LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele - Presidente -
Dott. CELENTANO Attilio - Consigliere -
Dott. MONACI Stefano - Consigliere -
Dott. STILE Paolo - Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 


sul ricorso proposto da:
C.A., P.F., elettivamente domiciliati in ROMA VIA BROFFERIO 6, presso lo studio dell'avvocato MARAFFA ROBERTO, rappresentati e difesi dall'avvocato CIPRIANI FABIO, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro TERMOTECNICA P. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE DELLE MEDAGLIE
D'ORO 152)- presso lo studio dell'avvocato CIPRIANI ROMOLO GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall'avvocato BIA RAFFAELE, giusta delega in
atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 159/05 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 03/02/05 R.G.N. 880/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/08 dal Consigliere Dott. Antonio IANNIELLO;
udito l'Avvocato CIPRIANI FABIO;
udito l'Avvocato CIPRIANI ROMOLO per delega BIA RAFFAELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 


Fatto

 

 

Con sentenza depositata il 3 febbraio 2005, la Corte d'appello di Bari ha confermato integralmente la sentenza in data 17 ottobre 2003 con la quale il locale Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, aveva respinto le domande di risarcimento del danno biologico (da invalidità parziale permanente e da invalidità temporanea assoluta) e morale proposte da C.A. nei confronti della propria ex datrice di lavoro Termotecnica P. s.r.l. in conseguenza dell'infortuno sul lavoro occorsogli in data 6 settembre 1996, dedotto come attribuibile a responsabilità della predetta società ai sensi dell'art. 2087 c.c. nonchè la domanda della moglie del C., sig.ra P.F. contro la medesima società, per ottenere il risarcimento del danno biologico anche da lei subito, per essere stata privata in giovane età, a causa di tale infortunio, della propria vita sessuale e della possibilità di avere figli col coniuge.


Secondo la Corte d'appello di Bari, l'infortunio si era verificato quando il C., perito tecnico dipendente della società convenuta, da questa nominato responsabile del servizio di prevenzione e protezione e incaricato altresì della osservanza delle norme di sicurezza da parte degli operai, recatosi, insieme ad altri, presso lo stabilimento in costruzione della committente Industrie N. s.p.a. di Matera per verificare la possibilità di istallazione di un apparecchio su di una struttura in muratura alta circa quattro metri, aveva usato per scendere a terra una scala appoggiata ad una parete da terzi, probabilmente di una diversa impresa appaltatrice, che era poi risultata avere le basi di gomma usurate, rovinando quindi a terra e subendo gravissime lesioni.
In proposito, la Corte territoriale ha ritenuto che l'infortunio non fosse attribuibile all'inosservanza da parte della società degli obblighi di sicurezza e di vigilanza sulla osservanza delle misure al riguardo dettate, gravanti per legge sul datore di lavoro, ma esclusivamente ad una manovra imprevedibile del dipendente.


Avverso tale sentenza propongono un unico ricorso per cassazione C.A. e P.F., articolando quattro motivi.

La convenuta resiste alla domanda di cassazione della sentenza impugnata con un proprio rituale controricorso.
Ambedue le parti hanno depositato memorie difensive ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

 

Diritto

 

 

1 - Col primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ., del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 3 e 7 e successive modificazioni nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Al riguardo censurano il fatto che la Corte territoriale abbia, secondo la loro difesa, valorizzato il fatto che l'infortunio era avvenuto in un ambiente esterno all'azienda della società, nell'occasione operante come appaltatrice di alcuni lavori, insieme ad altre imprese aventi diversa specializzazione, presso la committente, fino ad attribuire sostanzialmente a tale fatto la valenza di una sorta di precostituita esimente o attenuante per la datrice di lavoro.
Viceversa, secondo i ricorrenti, proprio perchè l'incarico doveva essere svolto dai dipendenti della Termotecnica in un luogo di lavoro altrui, ove operavano altresì contestualmente altre imprese appaltatrici della N., sarebbe stata necessaria da parte della datrice di lavoro una preventiva valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 3, lett. a) e b) acquisendo altresì informazioni ai sensi dell'art. 7, lett. b) della medesima Legge sui rischi specifici esistenti nell'ambiente e sulle misure adottate dalla committente al riguardo.

 


Il motivo è infondato.

 

La Corte territoriale ha infatti correttamente applicato l'art. 2087 cod. civ. secondo l'interpretazione che di esso è stata costantemente ritenuta da questa Corte suprema.
La giurisprudenza di questa è infatti costante nel ritenere, da un lato, che il datore di lavoro, qualora ometta le idonee misure protettive dell'incolumità del lavoratore, non è esonerato da responsabilità anche quando il lavoratore abbia concorso colposamente alla produzione dell'infortunio e nel collegare, dall'altro, l'esonero totale da tale responsabilità per omissione solo a condotte del lavoratore abnormi, imprevedibili ed esorbitanti rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute (cfr., tra le altre, Cass. 13 settembre 2006 n. 19559).
Altrettanto fermo è l'orientamento secondo cui il lavoratore che lamenti di aver subito un danno a causa dell'attività lavorativa ha l'onere di provare l'esistenza del danno, la nocività dell'ambiente - e pertanto l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza - nonchè il nesso fra l'uno e l'altro, mentre spetta al datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, (per tutte, cfr. Cass. 8 maggio 2007 n. 10441).


Nel caso in esame la Corte territoriale ha applicato tali principi, tenendo conto della specificità del contesto lavorativo in cui l'infortunio era avvenuto, ad esso rapportando la verifica preliminare in ordine alla eventuale omissione o insufficienza nella adozione di idonee misure protettive o nella vigilanza quanto alla effettiva osservanza di tali misure da parte dei dipendenti, correttamente valutando che l'eventuale esito negativo di tale verifica avrebbe comportato l'esclusione della responsabilità del datore di lavoro.
Questo appare infatti il significato della descrizione, fatta nella sentenza impugnata, dell'ambiente esterno in cui aveva operato il ricorrente: non per precostituire una sorta di esimente per la società, come apoditticamente ipotizzato dai ricorrenti, ma al fine di specificare il contenuto dell'eventuale dedotto inadempimento dell'obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro e individuato nella eventuale violazione dell'obbligo di informare i dipendenti in ordine al lavoro da compiere e al luogo in cui svolgerlo, di fornire loro le attrezzature necessarie e in sicurezza e di predisporre una idonea sorveglianza in ordine alla corretta applicazione e osservanza delle stesse.
Come rilevante oggetto dell'obbligo violato, i ricorrenti aggiungono l'assenza di una preventiva valutazione dei rischi nonchè di informazioni adeguate sull'ambiente su cui i lavoratori andavano ad operare.
Trattasi di deduzione nuova, come affermato dalla controricorrente, in quanto in appello la difesa dei ricorrenti si era limitata a concentrare le proprie censure sul fatto che la società non avesse operato per impedire che la scala pericolosa fosse in quel luogo e che i suoi dipendenti la adoperassero.
Trattandosi pertanto di deduzione che involge un accertamento in fatto, essa appare tardivamente proposta in questa sede, ove non può essere presa in esame.


Concludendo sul punto, la Corte territoriale ha correttamente interpretato ed applicato l'art. 2087 c.c. specificandone il contenuto in relazione alla concreta situazione di fatto rappresentata in giudizio, mentre non era stata investita del tema relativo alla pretesa inosservanza da parte della società delle norme di cui al D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 3, lett. a) e b).

 

2 - Col secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata viene censurata per la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4, 8 e 9 e successive modificazioni, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere erroneamente ritenuto che il C. fosse responsabile per la sicurezza presso il cantiere in esame e per tutta l'azienda, mentre unico responsabile della sicurezza è il datore di lavoro, la sua responsabilità non è per legge delegabile e la diversa posizione del ricorrente in azienda era quella, ben diversa, di responsabile del servizio prevenzione e protezione previsto dal D.Lgs. n. 626, art. 8 con i compiti esclusivamente propositivi e consultivi, specificati al successivo art. 9 del decreto.
Per cui nessuna delega datoriale era avvenuta per quanto concerne sia l'adozione di misure di sicurezza sul luogo di lavoro che la vigilanza in ordine all'osservanza delle stesse, come viceversa ritenuto, con palese errore di diritto, dalla Corte d'appello di Bari.


Una volta individuato il contenuto degli obblighi gravanti nell'occasione sulla società nella situazione concreta rappresentata in giudizio, la Corte d'appello di Bari ha valutato, alla luce delle risultanze istruttorie, che i lavoratori fossero stati informati correttamente circa il lavoro da svolgere per verificare la fattibilità dell'istallazione presso la committente di un condizionatore, che fossero stati muniti di idonei mezzi e attrezzature di sicurezza, in particolare di una scala rispondente a criteri antinfortunistici da ancorare (e di fatto ancorata) alla parete per potere operare tale verifica a livello di un vano situato ad altezza di circa quattro metri dal suolo; che fosse stata loro impartita la disposizione di usare esclusivamente le attrezzature loro fornite dal datore di lavoro; che, infine la vigilanza anche relativamente all'osservanza delle disposizioni suddette era stata affidata proprio al C., in ragione dei requisiti professionali di questi, quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione (su cui cfr. D.Lgs. n. 626, art. 8, commi 2 e 3, e art. 8 - bis).


Conseguentemente la Corte ha correttamente escluso che la società datrice di lavoro fosse inadempiente agli obblighi di sicurezza su di essa gravanti nel caso concreto e quindi responsabile dell'infortunio occorso al C..

Tale accertamento, contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, non viola le norme di legge citate relative alla figura ed ai compiti del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di cui all'art. 9 del D.Lgs. citato, in quanto i giudici di merito hanno accertato in fatto che il C. era altresì incaricato dalla datrice di lavoro della vigilanza sulla osservanza delle misure di sicurezza da parte dei dipendenti operai, incarico che non rientra tra quelli che il datore di lavoro non può delegare ai sensi dell'art. 1, comma 4 - ter del Decreto.

Esso infine fonda su valutazioni, che competono esclusivamente al giudice di merito, di fatti ricostruiti sulla base delle risultanze istruttorie.

Tali valutazioni non possono pertanto essere rimesse in discussione in questa sede, come tentano di fare i ricorrenti, sulla base di mere diverse valutazioni di tale materiale probatorio, in assenza della denuncia di specifici vizi logici interni o in rapporto alle prove che investano un punto decisivo della controversia, come tale autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale da disarticolare, se la censura fosse fondata, l'intero ragionamento svolto dal giudicante o da determinare al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.


Concludendo, anche il secondo motivo è pertanto infondato.

 

3 - Col terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2087 cc. e per l'illogicità della motivazione, laddove la Corte territoriale avrebbe ritenuto che l'infortunio si era verificato per effetto di una libera scelta del C., non prevedibile da parte della società.
La censura, che investe anch'essa direttamente in maniera non consentita in questa sede di legittimità la valutazione dei fatti operata dai giudici di merito, appare comunque non pertinente una volta accertata, come risulta da quanto finora argomentato, la correttezza della conclusione da parte dei giudici di merito relativamente alla assenza di un inadempimento della Termotecnica P. agli obblighi di sicurezza impostile dall'art. 2087 cod. civ..
Da ciò consegue l'infondatezza anche del motivo in esame.

 

4 - Con l'ultimo motivo, i ricorrenti deducono la nullità dell'intero procedimento e della sentenza di primo e di secondo grado, per violazione dell'art. 245 c.p.c. in considerazione del fatto che la decisione di merito fonderebbe (anche) sulla deposizione del teste Ca., mai ammesso e surrettiziamente introdotto da controparte.

Tale testimone avrebbe infatti riferito che la società aveva fatto divieto ai propri dipendenti di fare uso di attrezzature altrui.

Il motivo così riassunto non specifica sufficientemente il contenuto reale del provvedimento del giudice di ammissione della prova testimoniale, del quale, sulla base del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., recentemente Cass. 17 luglio 2007 n. 15952 e 6 luglio 2007 n. 15263), avrebbe dovuto indicare la data e soprattutto riprodurre il testo, potendo esso essere interpretato, diversamente dall'assunto dei ricorrenti e come viceversa sembra aver inteso la società, come provvedimento ammissivo della prova testimoniale dedotta coi testi indicati e quindi di rinvio dell'udienza per l'escussione di due testi per parte, senza escludere la possibilità dell'eventuale esame degli altri ad una udienza ancora successiva.
In ogni caso, secondo quanto riferito nella sentenza impugnata, il Ca. non sarebbe stato l'unico a rendere la dichiarazione riferita e inoltre altri testimoni avrebbero affermato che era scontato utilizzare le attrezzature aziendali (cfr. pag. 4, in fine della sentenza), per cui il convincimento espresso dai giudici di merito resisterebbe anche in assenza delle dichiarazioni del Ca..

Anche il quarto motivo è pertanto infondato.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in via tra di loro solidale, a rimborsare alla società le spese di questo giudizio, così come liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rimborsare alla Termotecnica P. s.r.l. le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 17,00 (per spese e Euro 1.000,00 per onorari).
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2008