sarebbe ugualmente verificato, le Sezioni Unite hanno richiamato, condividendolo, l'orientamento che ritiene valido il "paradigma unitario di imputazione dell'evento" con riferimento al "condizionale controfattuale", la cui formula deve rispondere al quesito se "mentalmente eliminato il mancato compimento dell'azione doverosa e sostituito alla componente statica un ipotetico processo dinamico corrispondente al comportamento doveroso, supposto come realizzato, il singolo evento lesivo, hic et nunc verificatosi, sarebbe, o non, venuto meno, mediante un enunciato esplicativo 'coperto' dal sapere scientifico del tempo" (pag. 10 della sentenza F.). Dopo aver poi precisato che il contrasto giurisprudenziale sembrava vertere sui "criteri di determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale" - con conseguente necessità di focalizzare, quindi, l'attenzione sulla "verificabilità processuale" della causalità - le Sezioni Unite hanno ritenuto di non condividere l'orientamento che, particolarmente sul tema dei trattamenti terapeutici, fa riferimento, al fine di ritenere accertato il nesso di condizionamento, alle "serie e apprezzabili probabilità di successo" del trattamento omesso, in quanto, con questa formula, si esprimono coefficienti indeterminati di probabilità con il rischio di violare i principi di legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio.
Muovendo da tali premesse le Sezioni Unite hanno indicato una via che riconduce la soluzione del problema all'accertamento processuale dell'esistenza del nesso di condizionamento, alla stregua di quei canoni di "certezza processuale" non dissimili da quelli utilizzati per l'accertamento degli altri elementi costitutivi della fattispecie, in modo che possa pervenirsi, all'esito del ragionamento di tipo induttivo, ad un giudizio di responsabilità caratterizzato da "alto grado di credibilità razionale". In quest'ottica, secondo la sentenza citata, "non è sostenibile che si elevino a schemi di spiegazione del condizionamento necessario solo le leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico 'prossimo ad 1'; cioè alla 'certezza'., quanto all'efficacia impeditiva della prestazione doverosa e omessa rispetto al singolo evento." Seppur con riferimento alla scienza medica, ma con argomentazioni di carattere generale utilizzabili, quindi, anche nel caso in esame, le Sezioni Unite traggono, da questa considerazione, la conclusione che la "certezza processuale" può derivare anche dall'esistenza di coefficienti medio bassi di probabilità c.d. frequentista quando, suffragati da positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori alternativi, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento. Viceversa, livelli elevati di probabilità statistica o schemi interpretativi dedotti da leggi di carattere universale, "pur configurando un rapporto di successione tra eventi rilevato con regolarità o in numero percentualmente alto di casi, pretendono sempre che il giudice ne accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l'irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni diverse, controllandone quindi l'attendibilità in riferimento al singolo evento e all'evidenza disponibile" (pagg. 15 e 16 della sentenza F.). Con la conseguenza che non è "consentito dedurre automaticamente - e proporzionalmente - dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge la conferma dell'ipotesi sull'esistenza del rapporto di causalità ".
E' inadeguato, infatti, secondo la sentenza in argomento, esprimere il grado di corroborazione dell'explanandum ed il risultato della stima probabilistica "mediante cristallizzati coefficienti numerici, piuttosto che enunciare gli stessi in termini qualitativi" (cfr. pag. 16 della sentenza F.), per cui le Sezioni Unite hanno mostrato di condividere quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità che fa riferimento alla c.d. "probabilità logica" che, rispetto alla c.d. "probabilità statistica, consente la verifica aggiuntiva dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica al singolo evento.
Solo con l'utilizzazione di questi criteri può giungersi alla certezza processuale sull'esistenza del rapporto di causalità in modo analogo all'accertamento relativo a tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie, con criteri non dissimili "dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192 comma 2 c.p.p." al fine di pervenire alla conclusione, caratterizzata da alto grado di credibilità razionale, che la condotta omissiva dell'imputato "è stata condizione 'necessaria' dell'evento, attribuibile per ciò all'agente come fatto proprio" (come testualmente si legge a pag. 17 della sentenza F.). Mentre l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio, e quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva, non possono che condurre alla negazione dell'esistenza del nesso di condizionamento.
Passando ad esaminare direttamente la concreta fattispecie, rileva il Collegio che dal testo della sentenza impugnata risulta che i periti - in risposta al quesito circa la incidenza dell'inalazione delle polveri di amianto da parte della M. sull'insorgenza e sull'evoluzione della patologia che aveva poi portato a morte la M. stessa - si erano così espressi: se, per un verso, la morte della M. era sicuramente attribuibile all'insorgenza dell'asbestosi e del mesotelioma in conseguenza dell'inalazione per un lungo periodo delle polveri di amianto presenti sugli indumenti da lavoro del marito, per altro verso vi era soltanto la possibilità che dopo il 1971 (periodo in cui l'E. aveva assunto il ruolo di garanzia) si fossero sviluppati altri focolai di malignità attribuibili alle esposizioni successive alla data dei primi eventi di trasformazione maligna. Basandosi su queste risultanze peritali la Corte d'Appello ha ritenuto pienamente sussistente il nesso di causalità tra l'omissione contestata all'imputato ed il decesso della sig.ra M., pur dopo aver dato atto di talune circostanze di fatto inconfutabilmente accertate e delle articolate indicazioni fornite dai periti, quali appare opportuno qui di seguito ricordare: a) il marito della F. era stato addetto alla lavorazione dell'amianto per un lungo periodo, dal 1952 al 1968, durante il quale l'odierno imputato non aveva la responsabilità delle condizioni di sicurezza dello stabilimento; b) dal 1968 al 1972 il F. era stato addetto alla preparazione di ipocloriti; c) solo a far tempo dal 1971 l'E. aveva assunto il ruolo di garanzia; d) il F. aveva cessato la sua attività lavorativa nel 1977; e) la posizione dell'E. doveva essere valutata, quindi, solo con riferimento al limitato periodo dal 1972 (allorquando il F. aveva ripreso a lavorare nel reparto ove avveniva la miscelazione dell'amianto) al 1977; f) nel 1975 era stata installata nello stabilimento una lavatrice per il lavaggio degli indumenti di lavoro: ciò aveva, presumibilmente, comunque comportato, se non la eliminazione, quanto meno una diminuzione del contatto della sig.ra M. con le polveri di amianto; g) i periti avevano affermato, esprimendosi al riguardo in termini di certezza, che l'evento non si sarebbe verificato se non vi fosse stata per la M. la esposizione all'amianto; h) i periti avevano poi precisato di ritenere più probabile che i primi eventi di trasformazione maligna che avevano portato allo sviluppo del mesotelioma erano iniziati prima del 1971 (cioè prima che l'E. assumesse un ruolo di responsabilità all'interno dello stabilimento); i) gli stessi periti si erano infine espressi in termini di mera possibilità circa l'eventualità dello sviluppo di altri focolai di malignità in conseguenza delle esposizioni successive alla data dei primi eventi di trasformazione maligna. In definitiva, sulla scorta delle risultanze peritali, l'unica certezza acquisita (quale "certezza processuale") è quella della riconducibilità della morte della povera sig.ra M. alla esposizione alle polveri di amianto, come si rileva dalla quart'ultima pagina della sentenza (priva di numerazione delle pagine) della Corte d'Appello. Orbene ciò non può ritenersi evidentemente sufficiente, sul piano motivazionale dal punto di vista della logicità ed adeguatezza, a corroborare l'affermazione della sussistenza del nesso di causalità, con specifico riferimento alla posizione dell'E., tenuto conto delle circostanze di fatto accertate, dei momenti cronologici che hanno caratterizzato la vicenda in esame (quali sopra analiticamente ricordati) e delle precisazioni dei periti i quali, per quel che concerne l'incidenza dell'esposizione della sig.ra M. alle polveri di amianto a partire dal 1971, si sono espressi, giova ripeterlo, in termini di semplice possibilità. A fronte delle deduzioni dell'appellante, e sulla scorta delle acquisite risultanze processuali, la Corte distrettuale avrebbe dovuto indicare gli elementi e le ragioni a fondamento del suo convincimento secondo cui - in un contesto di esposizione alle polveri di amianto per un lungo periodo a partire dal 1952 (dunque per circa venti anni, non dovendosi tener conto del quadriennio 1968-1972 nel quale il F. non lavorò a contatto con l'amianto) - la esposizione della sig.ra M. all'amianto nel limitato periodo dal 1972 al 1977 (e tenuto altresì conto, quale dato scientifico, dei tempi di latenza della malattia in argomento notoriamente lunghi) aveva avuto una significativa incidenza, sull'evoluzione della malattia della stessa sig.ra M. (e considerato anche che nel 1975 era stata installata la lavatrice nello stabilimento), tale da far ritenere (in termini di certezza processuale) la sussistenza del nesso causale tra le omissioni contestate all'E. ed il decesso della povera M.. Ciò a maggior ragione alla luce dei principi enunciati poi (successivamente alla decisione della Corte d'Appello censurata dal ricorrente) dalle Sezioni Unite con la sentenza di cui si è innanzi diffusamente detto.
Ne consegue che l'impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino che si atterrà ai principi di diritto quali sopra evidenziati.
L'accoglimento della principale censura del ricorso, concernente la sussistenza stessa del reato, per il suo carattere assorbente rende evidentemente superfluo l'esame della subordinata doglianza relativa al trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla l'impugnata sentenza e rinvia per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d'Appello di Torino.
Roma, 15 maggio 2003
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 1 LUG. 2003.