Responsabilità dei legali rappresentanti di un'azienda agricola per il reato di lesione personale colposa in danno di un dipendente investito da una mietitrebbia condotta da uno dei datori di lavoro.

 

L'imputazione fu quella di aver omesso, violando l'art. 11 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, oggi punto 1.8.3. dell'Allegato IV del D.Lgs. 81/08, "l'adozione di concreti schemi organizzativi dell'attività (nel caso di specie mietitrebbiatura meccanica) che prevedessero le modalità con cui la macchina si sarebbe dovuta muovere nel campo soprattutto quando nel medesimo ambiente di lavoro si muovessero altri soggetti intenti ad operazioni complementari, come la ripulitura delle ripe cui stava attendendo il F.".

 

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

 

La Corte di Cassazione afferma che il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 11, comma 3, "fa espresso riferimento alle "vie di circolazione e altri luoghi e impianti all'aperto utilizzati od occupati dai lavoratori durante le loro attività", sicchè anche per tali luoghi, all'aperto appunto, vige l'obbligo del datore di lavoro di concepirli e preservarli "in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli può avvenire in modo sicuro".

 

Non appare, perciò, censurabile il divisamento espresso dai giudici del merito, che, cioè, sui due ricorrenti, G.L. e G., incombeva, in effetti, l'obbligo di "concreti schemi organizzativi dell'attività (nella specie di mietitrebbiatura meccanica) che prevedessero le modalità con cui la macchina si sarebbe dovuta muovere nel campo soprattutto quando nel medesimo ambiente di lavoro si muovessero altri soggetti intenti ad operazioni complementari, come la ripulitura delle ripe" cui stava attendendo il dipendente infortunato.

 

"Il giudice di primo grado, ripreso da quello di appello, aveva ricordato, nella relativa integrativa sentenza, che i due "non avevano previsto alcun tipo di cautela o dato disposizioni organizzative particolari al fine di garantire l'esigenza di sicurezza ..., confidando evidentemente nell'esperienza delle persone che operavano all'interno dell'azienda...".
E non guasta ricordare, sotto un più generale profilo sistematico, che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, titolare della relativa posizione di garanzia, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione."


 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Frances - rel. Presidente -
Dott. BRUSCO Carlo Giusep - Consigliere -
Dott. IACOPINO Silvana - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

  

 

sul ricorso proposto da:
1) G.G., n. in (OMISSIS);

2) G.L., n. in (OMISSIS);

3) G.M., n. in (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano in data 20.3.2007.
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Presidente dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Iannelli Mario, che ha concluso per l'annullamento
senza rinvio della sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione e per il rigetto del ricorso ai fini civili;
Udito il difensore della parte civile, avv. Carrera Alessandro, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito il difensore dei ricorrenti, avv. Ricciotti Bruno in sostituzione dell'avv. Madeo Giuseppe Antonio, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata.
Osserva:


 

Fatto

 

 

1. Il 20 marzo 2007 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza in data 21 dicembre 2004 del Tribunale di Vigevano, con la quale G.G., G.L. e G.M., riconosciute loro le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, erano stati condannati e pene ritenute di giustizia, nonchè al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore della costituita parte civile, cui veniva assegnata un provvisionale, per imputazione di cui agli artt. 113 e 590 cod. pen..


Il (OMISSIS), nel corso dello svolgimento dell'attività lavorativa svolta nell'azienda agricola "(OMISSIS)" di G.L. e G.G., titolari e legali rappresentati dell'azienda medesima, F.G., dipendente della stessa, era stato attinto da una macchina mietitrebbia condotta da G.M. ed aveva riportato lesioni gravi.

I giudici del merito ritenevano la responsabilità di tutti e tre i suindicati imputati, di G.M., che alla guida del mezzo aveva "agito con estrema superficialità, leggerezza e disattenzione", non curandosi "minimamente di accertare l'eventuale presenza di soggetti nella zona in cui stava operando ..."; di G.L. e G.G., perchè "a costoro, per la qualifica rivestita, incombeva l'obbligo di attuare misure organizzative tali da consentire l'espletamento dell'attività lavorativa in termini di sicurezza personale", cioè "l'adozione di concreti schemi organizzativi dell'attività (nel caso di specie mietitrebbiatura meccanica) che prevedessero le modalità con cui la macchina si sarebbe dovuta muovere nel campo soprattutto quando nel medesimo ambiente di lavoro si muovessero altri soggetti intenti ad operazioni complementari, come la ripulitura delle ripe cui stava attendendo il F.".

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i suddetti imputati, con unico atto e per mezzo dei comuni difensori, denunziando:

a) il vizio di violazione di legge, per avere i giudici del merito erroneamente ritenuto applicabile, nella specie, il disposto del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 11, comma 3, "senza tenere in debita considerazione sia la tipologia dell'attività svolta dalla azienda agricola ..., sia l'organizzazione aziendale ..., sia i luoghi (terreni agricoli e coltivati) non assolutamente classificabili come posti in cui è possibile avere una circolazione pedonale e veicolare in senso classico ...;
b) il vizio di motivazione, in relazione alla posizione di G. M. (conducente del mezzo). Contraddittoriamente - si assume - "da un lato si afferma che l'infortunio de qua si è verificato sostanzialmente per la mancata adozione di provvedimenti organizzativi, da parte dei datori di lavoro ...; e dall'altro si ritiene che G.M. ha avuto un comportamento imprudente e negligente (colpa generica), consistito nel non avere appurato che non vi era nessuno nell'area non visibile e, comunque, che adottasse specifiche precauzioni di tipo organizzativo quali la predisposizione di personale che guidasse da terra le manovre onde evitare che eventuali spostamenti potessero avvenire mentre qualcuno si trovava nel suo raggio di azione ...";
c) il vizio di motivazione, "sotto il profilo del mancato riconoscimento e attribuzione in capo alla persona offesa - parte civile ... del concorso colposo nella causazione dell'infortunio ..."; egli - si assume - mai avrebbe dovuto avvicinarsi al mezzo durante l'uso di questo, seppure come asseritamente affermato momentaneamente fermo per l'effettuazione di operazioni di scarico ...".

 

 

Diritto

 

 

3.0 Per quanto riguarda i profili penali della vicenda che occupa, deve assorbententemente rilevarsi che, commesso il fatto di reato in questione il 3 settembre 1999, si è allo stato perento il termine massimo prescrizionale di legge di anni sette e mesi sei, ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, n. 4, e art. 160 c.p., u.c., nella loro lettura, nella specie applicabile, antecedente alla novella di cui alla L. 5 dicembre 2005, n. 251, pur tenuto conto dei periodi di sospensione all'uopo computabili (dei quali da atto anche la sentenza di primo grado).
Non ravvisandosi ipotesi sussumibili nella previsione di cui all'art. 129 c.p., comma 2, (per tutto quanto rappresentato dai giudici del merito e si dirà a proposito delle statuizioni civili), deve dichiararsi non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato loro ascritto, perchè estinto lo stesso per prescrizione.

 

3.1 I ricorsi vanno rigettati ai fini civili.


Quanto, invero, al primo profilo di censura, il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 11, comma 3, fa espresso riferimento alle "vie di circolazione e altri luoghi e impianti all'aperto utilizzati od occupati dai lavoratori durante le loro attività", sicchè anche per tali luoghi, all'aperto appunto, vige l'obbligo del datore di lavoro di concepirli e preservarli "in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli può avvenire in modo sicuro".

Non appare, perciò, censurabile il divisamento espresso dai giudici del merito, che, cioè, sui due ricorrenti, G.L. e G., incombeva, in effetti, l'obbligo di "concreti schemi organizzativi dell'attività (nella specie di mietitrebbiatura meccanica) che prevedessero le modalità con cui la macchina si sarebbe dovuta muovere nel campo soprattutto quando nel medesimo ambiente di lavoro si muovessero altri soggetti intenti ad operazioni complementari, come la ripulitura delle ripe cui stava attendendo F.".

Il giudice di primo grado, ripreso da quello di appello, aveva ricordato, nella relativa integrativa sentenza, che i due "non avevano previsto alcun tipo di cautela o dato disposizioni organizzative particolari al fine di garantire l'esigenza di sicurezza ..., confidando evidentemente nell'esperienza delle persone che operavano all'interno dell'azienda...".
E non guasta ricordare, sotto un più generale profilo sistematico, che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, titolare della relativa posizione di garanzia, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione.
Quanto a G.M., hanno evidenziato i giudici del merito che egli "non si curava minimamente di accertare l'eventuale presenza di soggetti nella zona in cui stava operando", agendo "con estrema superficialità, leggerezza e disattenzione nel momento in cui si verificava l'incidente".

Ha chiarito il primo giudice che egli si trovava alla guida "di una macchina di notevoli dimensioni che si muove su pneumatici e su carrelli cingolati"; e che il F., intento alla ripulitura delle ripe nelle zone dove il riso era stato già tagliato, "dopo aver eseguito il compito che gli era stato affidato, s'era avvicinato alla zona in cui operava la macchina ferma perchè il conducente stava scaricando il prodotto in un carro, per chiedere al G. nuove indicazioni sui lavori da svolgere, e, nell'accostarsi, aveva riscontrato una perdita di riso da uno dei tubi che convogliavano il prodotto, così che s'era ulteriormente avvicinato, proprio quando G. aveva iniziato a spostare la macchina senza avvedersi che a fianco della stessa si trovava F., che così era stato colpito dal movimento del cingolo e s'era procurato le lesioni indicate nel capo di imputazione".

Ed annota la sentenza ora impugnata che "tale negligenza assume particolare rilevanza ove si considerino la conformazione e le caratteristiche del macchinario in questione che non consentivano una completa visuale all'operatore seduto al posto di guida in cabina ...", sicchè "era assolutamente necessario ed indispensabile che l'operatore ... appurasse che non vi era nessuno nell'area non visibile e, comunque, adottasse specifiche precauzioni di tipo organizzativo quali la predisposizione di personale che guidasse da terra le manovre onde evitare che eventuali spostamenti potessero avvenire mentre qualcuno si trovava nel suo campo di azione".
Siffatto argomentare, come si vede, si sottrae a rinvenibili vizi di illogicità; ed i profili di colpa ravvisati in capo a tale ricorrente non si pongono in relazione di alternatività (per cui, come vuole in sostanza il ricorrente, delle due l'una), ma di complementarietà cooperativa tra loro, in relazione all'evento prodottosi.
Quanto all'ultimo motivo di doglianza, la sentenza impugnata ha, non illogicamente anche a tale riguardo, rilevato che "nessun addebito di colpa può essere mosso alla parte lesa, essendo nel caso in esame assolutamente normale e prevedibile che il lavoratore si preoccupasse di intervenire avendo riscontrato una perdita nonchè per chiedere istruzioni sul da farsi ..."; ed egli si stava avvicinando all'ingombrante macchina quando questa era ferma, dovendosi, come s'è detto, pretendere che il suo conducente, prima di rimetterla in marcia, controllasse e si avvedesse della mancata presenza di persone nel suo raggio di azione.

4. La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio ai fini penali, perchè estinto il reato per prescrizione. I ricorsi vanno rigettati ai fini civili.
I ricorrenti vanno condannati, in solido, alla rifusione delle spese processuali in favore della costituita parte civile, che si liquidano come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 

 

La Corte annulla senza rinvio ai fini penali la sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione. Rigetta i ricorsi ai fini civili. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali in favore della costituita parte civile, che liquida in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2009