N. 01909/2010 REG.DEC.
N. 09835/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 9835 del 2005, proposto da:
S.E.L. S.n.c. di Monaco S. & C., rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Inglese, Stefano Vinti, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia N. 88;

contro

Provincia di Genova, rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Giovannetti, Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare N.14; Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dip. Funz. Pubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Giustizia, Ministero dell'Interno, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dip. Affari Regionali, Siemens S.p.A., S.A.I.S.E.B.;

per la riforma

della sentenza del TAR LAZIO - ROMA: Sezione II TER n. 04938/2005, resa tra le parti, concernente AGGIUDICAZIONE APPALTO LAVORI DI RESTAURO DI EDIFICIO NEL PORTO ANTICO DI GENOVA.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dip. Funz. Pubblica e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero della Giustizia e di Ministero dell'Interno e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e di Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2010 il Cons. Giancarlo Montedoro e uditi per le parti gli avvocati l'Avv. dello Stato Colelli, Chirulli per delega di Vinti, e Pafundi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Provincia di Genova ha bandito, in data 3.7.2003, un pubblico incanto per la “progettazione ed esecuzione di lavori di restauro e risanamento conservativo dell’edificio Calata Darsena nel Porto antico di Genova per l’inserimento del nuovo Istituto nautico S.Giorgio” per l’importo a base d’asta di euro 7.215.331,45, oneri di sicurezza e progettazione inclusi. Con determinazione dirigenziale del 20.11.2003, prot. n. 6958/120807, è stata disposta l’aggiudicazione provvisoria in favore dell’a.t.i. costituita tra la Tofanelli costruzioni s.r.l. (capogruppo mandataria), la Crocco Emauele s.r.l. (mandante) e l’odierna ricorrente S.e.l. s.n.c. (mandante), che ha offerto il miglior ribasso del 28,144%.
Solo successivamente a tale aggiudicazione e a seguito di contatti intercorsi con la stazione appaltante, il sig. Sebastiano Monaco, legale rappresentante della ricorrente S.e.l., si avvedeva di essere incorso in un’ inesattezza nella dichiarazione richiesta dal punto B.4 del “modello per domanda di ammissione”, allegato alle norme di partecipazione, vale a dire si rendeva conto di avere omesso di dichiarare una sentenza di patteggiamento relativa ad un infortunio sul lavoro avvenuto nel 2001 nell’ambito di un appalto indetto dal Comune di Rossiglione. Il sig. Monaco segnalava alla stazione appaltante l’errore in cui era incorso, facendo altresì rilevare come, a suo dire, lo stesso fosse stato determinato dalla diversità del bando rispetto a quelli in genere predisposti da altri enti pubblici nonché dall’ambigua formulazione del modello predisposto dalla Provincia il quale richiedeva di indicare anche le sentenze di patteggiamento non già nel corpo del bando e delle allegate norme di partecipazione bensì in una postilla al punto B.4 del modello di domanda, stampata, tra l’altro, in caratteri più piccoli rispetto alle restanti disposizioni di gara. Precisava altresì che detta sentenza non incideva comunque sulla moralità professionale tanto che la società ha lavorato e lavora tuttora con enti pubblici. Con nota del 9.12.2003, prot. n. 127.370, la Provincia di Genova avviava un procedimento diretto alla declaratoria di decadenza della A.t.i. dalla aggiudicazione, all’escussione della cauzione provvisoria e alla segnalazione dei fatti alle autorità competenti, avendo ravvisato “incompatibilità tra la posizione dell’impresa S.e.l. e i requisiti di carattere generale indicati nel bando di gara” nonché una mendace dichiarazione resa dal sig, Monaco relativamente ai punti B.4 e B.11 del modello di domanda. Con memoria del 29.12.2003, la capogruppo Tofanelli evidenziava che l’omessa indicazione della sentenza patteggiata non poteva ritenersi frutto di dolo, che comunque le sentenze di condanna con richiesta di applicazione della pena sono inefficaci nei giudizi civili e nei procedimenti amministrativi, che il ruolo della S.e.l. era limitato a lavorazioni e forniture per una quota pari al 3% del valore dell’appalto, con conseguente assenza dal cantiere. La ricorrente, dal canto suo, rimarcava la limitata efficacia della sentenza di patteggiamento nonché l’assenza di gravi infrazioni alle norme di sicurezza risultanti dai dati in possesso dell’Osservatorio ll.pp. Sottolineava altresì che secondo la stessa interpretazione data dall’Autorità di vigilanza sui ll.pp. (determinazione n. 13 del 15.7.2003 e precedenti) gli unici reati in grado di incidere sulla moralità professionale sono quelli contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica e il patrimonio. Faceva infine notare che non poteva farsi applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 in quanto non vi era nesso causale tra l’omessa dichiarazione e l’aggiudicazione.
Con il provvedimento impugnato, infine, è stata disposta la decadenza dall’aggiudicazione, l’escussione della cauzione provvisoria, la segnalazione dell’impresa ricorrente all’Autorità di vigilanza per i lavori pubblici. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
A)
Con riferimento all’insussistenza della causa di decadenza di cui all’art. 75, D.P.R. 28.12.2000, n. 445.
A1)
Illegittimità del punto B.4 del “modello di domanda di ammissione” allegato alle “norme di partecipazione” integrative del bando di gara, e, in via derivata, del provvedimento dirigenziale 1.4.2004, n.1980. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75, comma 2, D.P.R. 21.12.1999, n. 554, così come sostituito dall’art.2, comma 1, D.P.R. 30.8.2000, n. 412 – Violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa, nonché dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1 legge 7.8.1990, n. 241. Eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento, difetto di istruttoria e motivazione, illogicità: a norma dell’art. 75, comma 2, in rubrica “i concorrenti dichiarano ai sensi delle vigenti leggi l’inesistenza delle situazioni di cui al comma 1, lettere a), d), e), f), g) e h) e dimostrano mediante la produzione di certificato del casellario giudiziale o dei carichi pendenti che non ricorrono le condizioni prescritte al medesimo comma 1, lettere b) e c).” A dire dei ricorrenti, le norme in esame si interpreterebbero esclusivamente nel senso che, non solo le stazioni appaltanti non possono prescrivere la produzione di autocertificazioni, al posto del certificato del casellario giudiziale, ma che comunque le stesse debbono limitarsi ad esaminare le risultanze di detta certificazione, rilasciata ai concorrenti e prodotta in sede di gara (e non già, si badi, le risultanze del diverso certificato che il casellario rilascia alle stazioni appaltanti). Del resto, prosegue la ricorrente, non si può pretendere che i privati valutino ex ante quale tipo di reato sia idoneo ad incidere sulla propria affidabilità morale e professionale, trattandosi di una valutazione che presenta ampi margini di opinabilità;
A2)
in subordine: illegittimità del punto B.4. del “modello per domanda di ammissione” allegato alle “norme di partecipazione”, integrative del bando di gara sotto altro profilo e, in via derivata, del provvedimento dirigenziale 1.4.2004, n. 1980. Violazione dei principi di trasparenza e di efficacia dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost. e all’art. 1 dell'al. 7.8.1990, n. 241, anche in relazione al principio di buona fede nella trattative di cui all’art. 1337 c.c. – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità: particolarmente insidiosa deve poi ritenersi la modalità di redazione grafica del modello di domanda, che, a dire dei ricorrenti, era tale da trarre in inganno il compilatore. La necessità di dichiarare anche le sentenze di patteggiamento viene infatti precisata non già nel testo principale del punto B.4 bensì in una postilla a fondo pagina scritta in caratteri microscopici.
A3) in ulteriore subordine: illegittimità per vizi propri del provvedimento dirigenziale 1.4.2004, n. 1980. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 D.P.R. 28.12.2000 n. 445- Violazione del principio del favor partecipationis e di massima concorrenza alle gare – Eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento, difetto di istruttoria e motivazione, illogicità, sproporzione, inigustizia grave e manifesta: la norma di cui all’art. 75 in rubrica, a dire dei ricorrenti, presuppone che la non veridicità della dichiarazione sia non solo frutto di una scelta del dichiarante, consapevolmente diretta al conseguimento del beneficio derivante dalla dichiarazione, ma che detto beneficio sia alla dichiarazione stessa causalmente connesso. Nella fattispecie, invece, non solo il sig. Monaco è incorso in un errore incolpevole e sicuramente non frutto di dolo, ma non ha tratto alcun beneficio dall’omessa dichiarazione posto che il reato patteggiato nel 2001, a suo dire, non ha alcuna incidenza sul requisito della moralità professionale. Ad ogni buon conto, la norma in rubrica è stata richiamata a sproposito dall’Amministrazione in quanto il procedimento di gara è appositamente e specificamente disciplinato dalle norme sugli appalti di lavori pubblici di cui alla l. n. 109 del 1994 e relative disposizione attuative.
A4) In ulteriore subordine: illegittimità dell’art. 75, D.P.R. 28.12.2000 n. 445 e, in via derivata, del provvedimento dirigenziale 1.4.2004, n. 1980. Violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa, nonché degli artt. 3, 27, e 97 Cost. e 1 legge 7.8.1990, n. 241 – Violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità dell’attività amministrativa e dell’art. 3 Cost. – Eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento – difetto di istruttoria: in estremo subordine, i ricorrenti impugnano la stessa disposizione di cui all’art. 75 del T.U. sulla documentazione amministrativa per contrasto con i più elementari canoni di attribuzione della responsabilità e delle conseguenti sanzioni.
B) Con riferimento all’asserita violazione dell’art. 75, comma 1, lett. c.), d.P.R. 21.12.1999, n. 554.
La Provincia ha ravvisato altresì, nel reato di cui alla sentenza di patteggiamento 20.11.2001 a carico del sig. Monaco, un reato incidente sull’affidabilità morale e professionale dell’impresa ricorrente “per le conseguenze del reato, il tempo trascorso dai fatti, le violazioni contestate”.
In proposito deduce:
B1) Illegittimità del punto B.4 del “modello per domanda di ammissione” allegato alle “norme di partecipazione” integrative del bando di gara e, in via derivata, del provvedimento dirigenziale 1.4.2004, n. 1980. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75, comma 2, D.P.R. 21.12.1999, n. 554 come sostituito dall’art. 2, comma 1, D.P.R. 30.8.2000 n. 412 – Violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa nonché dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1. legge 7.8.1990 n. 241 – Eccesso di potere per errore sui presupposto e conseguente travisamento, difetto di istruttoria e motivazione, illogicità.
I ricorrenti ritengono che gli unici precedenti penali valutabili dalle stazioni appaltanti siano quelli ricavabili dal certificato del casellario rilasciato ai privati e non anche quelli documentati dal diverso certificato rilasciato alle stazioni appaltanti.
B2) Illegittimità dell’ar. 75, comma 1, lett. c), D.P.R. 21.12.1999 n. 554 e, in via derivata, del provvedimento dirigenziale 1.4.2004 n. 1980.
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 445 c.p.p – eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento, illogicità.
L’equiparazione operata dal regolamento attuativo della legge Merloni tra sentenze di condanna e sentenze patteggiate viola, a dire dei ricorrenti, la sovraordinata previsione del codice di procedura penale, di cui in rubrica,, in quanto la sentenza di patteggiamento non comporta l’applicazione di pene accessorie, tra cui rientra, ad esempio, l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione.
B3) in subordine: illegittimità per vizi propri del provvedimento dirigenziale 1.4.2004 n. 1980.
Violazione degli artt. 3 e 10 7.8.1990, n. 241 – Violazione del principio del favor partecipationis e di massima concorrenza alle gare – Eccesso di poter per errore sui presupposti e conseguente travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione.
La sentenza patteggiata dal sig. Monaco concerne un infortunio sul lavoro e dunque non riguarderebbe un reato in grado di incidere sulla moralità professionale dell’imprenditore quali i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica e il patrimonio. La ricorrente richiama in proposito l’interpretazione sistematica delle norme di settore (segnatamente in relazione all’art. 27, comma 1, lett. q) del d.P.R. n. 34/2000) nonché gli indirizzi formulati al riguardo dal Ministero dei lavori pubblici e dall’Autorità per la vigilanza sui ll.pp. (determinazione 15.7.2003 e precedenti). Ad ogni buon conto, l’incidente sul lavoro dal quale è derivata la condanna patteggiata dal sig. Monaco è dipeso da mera fatalità o comunque da errori umani non imputabili all’amministratore della S.e.l..
Si richiamano, a tale riguardo, le controdeduzioni analiticamente svolte nella memoria per la stazione appaltante in data 29.12.2003. L’impresa ricorrente ribadisce comunque di avere un ruolo del tutto marginale nell’esecuzione dell’appalto e rileva come, nel provvedimento impugnato, non vi sia alcuna esplicita motivazione in ordine alla relazione pretesamente esistente tra il reato contestato (omicidio colposo e lesioni colpose) e l’affidabilità professionale della ricorrente medesima. Ed ancora, non si è tenuto in adeguata considerazione il differente e più benevole trattamento riservato alla S.e.l. da altre Amministrazioni aggiudicatrici nonché dell’esistenza di un consolidato principio di favor partecipationis nell’ammissione alle gare di appalto.
C) con riferimento all’asserita violazione dell’art. 75, comma 1, lett. e) D.P.R. 21.12.1999, n. 554.
C1) Illegittimità del punto B.11 del “modello per domanda di ammissione” allegato alle norme di partecipazione integrative del bando e, in via derivata, del provvedimento dirigenziale 1.4.2004, n. 1980.
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75, comma 1, lett. e) del D.P.R. 21.12.1999, n. 554, così come sostituito dall’art. 2, comma 1, d.P.R. 30.8.2000 n. 412 – Violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa nonché dell’art. 97 Cost. e dell’art.1 legge 7.8.1990, n. 241- Violazione dell’art. 3, l. 7.8.1990, n. 241- Eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento, difetto di istruttoria e motivazione, ingiustizia grave e manifesta.
La prescrizione di cui al punto B.11 del modello di domanda non fa alcun riferimento ai dati detenuti dall’Osservatorio dei ll.pp. là dove invece la norma di cui all’art. 75, comma 1, lett. e) in rubrica fa appunto riferimento a “gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio dei lavori pubblici”. D’altro canto non può ritenersi “debitamente accertata” una violazione ipotizzata in un procedimento penale definito con una sentenza di patteggiamento. La ricorrente ritiene inoltre che la norma di cui in rubrica ponga un vero e propri limite alla facoltà di esclusione in quanto, a tutela della par condicio di concorrenti, pone un presupposto uguale per tutti i concorrenti e cioè quello dei dati detenuti dall’Osservatorio.
C2) In subordine: illegittimità dell’art. 75, comma 1, lett. e) D.P.R. 21.12.1999, n. 554.
Violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa, nonché dell’art. 97 Cost. e 1 l. 7.8.1990, n. 241 – Violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità e dell’art. 3 Cost. – Eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento – difetto di istruttoria: infine la ricorrente censura la stessa norma regolamentare in rubrica per la violazione di elementari canoni di ragionevolezza, proporzionalità e imparzialità dell’attività amministrativa, in quanto, a suo dire, lascia alla più completa discrezionalità della singola stazione appaltante la valutazione sulla gravità delle infrazioni alle norme di sicurezza.
Si sono costituiti, resistendo, la Provincia di Genova, la società Siemens e S.a.i.s.e.b., e le Amministrazioni statali meglio indicate in epigrafe (queste ultime con atto di mera forma).
La Provincia di Genova ha in primo luogo eccepito la tardività delle censure sollevate avverso il bando di gara nella parte in cui prescrive l’obbligo di dichiarare anche l’eventuale sussistenza di reati che non sono iscritti nel casellario giudiziale. Ha evidenziato che la dichiarazione non veritiera va sanzionata nei modi previsti dalla legge e dal bando di gara. Ha richiamato la stessa determinazione dell’AVLP ex adverso invocata, la quale, a differenza di quanto assume il ricorrente, lascia ampio spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante al fine di valutare le singole concrete fattispecie che possono incidere sulla fiducia contrattuale.
Si sono quindi costituite nel giudizio di primo grado la società Siemens s.p.a. (in data 2.11.2004) e S.a.i.s.e.b. s.p.a. (in data 28.1.2005), quest’ultima a seguito della notifica di un apposito atto di integrazione del contradditttorio da parte di S.e.l.. La società Siemens, con memoria depositata in vista dell’udienza di discussione del 18.4.2005, ha in primo luogo eccepito l’improcedibilità del gravame per omessa impugnazione da parte di S.e.l. dell’aggiudicazione definitiva di cui al provvedimento dirigenziale n. 3820 del 28.6.2004, provvedimento del quale la Provincia di Genova ha depositato copia sin dalla produzione del 18.10.2004. Ha quindi fatto rilevare che S.e.l. ha omesso di impugnare l’art. 3, comma 14, nonché l’art. 10, lett. H, I e J delle norme di partecipazione, le quali dispongono l’esclusione dalla gara anche per l’omissione delle dichiarazioni relative ai requisiti di ammissione. Nel merito, ha evidenziato come anche dopo la riforma del casellario giudiziale (di cui al d.P.R. n. 313/2002) la pubblica amministrazione, al fine di acquisire informazioni contenuto nel solo certificato integrale, può accedere al SIC del casellario giudiziale o comunque richiedere al privato una autocertificazione, riservandosi poi di esercitare i poteri di controllo e di verifica prescritti dagli artt. 43 e 71 del d.P.R. n. 445/2000. Ed ancora, la lex specialis era chiara nel sanzionare con l’obbligo dell’esclusione l’obbligo di dichiarare anche le sentenze di patteggiamento. L’esclusione per la presenza di sentenze di patteggiamento che incidano sulla moralità professionale è comunque una misura cautelare amministrativa e non una pena accessoria. Nel caso di specie la vicenda sanzionata con la sentenza di patteggiamento riguarda un episodio di omicidio colposo e lesioni plurime aggravate, derivate dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e quindi denotante la scarsa attitudine di essa all’organizzazione del lavoro secondo canoni di sicurezza, in palese contrasto con gli elementari principi deontologici dell’impresa, che deve primariamente garantire la sicurezza dei propri lavoratori.
La ricorrente ha presentato due ulteriori memorie, in data 2.11.2004 e 6.4.2005, sviluppando e ribadendo le proprie argomentazioni.
Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 8.11.2004.
Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, prescindendo dalle questioni processuali, ha respinto il ricorso nel merito.
In primo luogo si è ritenuto che la legge speciale della gara non fosse ambigua o non sufficientemente comprensibile alla luce del tenore del punto 3.14 delle norme di partecipazione che richiede, fra i requisiti di ammissione, il non aver riportato condanne penali con sentenza passata in giudicato oppure di applicazione della pena su richiesta per qualsiasi reato possa incidere sulla moralità professionale, specificando poi la prescrizione in calce al modello di domanda ed all’art. 10 lett. J che sanziona con l’esclusione dichiarazioni incomplete o mendaci.
Il Collegio di prime cure ha ritenuto, in ossequio ad un orientamento giurisprudenziale, che, mediante autocertificazione si possa anche richiedere al privato di attestare l’inesistenza di sentenze di applicazione della pena su richiesta, non risultante dal casellario giudiziario spedito a richiesta dei privati, come nella specie sarebbe avvenuto.
Nella specie era richiesta la dichiarazione di tutte le condanne intervenute, rimettendosi poi all’amministrazione, stazione appaltante, ogni valutazione circa la loro rilevanza e l’incidenza sulla moralità professionale dell’impresa.
Quanto all’esclusione il Collegio di prime cure ha ritenuto che essa potesse ben disporsi in base al mendacio in ordine a sentenza patteggiata, che tale conseguenza non richiedesse una particolare indagine sull’elemento soggettivo, che la rilevanza delle sentenze patteggiate nelle selezioni pubbliche era da ritenersi giustificata alla luce delle esigenze di cautela con le quali le amministrazioni devono entrare in contatto con soggetti la cui condotta illecita sia incompatibile con la realizzazione di progetti di interessi collettivo comportanti esborso di danaro pubblico.
Il Tar ha poi ritenuto che i requisiti morali non possano essere valutati cumulativamente, che essi debbano sussistere distintamente per ogni soggetto facente parte di un raggruppamento concorrente per un appalto.
In ultimo sul reato oggetto del precedente non dichiarato ( omicidio colposo con violazione delle norme anti-infortunistiche ) ha ritenuto che lo stesso fosse incidente sull’affidabilità e la moralità professionale.
Inoltre ha ritenuto che fosse nel potere dell’amministrazione acquisire notizie in via diretta dalla Procura della Repubblica.
La sentenza si è poi soffermata sugli effetti di accertamento che è possibile ricondurre alla sentenza di patteggiamento e sulla concretezza del giudizio dell’amministrazione che si era soffermata sulla tipologia dell’infrazione contestata ( relativa alla sicurezza sul lavoro ) sia sulla gravità delle conseguenze ( morte di un operaio e lesione di altri ).
In ultimo ha ritenuto legittima la clausola generale relativa all’affidabilità morale e professionale, stante la difficoltà di un’enumerazione tassativa delle fattispecie di reato aventi efficacia preclusiva della partecipazione alle gare pubbliche.
Appella la SEL articolando l’impugnazione su tre motivi poi ulteriormente dettagliati.
Il primo motivo aggredisce i capi della sentenza afferenti l’asserita falsità delle dichiarazioni e la causa di decadenza di cui all’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 ( pag. 14- 26 ).
Il secondo motivo i capi della sentenza afferenti l’esistenza di un reato patteggiato incidente sulla moralità professionale ex art. 75 comma 1, lett. c) del d.p.r. n. 554 del 1999 ( pag.26- 34 ).
Il terzo motivo investe i capi della sentenza afferenti la sussistenza di una grave violazione anti-infortunistica, anche ai sensi dell’art. 75 comma 1, lett. e) del d.p.r. n. 554 del 1999.
Resiste la Provincia di Genova.

DIRITTO

L’appello è infondato.
Il primo mezzo, in primo luogo ribadisce la censura di mancanza di chiarezza della lex specialis ( pag. 16-18 dell’atto di appello ).
La necessità di dichiarare le sentenze di patteggiamento sarebbe stata prevista in una postilla richiamata a fondo pagina e scritta in caratteri microscopici.
Il punto 3.14 delle norme di partecipazione non sarebbe chiaro facendo riferimento alle sentenze che incidono sulla moralità professionale e non a tutte le sentenze.
Rileva il Collegio che in primo luogo il punto 3.14, dopo aver precisato che fra i requisiti di partecipazione vi era il “non aver subito condanne penali, con sentenza passata in giudicato oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per qualsiasi reato che possa incidere sulla moralità professionale”, prosegue precisando che “si deve fare riferimento a tutti i tipi di condanna…” con ciò chiarendo che qualsiasi condanna è rilevante ai fini del giudizio, da parte dell’amministrazione, di non affidabilità professionale.
L’art. 10 lett. j delle norme di partecipazione sanziona poi con l’esclusione l’omissione di una o più delle dichiarazioni relative al possesso dei requisiti di ammissione.
Quanto al fac-simile del modulo di partecipazione al punto B.4 è chiaro nel richiedere che non risultino condanne penali ( specificandosi poi con nota ben visibile, nota 15, che esse comprendono anche i casi di applicazione della pena su richiesta ).
Le note a piè di pagina del modulo erano ben visibili perché occupavano quasi la metà dello spazio della pagina del modulo medesimo, sicché era dovere del concorrente prestare attenzione alle stesse.
Ne deriva l’infondatezza di tutte le doglianze prima specificate.
Il primo mezzo di appello continua ( pag. 19-22 ) contestando l’illegittimità, per contrarietà al buon andamento amministrativo, della richiesta di un’autodichiarazione in aggiunta a quanto previsto dal casellario giudiziario, addossandosi al ricorrente, impropriamente, il compito di interpretare la portata di eventuali sentenze di condanna o di patteggiamento e la loro incidenza sulla moralità professionale ovvero di dichiarare, non senza rischio di fraintendimenti, tutte le condanne subite .
Si richiama l’art. 75 comma 2 del d.p.r. n. 544 del 1999 che prevede che l’insussistenza delle condizioni ostative sia provata mediante la produzione del certificato del casellario e non mediante un’autodichiarazione.
Si ritiene che la predetta norma prevalga, in forza del principio di specialità, sulla diversa norma di cui all’art. 77 bis d.p.r. n. 445 del 2000.
Ritiene il Collegio che le deduzioni della ricorrente, anche sotto questo ulteriore riguardo, non siano fondate.
In primo luogo va rilevato che l’art. 75 fa riferimento alla produzione del certificato del casellario ma non esclude il potere dell’amministrazione di disporre ulteriori accertamenti o di prescrivere nella lex specialis particolari adempimenti dichiarativi a carico dei concorrenti.
Il certificato del casellario giudiziario non riporta se chiesto dai privati le condanne per le quali è stato riconosciuto il beneficio della non menzione nonché le sentenze di applicazione della pena su richiesta ( patteggiamento ) e neppure (art. 34, comma 4, l. n. 55 del 1990) i provvedimenti definitivi di irrogazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale ex art. 3 l. n. 1423 del 1956; per effetto dell'entrata in vigore del t.u. del casellario giudiziario (d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313) solo al p.m. ed all'autorità giudiziaria penale è consentita l'acquisizione del certificato integrale (in precedenza acquisibile da tutte le pubbliche amministrazioni), mentre le pubbliche amministrazioni possono ottenere solo il certificato rilasciato all'interessato; conseguentemente il bando di gara può legittimamente prescrivere, con maggior severità rispetto le previsioni di cui all'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999, che il concorrente, oltre a produrre il certificato del casellario giudiziale, produca altresì apposita dichiarazione di insussistenza di reati incidenti la moralità e la professionalità, dichiarazione che dovrà essere veritiera, dovendo includere anche eventuali reati non iscritti nel casellario, nonché dichiarazione relativa alle circostanze ostative ex lett. b) dell'art. 75 citato, attesa la insufficienza dei certificati in questione; deve, peraltro, essere riconosciuta alla p.a. la facoltà di individuare modalità di documentazione dei requisiti di accesso a gara ulteriori e più restrittive di quelle di legge, ove ciò risponda a canoni di logicità, ragionevolezza, pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito, e non vi è dubbio che nel caso specifico dei requisiti di cui all'art. 75 sub b) e c) l'infungibilità dei certificati prescritti al comma 2 rispetto alla prova della inesistenza delle cause preclusive di cui al comma 1 giustifica un maggior rigore.
Va rilevato inoltre che al momento dell’indizione della procedura di evidenza pubblica ( bando pubblicato in data 27 giugno 2003 ) era vigente l’art. 77 bis del d.p.r. n. 445 del 2000 introdotto dall’art. 15 della legge n. 3 del 16 gennaio 2003, che prevedeva l’applicazione delle disposizioni sull’autocertificazione anche alle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici.
Va altresì considerati che per effetto del combinato dell'art. 24, l. n. 675 del 1996, dell'art. 39, d.P.R. n. 313 del 2002, da un lato, è ben ammissibile il trattamento dei dati personali relativamente alle decisioni di patteggiamento, a favore dei soggetti pubblici, ai fini dell'accertamento del requisito di inidoneità morale di coloro che intendono partecipare alle gare d'appalto, nelle ipotesi previste dalla legge, dall'altro, le pubbliche amministrazioni ed i gestori di pubblici servizi hanno il potere di consultare, a fini di controllo delle autodichiarazioni, direttamente il sistema informatico riguardante detti certificati del casellario giudiziario (Consiglio Stato, sez. IV, 07 giugno 2005, n. 2933 in proposito si è ritenuto che in tema di patteggiamento, il divieto di iscrizione della sentenza nei certificati del casellario richiesti dall'interessato e soggetti equiparati, non rende illegittimo il certificato penale integrale rilasciato all'esito della consultazione diretta del sistema da parte delle amministrazioni pubbliche, le quali, in virtù del disposto di cui all'art. 39 t.u. n. 313 del 2002 conservano la possibilità di procedere alle acquisizioni di ufficio e di svolgere controlli di cui agli art. 46 e 71 d.P.R. n. 445 del 2000 Cassazione penale, sez. III, 21 dicembre 2004, n. 5735).
La disciplina trova una conferma nel codice dei contratti pubblici, che, all'art. 38, comma 2, D.Lg.vo n. 163/2006 prevede che "il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del DPR n. 445/2000, in cui indica anche le eventuali condanne, per le quali abbia beneficiato della non menzione"; al riguardo va sottolineato che ai sensi del previgente 689, comma 2, C.P.P. ( sostanzialmente, per questo aspetto confermato dal d.p.r. n. 313 del 2002 ), nel certificato del Casellario giudiziale, richiesto dai privati, sin dalla legge n. 12 del 1991, non sono riportate le condanne definitive: 1) per le quali è stato riconosciuto il beneficio della non menzione nel certificato stesso ex art. 175 C.P… 5) di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento) ex artt. 444 e 445 C.P.P
É certo che le predette sentenze di condanna definitiva, non indicate nei certificati del Casellario giudiziale richiesti dai privati, ai sensi dell'art. 688, comma 1, C.P.P., erano riportabili nei certificati integrali del Casellario giudiziale, rilasciati su richiesta di una Pubblica Amministrazione o di un Ente incaricato di pubblico servizio, fino alla legge n. 313 del 2002 che ha ulteriormente ristretto l’accesso dell’amministrazione ai certificati integrali, ma non per il riscontro della veridicità delle autodichiarazioni, imponendo il ricorso all’autodichiarazione.
Pertanto, poiché anche le sentenze di condanna con il beneficio della non menzione nel certificato del Casellario giudiziale o le sentenze patteggiate potrebbero incidere sulla moralità professionale e perciò potrebbero costituire un ostacolo all'ammissione ad un procedimento di evidenza pubblica, i concorrenti ad una gara di pubblico appalto devono attestare con apposita autodichiarazione, oltre alla mancanza delle sentenze di condanna definitiva che vengono indicate nel certificato del Casellario giudiziale a richiesta dei privati (cioè di una dichiarazione sostitutiva del certificato del Casellario giudiziale), anche l'assenza di sentenze definitive di condanna con il beneficio della non menzione, nonché,come nella specie, l'assenza di sentenze patteggiate (per le quali non è stata ottenuta l'amnistia, la riabilitazione o l'estinzione e artt. 167 o 445 C.P.P. per decorso del tempo senza aver commesso un altro reato) e l'assenza di reati puniti con la sola pena pecuniaria, attesocché deve essere consentita all'Amministrazione appaltante la possibilità di effettuare una valutazione anche della rilevanza di tali condanne sull'affidabilità morale e professionale di ogni partecipante ad un procedimento di evidenza pubblica.
Per cui l'attestazione sui requisiti di moralità professionale, che non contenga il riferimento ad una sentenza di patteggiamento per omicidio colposo, va equiparata alla stregua di una falsa dichiarazione, che ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. m), DPR n. 34/2000 va sanzionata con l'esclusione dalla gara (cfr. da ultimo C.d.S. Sez. V Sent. n. 1723 del 12.4.2007; TAR Trento Sent. n. 8 del 21.1.2008).
La giurisprudenza al riguardo afferma - se si eccettuano i reati relativi a condotte delittuose individuate dalla normativa antimafia - in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato (cfr. Cons. St., sez. V, 18.10.2001, n. 5517; id., 25.11.2002, n. 6482).
Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di appello, anche sotto il profilo relativo alla contestazione della legittimità dell’autodichiarazione ( pag. 19-22).
In ultimo, sempre con il primo mezzo di impugnazione, si ripropongono le doglianze relative all’errata applicazione dell’art. 75 del d.p.r. n. 45 del 2000, che, come è noto, recita : “fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera.” ( pag. 22 -25 dell’atto di appello ).
Si insiste sulla tesi secondo la quale l’aggiudicazione dell’appalto non è stata il frutto di una dichiarazione dolosa o comunque consapevole diretta a conseguire un beneficio ingiusto e sul fatto che, comunque, la ricorrente non ha tratto alcun beneficio dalla omessa dichiarazione, non essendo il reato patteggiato incidente sulla moralità professionale.
Il Collegio ritiene che l’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 non richieda alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, se così fosse verrebbe meno infatti la ratio della disciplina che è volta a semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante .
Il corollario che deve trarsi da tale constatazione è che la non veridicità di quanto auto-dichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l’autodichiarazione non veritiera indipendentemente da ogni indagine della pubblica amministrazione sull’elemento soggettivo del dichiarante, perché non vi sono particolari risvolti sanzionatori in giuoco, ma solo le necessità di spedita esecuzione della legge sottese al sistema della semplificazione.
L’accertamento dell’elemento soggettivo può essere rilevante sotto altri profili ad es. per verificare la sussistenza di un eventuale reato di truffa ( art. 640 del c.p.) ma non per applicare le conseguenze decandenziali legate alla non veridicità obiettiva della dichiarazione.
Né nella specie – per quanto si è già osservato – può ritenersi che il bando non fosse chiaro, l’esistenza di differenti prassi amministrative è solo stata enunciata e non minimamente allegata, le rassicurazioni date da un penalista circa la non incidenza della sentenza di patteggiamento sull’attività di impresa sono non provate oltre che irrilevanti trattandosi di valutazioni ( quelle sull’incidenza dei reati sull’affidabilità professionale ) riservate all’amministrazione e non surrogabili mediante pareri professionali, se non a pena di superare il modello di tradizionale funzionamento della normativa basata sulla sequenza autodichiarazione del concorrente – valutazione dell’incidenza da parte dell’amministrazione.
In giurisprudenza si è ritenuto che il partecipante ad una gara d'appalto ha l'obbligo di dichiarare alla p.a. qualsiasi elemento utile al fine di valutare la sussistenza di possibili cause di esclusione, ivi compresi i fatti che pertengano non già alla vita professionale, ma a quella personale del partecipante.
Ne consegue che legittimamente la p.a., in sede di autotutela, annulla d'ufficio l'aggiudicazione di un appalto, allorché venga a sapere che l'aggiudicatario abbia sottaciuto alla p.a. di avere riportato una condanna per concussione (Consiglio Stato, sez. V, 18 settembre 2003, n. 5321).
Analogamente si è ritenuto che in sede di procedura di gara d'appalto di opere pubbliche costituisce dichiarazione non veritiera e quindi legittima causa di esclusione dalla gara e non aggiudicazione dell'appalto, quella nella quale l'impresa concorrente omette di indicare, in sede di dichiarazione concernente le eventuali sentenze penali riportate, una sentenza patteggiata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., anche attinente ad un reato estinto per decorso del termine quinquennale di cui all'art. 445 c.p.p. (Consiglio Stato, sez. V, 25 gennaio 2003, n. 352).
Ne consegue, anche sotto questo profilo, l’infondatezza del primo motivo di appello.
Né può dirsi che l’art. 75 del d.p.r. n. 445 del 2000 – così interpretato – sia illegittimo per violazione del canone costituzionale del buon andamento, della ragionevolezza e dei principi generali dell’azione amministrativa ( pag. 25-26 dell’atto di appello ).
Ritiene il Collegio che proprio ove si assegnasse rilevanza all’elemento soggettivo del dichiarante, in un sistema incentrato sull’autoresponsabilità e l’assunzione di compiti pubblici da parte dei privati, risulterebbe compromessa la rispondenza dei provvedimenti alla realtà effettuale e con ciò compromesso il buon andamento dell’azione amministrativa, in quanto l’amministrazione non potrebbe rimuovere atti basati su circostanze non veritiere, pur essendo certa della falsità della documentazione offerta dai privati, senza svolgere prima complesse indagini sull’elemento soggettivo dei dichiaranti.
Ne deriva il rigetto del primo motivo di appello.
Il secondo mezzo è infondato nella parte in cui contesta che potesse valutarsi qualcosa che non risulti dal certificato penale richiesto dall’interessato ( pag. 26 -27 dell’atto di appello ).
Tutte le ragioni prima esposte riguardo la legittimità delle scelte amministrative in materia di autodichiarazione delle sentenze patteggiate sono da richiamarsi quali ragioni per poter valutare una sentenza non dichiarata come valutabile anche se non riportata dal certificato penale richiesto dal privato.
Con l’ulteriore articolazione del secondo mezzo di impugnazione ( pag. 27 e ss. dell’atto di appello ) si insiste sulla erroneità della condotta dell’amministrazione che ha dato rilevanza ad una sentenza di patteggiamento, che non comporta l’applicazione di pene accessorie, tra le quali rientra l’incapacità a contrarre con la p.a..
Si critica la sentenza che avrebbe ritenuto l’esclusione dai pubblici appalti non una pena accessoria, né un effetto penale della condanna od una sanzione amministrativa ma una mera misura cautelare prevista dal legislatore per evitare che l’esborso di danaro pubblico vada a favore di soggetti la cui condotta illecita sarebbe incompatibile con la realizzazione di progetti di interesse collettivo.
Si rileva che l’argomentazione del giudice di prime cure sarebbe nominalistica, sussistendo un contrasto fra la logica dell’istituto del patteggiamento ( comportante l’accettazione della pena senza processo ) e la sottoposizione di un soggetto ad una valutazione discrezionale da parte di qualsiasi stazione appaltante italiana ( pag. 27-29 dell’atto di appello ).
L'art. 75 d.P.R. 554/1999 prevede la esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni e la preclusione alla stipula dei relativi contratti, tra gli altri, per i soggetti (lettera c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza, oltre che di condanna passata in giudicato, anche di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per reati che incidono sulla affidabilità morale e professionale.
Il divieto opera, quando si tratta di società di capitali, se la sentenza è stata emessa a carico degli amministratori muniti del potere di rappresentanza.
L'art. 75, comma 2, d.P.R. n. 554/1999, configura, in via generale, una causa di esclusione automatica dalle procedure di affidamento degli appalti nei confronti di coloro che sono stati condannati, anche con una sentenza ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per un reato che incida sulla affidabilità morale e professionale.
Non può giustificarsi, tra l'altro, la omissione della dichiarazione circa la esistenza di condanne penali patteggiate, sulla base della peculiarità del rito processual-penale utilizzato.
L'istituto del patteggiamento, ossia della decisione penale di condanna su richiesta della parte, non può certo costituire un espediente per sfuggire ai requisiti di moralità professionale, richiesti ai partecipanti alle gare di appalto, nel senso che la valutazione della incidenza di tali reati su detta moralità e, quindi, sulla possibilità di partecipare alla gara non può essere rimessa all'arbitrio del concorrente; pertanto, essendo mendace la dichiarazione che non dia piena contezza delle condanne patteggiate, è legittimamente escluso dalla gara il concorrente che ometta di dichiararle e sarebbe illegittimo l'operato della amministrazione appaltante che non tenesse conto della omissione di dichiarazione ( CdS, Sez. IV, n. 2933 del 2005).
Ne consegue il rigetto, anche per questa parte, del secondo mezzo di impugnazione .
Con ulteriori argomentazioni, articolate nel secondo mezzo ( pag. 29 -34 dell’appello ) si sostiene che il reato patteggiato ( omicidio colposo con violazione delle norme anti-infortunistiche a tutela della sicurezza del lavoro ) non inciderebbe sulla moralità professionale.
Ritiene il Collegio che sia il provvedimento dell’amministrazione che la sentenza di primo grado abbiano ampiamente motivato sul punto.
L’amministrazione ha tenuto conto della natura, gravità e rilevanza del reato ed ha esaminato gli atti istruttori del procedimento penale e la relazione degli ispettori ASL da cui emerge un comportamento omissivo dell’impresa.
Essa ha reso una motivazione concreta e specifica immune da vizi di legittimità.
A seguito delle attività di accertamento svolte dalla ASL si è ritenuto che la causa del fatto di reato fosse la mancanza di estintori sul mezzo ( autoscala ) utilizzato dai dipendenti della ricorrente e, quindi, l’omessa adozione di doverose misure antincendio.
A fronte di tale macroscopica violazione le concrete circostanze addotte in questa sede, come l’aver fatto revisionare il gruppo elettrogeno dal quale è fuoriuscito il gas combusto in direzione di una tanica di benzina collocata a breve distanza da questo, o l’aver impartito istruzioni ai dipendenti non appaiono decisive in alcun modo per escludere la responsabilità peraltro evidenziata dalla sentenza di patteggiamento ( che costituisce pur sempre una rinunzia a difendersi in sede penale ).
Quanto al denunciato sviamento dell’azione della Provincia, attestato dall’inciso, contenuto nel provvedimento circa l’attenzione rivolta dalla Provincia alla prevenzione e repressione dei comportamenti contrari alla normativa di sicurezza, essa è infondata poiché nella specie si trattava solo di fare applicazione della legge e di una causa di esclusione.
In relazione agli ulteriori profili del secondo mezzo e a quelli articolati anche con il terzo motivo di appello va rilevato che è pacifica la valutabilità, ai fini del giudizio sulla moralità professionale, delle violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, né è limitabile la rilevanza dei dati a quelli in possesso dell’Osservatorio dei lavori pubblici ( essendo tale indicazione solo residuale, nell’economia dell’art. 75 comma 1 lett. e ) del d.p.r. n . 554 del 1999, per i casi nei quali non vi siano stati accertamenti, a causa della rilevanza penale delle condotte, in sedi deputate all’accertamento in via esclusiva come il processo penale ).
Ciò perché è di massima importanza il rispetto delle normative di sicurezza anche quando non abbia rilevanza penalistica, a fortiori quando i fatti considerati abbiano determinato le gravi conseguenze della morte e/o della lesione dei lavoratori e non solo situazioni di mero pericolo non penalmente qualificato.
Ne deriva che una sentenza di patteggiamento può considerarsi un debito accertamento della violazione in materia di sicurezza del lavoro ai sensi del’art. 75 comma 1, lettera e) del d.p.r. n. 554 del 1999.
In definitiva l’appello va respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, sul ricorso in epigrafe indicato così provvede :
1) Respinge l’appello;
2) Condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’amministrazione appellata, delle spese processuali che liquida in euro 3000, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2010 con l'intervento dei Signori:
Claudio Varrone, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Domenico Cafini, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Giancarlo Montedoro, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/04/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione