Tribunale di Pinerolo, 23 settembre 2010 - Responsabilità dell’ente per il delitto di lesioni personali colpose commesse con violazione delle norme sulla salute e sicurezza del lavoro 


 

TRIBUNALE DI PINEROLO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



Il Tribunale di Pinerolo in composizione monocratica nella persona del giudice dr. Gianni Reynaud alla pubblica udienza del 23 settembre 2010 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nei confronti di:
(A) ….
- libero già presente -
con l'assistenza e la difesa dell'Avv. …
(B) …
- libero già presente -
con l'assistenza e la difesa dell'Avv. …
(C) …
- libero già presente -
con l'assistenza e la difesa dell'Avv. …
(X) s.c.a.r.l, con sede legale in … rappresentata nel presente procedimento da …
- non presente -
costituito in giudizio con l'assistenza e la difesa dell'Avv. …
(Y) s.r.l, con sede legale in … rappresentata nel presente procedimento da …
- non presente -
costituito in giudizio con l'assistenza e la difesa dell'Avv. …

 

IMPUTATI

 


(A) – (B) – (C):
in ordine al reato di cui agli artt. 113, 590, commi 1, 2, 3, 583, comma 1 n. 1) e 2) c.p., perché, ciascuno secondo le modalità e le qualifiche di seguito indicate, con violazione delle norme sulla prevenzione per gli infortuni sul lavoro, cagionavano lesioni del tipo grave - sgranamento volare e dorsale dell'arto superiore sinistro fino a metà avambraccio e lesioni ossee con perdita di falangi, da cui derivava gravi esiti trofo-funzionali di trauma da schiacciamento della mano e dell'avambraccio di sinistra con sguantamento fino al terzo medio dell'avambraccio, amputazione di F2 e F3 di 2°, 3° e 4° e F3 del 5° dito con grave deficit di forza e della funzione prensile, in disturbo post-traumatico da stress - a (D), dipendente della (Y) S.r.l., il quale, nell'utilizzare una macchina deputata allo schiacciamento di polpe di barbabietole esauste per la riduzioni in farina - laminatoio mod. CMF 5700 serie n. CMF L06199 marcatura CE 1999 -, senza spegnere la macchina, rimuoveva lo sportello a protezione dei cilindri laminatoi ed infilava ivi la mano, venendo poi afferrato alla mano sinistra dai cilindri in rotazione con conseguente trascinamento dell'arto fra gli organi stessi di schiacciamento.

 

Essendo il (A) socio amministratore della (Z) S.n.c., ditta costruttrice del laminatoio in violazione dell'art. 6, comma 2, d.lg.vo n. 626 del 1994, essendo lo sportello metallico mobile a riparo dei cilindri laminatoi privo di dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e movimento;

il (C) quale socio accomandatario responsabile in materia di igiene e sicurezza sul lavoro della (W) S.a.s., ditta venditrice del laminatoio in violazione dell'art. 6, comma 2, d.lg.vo n. 626 del 1994, il (B) presidente del consiglio di amministrazione della (X) s.c. a r.l. e della (Y) S.r.l., rispettivamente concedente in uso ed utilizzatrice del laminatoio, in violazione degli artt. 6, comma 2, d.lg.vo n. 626 del 1994 e 72 d.P.R. n. 547 del 1955, avendo consentito a propri dipendenti l'uso di una macchina deputata allo schiacciamento di polpe di barbabietole esauste per la riduzioni in farina il cui sportello metallico mobile a riparo dei cilindri laminatoi era privo di dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e movimento.
In Castagnole Piemonte (TO), il 05 novembre 2007.



(X) s.c.a.r.l - (Y) s.r.l

((W) s.a.s. e (Z) s.n.c. giudicate separatamente)

in ordine all'illecito amministrativo :

art. 25 septies del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, come inserito dall'articolo 9 della legge 3 agosto 2007 n. 123, in relazione al reato di cui agli articoli 113, 590, commi 1, 2 e 3, 583, comma 1 n. 1) e 2) c.p., perché, ciascuno secondo le modalità e le qualifiche di seguito indicate, con violazione delle norme sulla prevenzione per gli infortuni sul lavoro, cagionavano lesioni del tipo grave - sgranamento volare e dorsale dell'arto superiore sinistro fino a metà avambraccio e lesioni ossee con perdita di falangi, da cui derivava gravi esiti trofo-funzionali di trauma da schiacciamento della mano e dell'avambraccio di sinistra con sguantamento fino al terzo medio dell'avambraccio, amputazione di F2 e F3 di 2°, 3° e 4° e F3 del 5° dito con grave deficit di forza e della funzione prensile, in disturbo post-traumatico da stress - a (D), dipendente della (Y) S.r.l., il quale, nell'utilizzare una macchina deputata allo schiacciamento di polpe di barbabietole esauste per la riduzioni in farina - laminatoio mod. CMF 5700 serie n. CMF L06199 marcatura CE 1999 -, senza spegnere la macchina, rimuoveva lo sportello a protezione dei cilindri laminatoi ed infilava ivi la mano, venendo poi afferrato alla mano sinistra dai cilindri in rotazione con conseguente trascinamento dell'arto fra gli organi stessi di schiacciamento. Essendo il (A) socio amministratore della (Z) S.n.c., ditta costruttrice del laminatoio in violazione dell'art. 6, comma 2, d.lg.vo n. 626 del 1994, essendo lo sportello metallico mobile a riparo dei cilindri laminatoi privo di dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e movimento; il (C) quale socio accomandatario responsabile in materia di igiene e sicurezza sul lavoro della (W) S.a.s., ditta venditrice del laminatoio in violazione dell'art. 6, comma 2, d.lg.vo n. 626 del 1994, il (B) presidente del consiglio di amministrazione della (X) s.c. a r.l. e della (Y) S.r.l., rispettivamente concedente in uso ed utilizzatrice del laminatoio, in violazione degli artt. 6, comma 2, d.lg.vo n. 626 del 1994 e 72 d.P.R. n. 547 del 1955, avendo consentito a propri dipendenti l'uso di una macchina deputata allo schiacciamento di polpe di barbabietole esauste per la riduzioni in farina il cui sportello metallico mobile a riparo dei cilindri laminatoi era privo di dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e movimento.
In Castagnole Piemonte (TO), il 05 novembre 2007.

Le parti hanno concluso come segue:
Il pubblico ministero: chiede dichiarare la penale responsabilità degli imputati e chiede condannare gli stessi alla pena di mesi 2 di reclusione.
Chiede inoltre dichiarare la penale responsabilità di entrambe le società e condannare le stesse al pagamento della sanzione pecuniaria di € 200.000 ciascuna
La difesa di parte civile: voglia codesto Ill.mo Giudice, ritenuta provata la penale responsabilità degli imputati per il reato a loro ascritto:
• Condannarli alla pene di legge;
• Dichiarare tenuti e conseguentemente condannare gli imputati all'integrale risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, sofferto dalla costituita parte civile, in conseguenza del reato contestato e dei fatti ivi indicati, da liquidarsi, per il solo danno morale, in € 100.000#, oltre agli interessi al tasso medio compensativo annuo del 2.70% dalla data del fatto a quella della pronuncia, ed oltre gli interessi legali dalla data della pronuncia sino al saldo effettivo, con favore di sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 540 co.1 c.p.p.
• In ogni caso, rimettere le parti avanti al Giudice civile per la determinazione definitiva e la liquidazione del danno patrimoniale e non sofferto dalla costituita parte civile;
• In subordine, voglia la S.V. Ill.ma, rimettere le parti avanti il Giudice Civile competente per la determinazione definitiva e la liquidazione di tutti i danni, patrimoniale e non patrimoniale, condannando gli imputati al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno, pari ad € 50.000#, o la diversa somma che la S.V. Ill.ma riterrà equa.
• Condannarli alla refusione delle spese di rappresentanza ed assistenza sostenute dalla parte civile, come da nota separata.
• Subordinare, ai sensi dell'art. 165 c.p.p., l'eventuale concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata e titolo di risarcimento del danno o della provvisionale.
Il difensore dell'imputato: (B) chiede assolversi l'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto in subordine minimo della pena, ed in caso di condanna a pena detentiva la sostituzione con quella pecuniaria
Il difensore della società (Y) s.r.l chiede assoluzione con formula ampia
Il difensore della società (X) s.c.a.r.l assoluzione perché il fatto non sussiste
Il difensore dell'imputato (A) chiede assoluzione per non aver commesso il fatto, in subordine minimo della pena, ed in caso di condanna a pena detentiva la sostituzione con quella pecuniaria
Entrambi i difensori dell'imputato (C): assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato

 

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

 


 

Tratti a giudizio avanti a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato loro ascritto in rubrica, gli imputati sono comparsi e hanno partecipato al processo, celebrato – a seguito di riunione con altro fascicolo – anche nei confronti della società (X) S.c.a.r.l. e (Y) Srl in relazione all'illecito amministrativo dipendente dal reato contestato (nei confronti delle società (W) S.a.s. e (Z) S.n.c. il procedimento è stato già definito con sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 129 c.p.p.).

Al dibattimento ha partecipato la persona offesa (D), costituitosi parte civile. Svolta la necessaria istruttoria – consistita nell'acquisizione di documenti, nell'esame di testimoni e consulenti tecnici e nell'esame degli imputati – all'udienza del 23.9.2010 le parti hanno discusso il processo rassegnando le conclusioni in epigrafe trascritte e il Giudice ha pronunciato sentenza dando lettura del dispositivo ed indicando in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione (causa la complessità della vicenda e il complessivo carico di lavoro giudiziario che grava sull'estensore).

Il procedimento è nato a seguito dell'infortunio sul lavoro subito da (D) il 5.11.2007 presso lo stabilimento (Y) Srl in Castagnole Piemonte. Dalle prove documentali e testimoniali assunte risulta che il sinistro si verificò perché il lavoratore, al fine di rimuovere dai rulli del laminatoio descritto in imputazione delle pietre che ne inceppavano il funzionamento ed impedivano l'afflusso del prodotto da schiacciare (polpe di barbabietola), dopo aver tolto lo sportello di protezione dei cilindri senza spegnere la macchina, avvicinò le mani agli organi in movimento per prendere i sassi e gettarli fuori.

Nel corso di tale pericolosa operazione – per compiere la quale il lavoratore era salito su una scala a pioli appoggiata alla macchina (lo sportello si trovava infatti a circa 2 metri dal suolo) - i cilindri pizzicarono il guanto della mano sinistra del (D), trascinando l'arto in mezzo ai rulli sino all'avambraccio.

Il lavoratore – che non poteva arrestare la macchina, poiché non v'erano pulsanti d'emergenza a portata di mano (l'unico pulsante di arresto si trovava distante oltre 2 metri, al muro della parete più vicina) – riuscì ad estrarre l'arto, scese dalla scala e chiese aiuto ai colleghi che si trovavano in azienda. Furono dunque chiamati i soccorsi e, a mezzo ambulanza, (D) fu trasportato all'ospedale C.T.O. di Torino, dove, nell'immediatezza del ricovero, gli diagnosticarono "grave sguantamento volare e dorsale arto superiore sinistro fino a metà avambraccio sinistro e lesioni ossee con perdita di falangi (P2 del 2°, 3°, 4° e P3 del 5°)", con prognosi iniziale di 40 giorni.

Come si ricava dalla documentazione medica acquisita e dalla relazione del c.t. del pubblico ministero dott. … – che ha esaminato gli atti e visitato l'infortunato il 28.2.2008 e nuovamente il 17.7.2008 – il decorso della successiva malattia fu lungo e travagliato: dopo l'amputazione delle indicate falangi, una consulenza specialistica psicologica ed un intervento di chirurgia estetica, (D) fu dimesso dall'ospedale soltanto il 14.12.2007.

Numerose furono le successive visite di controllo, le sedute di rieducazione funzionale, le sedute di psicoterapia per curare un disturbo dell'adattamento con manifestazioni d'ansia sviluppato in seguito all'evento traumatico. (D) fu inoltre sottoposto ad ulteriori interventi chirurgici di ricostruzione parziale della mano e ancora al 30.9.2008, data della relazione scritta del dott. …., l'infortunio non era stato chiuso dall'INAIL. Pur non essendo ancora definitivamente stabilizzate le conseguenze del trauma, il c.t. del pubblico ministero ha concluso nel senso che dal sinistro derivarono "gravi esito trofo-funzionali di trauma schiacciamento della mano e dell'avambraccio di sinistra con sguantamento fino al terzo medio dell'avambraccio, amputazione di F2 e F3 di 2°, 3° e 4° e F3 del 5° dito con grave deficit di forza e della funzione prensile, in disturbo post-traumatico da stress". All'epoca la malattia durava da 350 giorni con una ITT di 100 giorni, una ITP al 50% di 100 giorni, una ITP al 25 % di 150 giorni e con postumi biologici permanenti valutati al 30%.



Ciò premesso sulle modalità del sinistro e sulle sue conseguenze – che non sono contestate – e prima di analizzare i singoli profili di responsabilità ascritti agli imputati (e le connesse violazioni contestate alla società di cui l'imputato (B) era legale rappresentante), occorre dar conto di ulteriori elementi utili ai fini della decisione, che, emersi in istruttoria, possono essere schematicamente riassunti come segue:
- il laminatoio era stato progettato e costruito dalla (Z) Snc e da questa venduto alla (W) Sas nel maggio 1999;
- quest'ultima società aveva effettuato la commessa per eseguire, a sua volta, un ordine di acquisto ricevuto dalla (X) Scrl, alla quale il laminatoio fu consegnato ed installato unitamente ad altre attrezzature per realizzare – come si legge nella fattura del 22.5.1999 emessa dalla (W) alla (X) Scrl per il complessivo importo di Lire 155 milioni più IVA – una "fornitura di macchinari con installazione per impianto di schiacciatura a freddo di cereali presso Vs. Centro di Carignano (TO)";
- nell'ottobre 2002, ad opera della (W), l'intero impianto (smontato e poi rimontato) fu trasferito dallo stabilimento di Carignano nello stabilimento di Castagnole Piemonte, il quale ultimo era oggetto (insieme a tutte le attrezzature, compreso dunque il laminatoio in questione) di un contratto di affitto di azienda che sin dal 1989, e con successivi rinnovi, era stato stipulato tra (X) Scrl (concedente) e la controllata (Y) Srl (affittuaria);
- da allora l'impianto fu utilizzato prevalentemente dal dipendente di quest'ultima (D), assunto come apprendista nel luglio 2003 e addetto – quale unico operaio dell'azienda – a tutte e tre le attività che in tale stabilimento si svolgevano: la produzione di mangimi zootecnici, la loro vendita al pubblico, lo stoccaggio di cereali;
- di regola il laminatoio era utilizzato per schiacciare cereali (mais ed orzo), ma nei mesi precedenti l'infortunio cominciò ad essere utilizzato per schiacciare polpe di barbabietola, ciò che cominciò a creare problemi poiché il prodotto, contenente ancora residui di zuccherina nonostante la già avvenuta estrazione dello zucchero, lasciava sui rulli una patina che, con il surriscaldamento, s'induriva, ostacolando quindi l'afflusso di prodotto e rallentando la produzione;
- essendo arrivata dall'Egitto una partita di polpe di barbabietola particolarmente contaminata da impurità (in special modo da pietre), nei 7-10 giorni precedenti l'infortunio il laminatoio presentava maggiori problemi di funzionamento perché le pietre finivano dentro i rulli ostacolando ulteriormente la produzione;
- (D) aveva segnalato l'inconveniente al collega ... (che organizzava la produzione in base alle richieste) e al legale rappresentante della società (B), lamentando di non riuscire a portare avanti la produzione e gli era stato detto di fare il possibile per assicurare la produttività necessaria, sentendo eventualmente anche il manutentore esterno (C), sicché egli interveniva frequentemente nella zona di lavorazione dei rulli, sia - su consiglio del (C) - per spargere sugli stessi della sabbia allo scopo di frantumare lo smalto che vi si formava, sia per rimuovere le pietre che rimanevano in mezzo ai rulli;
- tutti questi interventi venivano fatti nel modo in cui (D) operò il giorno dell'infortunio, vale a dire raggiungendo con una scala a pioli la zona di lavorazione dei rulli, rimuovendo lo sportello di protezione (assicurato soltanto con due ganci che potevano essere tolti manualmente) e operando poi con la macchina in movimento (gettando sabbia con una paletta ovvero togliendo le pietre);
- una volta rimosso lo sportello (ciò che non determinava lo spegnimento della macchina), l'accesso con le mani ai rulli non era in alcun modo impedito, non essendovi alcuna grata o altro presidio idoneo ad evitare il contatto con gli organi in movimento;
- a seguito delle prescrizioni impartite dallo SPRESAL – che effettuò un'ispezione per verificare le cause dell'infortunio, contestando diverse violazioni alla normativa in tema di prevenzione infortuni – il laminatoio fu messo in sicurezza nel giro di pochi giorni: in particolare, con riguardo al vano contenente i cilindri, fu apposta una grata di protezione fissa che impediva il contatto tra il lavoratore e gli organi in movimento della macchina.


Alla luce di queste ulteriori precisazioni può ora passarsi ad esaminare i singoli addebiti, cominciando dalla posizione dell'imputato (A).

 

Questi – in qualità di socio amministratore della società (Z), costruttrice del laminatoio – è chiamato a rispondere di cooperazione colposa nel reato di lesioni cagionate al (D) per aver costruito il laminatoio in questione senza un necessario presidio di sicurezza, vale a dire omettendo di dotare lo sportello mobile di riparo dei cilindri di un dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e movimento, sì che l'apertura di esso avrebbe immediatamente determinato l'arresto dei cilindri e il sinistro non si sarebbe potuto verificare.

Nell'esame reso a dibattimento l'imputato (A) - che è ingegnere e si era personalmente occupato della progettazione del laminatoio, rilasciando la dichiarazione di conformità dello stesso alla normativa in materia di sicurezza - si è difeso ammettendo bensì che tale dispositivo non era stato previsto né predisposto, ma sostenendo che l'obiettivo in questione era stato altrimenti conseguito predisponendo una grata in ferro di protezione dei rulli, a forma di "L" e tale dunque da coprirli dal lato frontale e da quello superiore, avvitata dalla parte interna del macchinario, sì che la stessa si sarebbe potuta togliere soltanto smontando la cappa del laminatoio e svitando i bulloni dall'interno, manovra, questa, che avrebbe richiesto, da un lato, lo spegnimento della macchina e, d'altro lato, un paio d'ore di tempo per eseguire l'operazione.

Che tale protezione fosse stata prevista (riv231) e realizzata - trattandosi, peraltro, di un macchinario costruito da tempo secondo un modello standard - è stato confermato dai testi …, dipendenti della (Z) sin dagli anni '90 e, essendo stato sostanzialmente ammesso anche dal coimputato (C) (che più volte, come si dirà, ebbe occasione di effettuare attività di manutenzione su quel macchinario) ed essendo stato dato per scontato dal coimputato (B) (il quale ha soltanto dichiarato di non aver mai capito chi potesse averla tolta), non v'è prova del contrario, benché l'esistenza di tali protezioni non sia specificamente indicata nel libretto d'uso e manutenzione consegnato all'acquirente al momento della vendita del macchinario. La griglia di protezione – che integra gli estremi di quella che può essere definita una "protezione fissa" ai sensi dell'Allegato 1 alla c.d. "direttiva macchine" (d.p.r. 459/1996) – era dispositivo idoneo e sufficiente ad eliminare in radice il rischio che i lavoratori potessero accidentalmente venire in contatto con i cilindri del laminatoio.

 

D'altra parte (cfr., sul punto, le condivisibili valutazioni del c.t. della difesa (C), ing. …), il macchinario in questione (denominato, sul libretto d'uso e manutenzione consegnato all'acquirente, "laminatoio per cereali") è "una macchina destinata alla lavorazione dei cereali in granelle per la trasformazione in alimento zootecnico ad alto contenuto nutritivo" (così, il primo periodo del punto 1 del citato libretto). I cereali in granelle sono prodotti semilavorati che, per loro natura, non contengono impurità, salvo, in casi eccezionali, qualche elemento metallico (viti, bulloni e simili) che, nel corso delle precedenti lavorazioni, potrebbe essersi staccato da altro macchinario e confuso con il prodotto semilavorato. Per questa ragione il costruttore aveva inserito, prima del passaggio del prodotto alla zona dei rulli, una rete ed una calamita idonea ad attrarre particolari metallici, ritenendo con ciò - ragionevolmente - di poter escludere che il regolare funzionamento dei cilindri potesse essere impedito da ulteriori e diversi elementi "estranei" al prodotto da lavorare.

La griglia di protezione fissa per i cilindri, dunque, era presidio funzionale all'impiego a cui la macchina era destinata, posto che non era prevedibile la necessità di accedere ai rulli se non per interventi (infrequenti e saltuari) di manutenzione, ciò che ben poteva legittimare l'onere di rimozione della cappa da parte di personale esperto. Ciò premesso, nell'ottica del costruttore, non era dunque necessario prevedere un dispositivo di interblocco e non fu violata la norma di cui all'art. 72 d.p.r. 547/1955, la quale - per consolidato e risalente orientamento (cfr. già Cass., sez. III, 17.2.1984, n. 1534; di recente, Cass., sez. IV, 17.4.2008, n. 20602) - riguarda soltanto le aperture amovibili e non già quelle fisse, rimosse con una vera e propria attività di manomissione della macchina. L'imputato (A) deve pertanto essere assolto dal reato lui ascritto per non aver commesso il fatto.


Alla stessa conclusione deve giungersi con riguardo alla posizione dell'imputato (C), al quale è stata mossa identica contestazione nella sua qualità di socio amministratore della (W) Sas, società venditrice del laminatoio alla (X) Scarl. Se, invero, l'impianto fu costruito e consegnato dalla (Z) – direttamente presso lo stabilimento (X) di Castagnole Piemonte, come è stato ricostruito in dibattimento – ed era provvisto della griglia fissa di protezione, non v'è ragione (e, comunque, non v'è prova) che la (W), nel procedere all'installazione del laminatoio nell'ambito di un più complesso impianto (dotato anche di tramoggia di carico collegata ad un silos con relativo quadro elettrico), abbia di sua iniziativa rimosso il presidio di sicurezza in parola.

E' peraltro vero che, con riguardo alla posizione dell'imputato (C), l'istruttoria dibattimentale ha evidenziato ulteriori, possibili, profili di responsabilità diversi da quello strettamente inerente il momento della vendita e, sul punto, l'imputato ha concretamente esercitato il diritto di difesa, sicché, giusta un consolidato orientamento di legittimità, il fatto non potrebbe ritenersi "diverso" da quello ascritto ed impeditivo di una pronuncia nel merito. Pronuncia che, in ogni caso, va parimenti adottata in senso assolutorio.

Ed invero, l'istruttoria ha rivelato che la (W) Sas – sempre nella persona dell'imputato (C), che, oltre ad esserne socio amministratore, era colui che di fatto eseguiva, personalmente, gli interventi sull'impianto in questione – dopo l'installazione effettuò numerosi interventi di manutenzione e riparazione sul laminatoio e, come già accennato, si preoccupò pure di smontare l'intero impianto dallo stabilimento di Carignano e rimontarlo presso lo stabilimento di Castagnole Piemonte concesso in affitto d'azienda alla (Y). Come dimostrano, per tabulas, le numerose fatture versate in atti, gli interventi della (W) sull'impianto in questione furono costanti e frequenti sino alla data dell'infortunio (e, stando alle dichiarazioni dei diretti interessati, anche oltre).

Ciò non significa, tuttavia, che la (W) avesse concordato l'assunzione in appalto di un servizio di manutenzione di quello (o di altri) impianti della (X) e tanto meno che avesse assunto l'obbligo di controllare periodicamente i macchinari per verificare se gli stessi fossero dotati di tutti i presidi di sicurezza imposti dalla legislazione sull'igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro (non può ritenersi sufficiente, a questo proposito, la generica indicazione di segnalare eventuali difetti di cautele che (C) avrebbe verbalmente ricevuto dal coordinatore delle attività tecniche del Consorzio (X), …, nell'anno 2005: cfr. p. 211 trascrizioni).

Ed invero, è incontestabilmente emerso in istruttoria che, pur ricorrendo, di fatto, sempre alla stessa ditta, la (X) e/o la (Y) richiedevano di volta in volta specifici interventi di manutenzione o riparazione. Escluso, dunque, che al legale rappresentante della (W) possa essere mosso un rimprovero per cattiva esecuzione di un similare (e, appunto, inesistente) contratto di appalto, potrebbe tuttavia ipotizzarsi che sia stato il (C), o qualche suo collaboratore, a rimuovere la griglia in questione in taluno dei numerosi interventi effettuati.

La ragione di una simile condotta potrebbe ricercarsi nella semplificazione che ne sarebbe derivata ai manutentori nell'effettuare interventi sui cilindri, ciò che, in assenza di griglia, sarebbe stato possibile fare senza necessità di togliere la cappa della macchina. Nel suo interrogatorio – e nella memoria difensiva da lui depositata – l'imputato (C) ha tuttavia negato di aver rimosso la griglia, sostenendo di essere sempre intervenuto sull'impianto rimuovendo, con l'ausilio di un mezzo meccanico della stessa (X), la cappa della macchina, anche allorquando furono sostituiti i rulli, ciò che avvenne, come dimostrano le fatture acquisite, nel giugno/luglio 2007.

Tenendo anche conto del fatto che per effettuare interventi di manutenzione significativi come quelli di sostituzione dei rulli è probabilmente più funzionale agire – per le maggiori "possibilità di manovra" – senza la cappa del macchinario, la spiegazione non è implausibile e, in ogni caso, non v'è prova del contrario.
La persona offesa, peraltro, ha riferito che, da quando egli fu assunto e cominciò a lavorare su quell'impianto (luglio 2003) non v'era alcuna griglia di protezione dei rulli del laminatoio.

Di tale dichiarazione non v'è ragione di dubitare, poiché non appare verosimile (e non v'è alcun indizio in tal senso) che il giovane lavoratore – di sua iniziativa, rischiando sanzioni disciplinari (probabilmente il licenziamento) per sabotaggio dell'impianto – abbia rimosso la protezione, ciò che, si badi, avrebbe comportato, come si è detto, la necessità di smontare la cappa della macchina con un lavoro di un paio d'ore che non sarebbe certo passato inosservato in azienda. La rimozione della protezione fissa, dunque, risale ad un periodo precedente e, forse, avvenne addirittura quando l'impianto era montato presso lo stabilimento di Carignano, come ha sostenuto l'imputato (B) (dicendo di averlo appreso dall'operaio che presso quello stabilimento era addetto alla macchina).

Tenuto dunque conto del fatto che al momento dell'infortunio quella protezione mancava da almeno quattro anni e dei numerosi interventi effettuati dal (C) in questo periodo (tra cui la sostituzione dei rulli), non è in alcun modo verosimile quanto da lui dichiarato circa il fatto di non aver mai notato, togliendo la cappa, se la griglia di protezione vi fosse oppure no ed è apparso chiarissimo, sul punto, l'imbarazzo mostrato dall'imputato nel rispondere a tali domande (v. p. 130 trascrizioni verbale e, soprattutto, p. 132, dove, a diretta domanda del Giudice, ha ad un certo punto risposto "so che non c'erano più", salvo, subito dopo, mettere in dubbio la sua stessa risposta…). Sul punto il (C) ha certamente mentito: egli sapeva che quelle protezioni erano state rimosse, ma non ha voluto riferire quando se ne accorse né – ammesso che lo sapesse – da chi e perché ciò fu fatto. Questa menzogna – che potrebbe essere stata detta per coprire (anche) se stesso, ma pure soltanto per non guastare i rapporti di lavoro, che tuttora continuano, con la (X) – non è tuttavia sufficiente a far ritenere che egli fosse in qualche modo stato coinvolto nella rimozione del presidio antiinfortunistico, sicché, anche alla luce della regola di giudizio di cui all'art. 530, comma 2, c.p.p., egli dev'essere assolto dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.


Quand'anche il (C) fosse stato coinvolto nell'operazione di rimozione della griglia di protezione – nell'ipotizzabile ruolo di "autore materiale" del fatto, considerate le sue mansioni – ben difficilmente egli avrebbe peraltro agito di sua iniziativa.

Come si è visto, di fatti, la rimozione delle griglie non trova adeguato fondamento logico nella semplificazione delle attività di manutenzione, attesa la maggior funzionalità (rispetto all'esigenza di avere una più ampia libertà d'azione) della modalità operativa di regola seguita, né, peraltro, questo poteva essere un valido "movente" per un artigiano che, come le fatture in atti dimostrano, era pagato in relazione alle ore di lavoro fatte. Se, dunque, (C) fosse stato l'autore materiale di questo intervento – ciò che, si ribadisce, non è comunque provato – lo avrebbe necessariamente fatto su richiesta della (X) Scarl (proprietaria dell'impianto e diretta utilizzatrice dello stesso sino al 2002) o della (Y) (utilizzatrice dell'impianto quale affittuaria d'azienda a partire dal 2002).

La prospettiva d'indagine, dunque, si sposta sulla posizione del terzo imputato, (B), che riveste – e rivestiva sin da prima dell'acquisto del laminatoio – la carica di legale rappresentante sia della (X) Scarl sia della (Y) Srl, le cui quote appartengono alla prima per il 99% (quest'ultima è, in sostanza, un braccio operativo, nel settore della produzione mangimi, del gruppo di società - 16 cooperative e due società a responsabilità limitata - che fa capo al Consorzio (X) Scarl, circostanza, questa, che consente di comprendere la ragione di un affitto d'azienda rinnovato per 20 anni e, soprattutto, del promiscuo utilizzo in entrambi i complessi produttivi di alcuni dipendenti dell'una o dell'altra società, come inequivocabilmente emerso in istruttoria).

 

Reputa il Tribunale che nei confronti di (B) - con particolare riguardo alla figura di legale rappresentante della (Y) - sussistano plurimi e gravi profili di responsabilità in ordine al reato a lui ascritto.


In primo luogo, come più sopra si è detto – a prescindere dalla circostanza se già nel 2002, all'atto dell'installazione presso lo stabilimento di Castagnole Piemonte della (Y), il macchinario fosse privo della griglia di protezione e a prescindere dall'indagine circa chi e quando fece tale manomissione (domanda che non ha trovato risposta nel processo) – è un fatto che tale presidio di sicurezza mancò per oltre quattro anni, quanto meno dalla data di assunzione dell'operaio (D), e, anzi, probabilmente da prima (come detto, l'imputato (B) ha riferito di aver appreso dall'operatore addetto a quell'impianto nello stabilimento di Carignano, tale …, che già allora le griglie mancavano).

E' evidente, dunque, che aver collocato un giovane dipendente – peraltro assunto con la qualifica di apprendista – per anni ad una macchina in cui non v'erano dispositivi che impedissero al lavoratore di venire accidentalmente in contatto con organi della macchina in movimento è una negligenza gravissima, che certamente integra, tenendo conto delle circostanze, il profilo di colpa specifica contestato.

Ed invero, in assenza di protezione fissa (rimossa), il vano che ospitava i cilindri destinati allo schiacciamento dei cereali era protetto soltanto da uno sportello attaccato con due ganci, apribile facilmente e senza necessità di alcun attrezzo: un riparo, dunque, certamente "amovibile" nel senso di cui all'art. 72 d.p.r. 547/1955, con conseguente necessità di adottare il dispositivo di blocco degli organi in movimento prescritto da tale disposizione. Nell'esame reso a dibattimento (B) ha dichiarato che non sapeva di quel pericolo, ma si tratta di giustificazione inaccettabile sotto un duplice profilo.

 

Innanzitutto – sulla scorta delle osservazioni sopra svolte e utilizzando il noto criterio del cui prodest? – è ragionevole concludere che chiunque abbia rimosso quelle protezioni lo abbia fatto su richiesta (o, quantomeno, con il tacito consenso) dell'unico soggetto che avrebbe potuto trarre un beneficio (sic!) dall'assenza del riparo, vale a dire l'utilizzatore del laminatoio e ciò al fine di agevolare interventi manuali (quand'anche saltuari) sui cilindri, come attività di pulizia o di rimozione di corpi estranei del tipo di quelli effettuati da (D) il giorno dell'infortunio.

Quel soggetto era certamente (B), che fu sempre utilizzatore della macchina, sia quando questa era in uso alla (X) Srl, sia quando questa fu concessa in affitto alla (Y). Del resto, se – come di seguito meglio si dirà – il laminatoio era impiegato (anche) per schiacciare prodotti di tipo diverso da quelli per il quale era stato progettato e realizzato (le sole granelle di cereali) la necessità d'intervenire sui rulli diventava frequente e, addirittura, imprescindibile, donde l'interesse dell'imprenditore, per velocizzare le attività di produzione e per non sospenderle, ad agevolare l'accesso al vano cilindri del laminatoio. In diversa prospettiva, se davvero (B) avesse ignorato per tutti questi anni che l'impianto era privo di un fondamentale presidio di sicurezza come quello di cui si discute, egli sarebbe comunque in colpa, non essendo accettabile che un datore di lavoro ometta di controllare (o di far controllare) per più di quattro anni lo stato di sicurezza di un impianto potenzialmente pericoloso come un laminatoio a cilindri. (B), peraltro, ha riferito nell'esame (v. pp. 163-164 trascrizioni) di aver saputo da … che l'unico problema che poteva insorgere nell'utilizzo del laminatoio era quelle di pietre (o corpi estranei) di apprezzabili dimensioni che "ballavano in mezzo ai rulli", con conseguente necessità di fermare la macchina, rimuoverli e ripartire.

 

L'imputato, dunque, sapeva che era necessario per l'operatore intervenire manualmente per rimuovere corpi estranei dai rulli e ha addirittura ammesso – ciò che è assolutamente verosimile – che … gli aveva anche mostrato la zona dei cilindri per spiegargli quale fosse il problema (v. p. 164 trascrizioni): dunque (B) vide che i cilindri non avevano alcuna griglia di protezione e che ad essi si poteva liberamente accedere rimuovendo dai ganci il portello (lo stesso (D), peraltro, ha riferito di aver mostrato i rulli al (B) quanto meno nel 2007, allorquando egli segnalò al datore di lavoro la necessità di farli rettificare o di sostituirli – ciò che venne poi fatto – perché non funzionavano più bene).

 

La negligenza è peraltro viepiù macroscopica – e davvero inescusabile – se si pensa che al momento dell'infortunio il laminatoio era privo di tutti i ripari, anche di quelli che il costruttore aveva allestito a protezione di altre zone pericolose (ci si riferisce, in particolare, alla zona del laminatoio che ospita i motori, gli organi e gli elementi per la trasmissione del moto, oggetto di contestazione al punto 2 del verbale di ispezione dell'ASL; nello stesso verbale, al punto 3, si contesta altra mancanza di protezione, questa volta ictu ouli evidente a chiunque passasse anche solo per caso vicino alla macchina: l'assenza del coperchio della scatola elettrica dei selettori di comando, sulle cui ragioni – la necessità di "dare un colpo di cacciavite" per azionarli – ha riferito il teste …).

 

Queste macroscopiche omissioni di controllo e questa assoluta indifferenza rispetto allo stato della sicurezza del macchinario appaiono ancora più gravi se si pensa che il laminatoio era il principale impianto produttivo utilizzato nello stabilimento (Y) (nel quale si utilizzavano soltanto altri due macchinari diversi), dove – hanno riferito i testimoni – il (B) (che pur ricopriva, come si è visto, ben più importanti incarichi nell'ambito del gruppo (X), essendo anche legale rappresentante della società capogruppo) effettuava una visita con cadenza almeno settimanale, effettuando un completo giro dello stabilimento e parlando con gli unici due dipendenti in forza, (D) e l'impiegato ... (lo ha ammesso lo stesso imputato). In generale, poi, è emerso con evidenza come per molto tempo la gestione della sicurezza degli impianti in (X) Scarl e (Y) sia stata trascurata: dall'esame del coordinatore tecnico del gruppo, …, si ricava, di fatti, che il tecnico esterno a cui il gruppo si rivolse per molti anni – tale …, del laboratorio della Camera di Commercio di Torino – aveva scarse competenze con riguardo alle attività produttive svolte in (X) (v. trascrizioni, p. 213) e che, in ogni caso, non gli fu richiesto di controllare lo stato di sicurezza degli impianti (v. trascrizioni, p. 217).

 

Soltanto nella primavera dell'anno 2007 – hanno riferito i testi … – il gruppo (X) si rivolse ad un'altra struttura tecnica esterna di consulenza, ma anche in questo caso nulla fu fatto prima del novembre 2007.

In secondo luogo, la colpa del (B) rispetto all'infortunio occorso appare ancor più evidente – e grave – se si pensa che la pericolosità di un impianto a cui erano state dolosamente rimosse le protezione allestite dal costruttore fu impiegato per un utilizzo diverso da quello per il quale era stato progettato (chiaramente indicato nel libretto di manutenzione ed uso) che, in concreto, ne amplificava i profili di rischio per il lavoratore proprio in relazione alla specifica situazione che originò l'infortunio per cui è processo.

Ed invero, lo schiacciamento di polpe di barbabietola da zucchero – anziché di cereali in granelle – determinava l'inconveniente che ha ben descritto il teste (D), vale a dire la formazione sui cilindri di una patina di smalto zuccherino che, a lungo andare, ne impediva il corretto funzionamento e richiedeva un intervento manuale dell'operatore proprio su quegli organi lavoratori, intervento che, secondo le indicazioni impartite al lavoratore, si concretizzava nello spargimento sui rulli di sabbia al quarzo, manovra, questa, che in tanto appariva funzionale in quanto i rulli fossero in movimento (gli imputati (B) e (C) hanno riferito che la sabbia poteva essere mescolata al prodotto da macinare versandola nel contenitore prima lo stesso accedesse alla zona di lavorazione, ma, evidentemente, ciò non fu detto – o non fu compreso – dal (D)).

 

Proprio l'utilizzo del laminatoio per schiacciare prodotti diversi dai cereali in granelle e che avevano dimensioni maggiori di 2 cm. cubici – vale a dire del massimo volume ipotizzato dal costruttore nel progettare le ristrette maglie che proteggevano i cilindri e attraverso le quali il prodotto da lavorare avrebbe dovuto agevolmente passare – costituisce ulteriore argomento, come più sopra si accennava, per ritenere che la decisione di rimuovere le griglie sia stata presa (non dal manutentore dell'impianto e tanto meno del singolo addetto, ma) dai più alti livelli decisionali dell'azienda, ai quali deve necessariamente ricondursi l'individuazione della tipologia di produzione da effettuare. Ma vi è di più. Oltre a trattarsi di un prodotto per la cui lavorazione non era adatto il laminatoio in questione – l'imputato (A) ha sostenuto che per lo schiacciamento di barbabietole si costruiscono ed impiegano altri impianti, con caratteristiche diverse – la particolare partita di barbabietole che da circa 7-10 giorni era in lavorazione alla (Y) (proveniente dall'Egitto) era caratterizzata da una anomala quantità di impurità, in particolare di pietre. Nell'esame, l'imputato (B) ha ammesso di essere stato informato della cosa e dei problemi che ciò determinava alla produzione proprio dal (D) ed egli – invece di intervenire dando al giovane dipendente puntuali indicazioni sulle modalità con cui risolvere il problema e verificare, poi, se questo fosse stato risolto – si limitò (secondo le sue stesse dichiarazioni: v. pp. 139 e 159) a dirgli di "cercare di sbrigarsela, eventualmente sentendo anche (C)".


Questa modalità di gestione aziendale a fronte di un problema che aveva anche evidenti risvolti sul piano della sicurezza (come (B) ben sapeva da quando aveva appreso da … del fatto che "le pietre ballavano tra i rulli"), da parte del legale rappresentante della piccola società – e diretto superiore gerarchico degli unici due dipendenti in forza alla (Y) (lo ha dichiarato lo stesso (B)) – integrano gli estremi di una inaccettabile negligenza. In una tale situazione, in sostanza, l'imputato si limitò a dire ai due giovani dipendenti alla cui buona volontà era rimessa la concreta gestione operativa della (Y) (l'uno, il ..., un apprendista impiegato; l'altro, il (D), un operaio comune che aveva da poco terminato il periodo di apprendistato), di "sbrigarsela", ricorrendo eventualmente ai consigli del manutentore esterno (C) (a cui (D) ha bensì detto di aver telefonato e da cui avrebbe però soltanto ricevuto il consiglio di "buttare della sabbia").


Non si può dunque stupire – ex post – se in una situazione del genere un giovane lavoratore sostanzialmente "abbandonato a se stesso" nel gestire un impianto privo di qualsivoglia protezione, impiegato per la lavorazione di un prodotto diverso da quello per il quale era stato costruito e, per di più, contaminato da pietre che finivano sugli organi lavoratori e che dovevano essere rimosse manualmente, abbia incautamente operato con modalità oggettivamente pericolose come quelle descritte e si sia poi gravemente infortunato.

 

Tradotto in linguaggio giuridico, si trattava di un rischio certamente prevedibile e – ovviamente – evitabile, in radice, predisponendo le necessarie cautele antiinfortunistiche imposte dalla legge.

Com'è noto, nel caso d'infortunio sul lavoro determinato a seguito dell'adibizione di un lavoratore ad una macchina sprovvista di ripari, la responsabilità del datore di lavoro non viene meno se il dipendente abbia commesso un'azione sia pur imprudente ma certamente prevedibile come quella che (D) commise quel giorno, cercando di togliere i sassi dai rulli senza spegnere la macchina, poiché non si tratta di un comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale – indiscutibilmente presente – tra la condotta del datore di lavoro e l'infortunio (cfr., ex multis, Cass, Sez. IV, 10.11.2009, n. 7267).

 

Né - per la stessa ragione - vale a scriminare la condotta del datore di lavoro il rilievo che (D) avesse seguito dei corsi di formazione nei quali gli era stato certamente detto che ogni intervento sulle macchine deve avvenire ad impianto fermo. Rispetto alla formazione del lavoratore – peraltro – ciò che più conta è l'acquisizione "di fatto" di modalità di lavoro sicure, ciò che nel caso del (D) evidentemente non era avvenuto senza che il datore di lavoro se ne fosse accorto (o preoccupato) e rispetto all'istruzione pratica ricevuta dal giovane quando era apprendista nulla è stato provato (l'operaio esperto …, a cui, secondo le dichiarazioni del (B), il giovane sarebbe stato affiancato per imparare a lavorare sul laminatoio, non è stato neppure indicato come testimone e la persona offesa, al contrario, ha indicato in una diversa persona – vale a dire il dipendente che era in forza prima di lui alla (Y), tale … – colui al quale egli fu affiancato per imparare il lavoro).

Senza contare che la documentazione prodotta dalla difesa (B) per provare la natura della formazione impartita al (D) è, almeno in parte, inattendibile (ci si riferisce all'attestato di partecipazione a 4 corsi di formazione della durata di 4 ore ciascuno in cui il docente sarebbe stato lo stesso (B), il quale, nell'esame, ha detto di non aver mai fatto ai dipendenti alcun corso, non avendone peraltro le capacità).
L'imputato (B), pertanto, dev'essere dichiarato colpevole del reato lui ascritto. In considerazione dei numerosi profili di gravità della condotta quali sopra segnalati e tenendo conto che dal certificato del casellario giudiziale emerge un precedente specifico, non sussistono ragioni per concedere all'imputato - in assenza, peraltro, di alcun risarcimento, neppure parziale, del danno - le circostanze attenuanti generiche e, visti gli elementi tutti di cui all'art. 133 c.p., e tenuto in particolare conto della gravità delle lesioni e della giovane età dell'infortunato, si stima equa la condanna alla pena di mesi tre reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Confidando anche nell'effetto deterrente della presente pronuncia, all'imputato può concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena.
L'imputato deve inoltre essere condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla parte civile costituita, i quali – come da specifica richiesta – dovranno essere liquidati avanti al competente giudice civile, tenendo conto dei numerosi profili che dovranno essere affrontati per la quantificazione e che non hanno costituito oggetto dell'istruttoria in questa sede compiuta.

 

Come da richiesta, l'imputato deve tuttavia essere sin d'ora condannato al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva che può essere concessa nella richiesta somma di Euro 50.000,00.

 

E' di fatti provato un grave danno biologico (temporaneo e permanente), un'apprezzabile sofferenza morale per il lungo ricovero in ospedale, per i numerosi interventi chirurgici subiti, per le compromissioni che, stante la giovane età e le ricadute sul piano estetico (non quantificate nel danno biologico: v. dichiarazioni dott. … p. 10 trascrizioni), l'infortunato ha subito anche sul piano esistenziale, tanto da trasmodare addirittura in una sindrome psichica di disturbo post-traumatico da stress.

Si consideri – quanto al danno che già oggi può ritenersi provato – che, secondo le ultime tabelle (anno 2009) predisposte dal Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale patito da un soggetto che, come (D), al momento del sinistro aveva 28 anni di età e ha riportato un danno permanente del 30%, si stima congruo un risarcimento medio di circa 145.000,00 Euro. A questa somma – eventualmente maggiorata sino ad un massimo del 29% in relazione ai profili di danno riscontrabili nel caso di specie, ciò che appare verosimile tenendo anche conto del fatto che si tratta di un illecito penale – occorrerà aggiungere il risarcimento del danno biologico (e, più in generale, non patrimoniale) relativo alla lunga inabilità temporanea (prudenzialmente stimabile in non meno di 10.000,00 Euro) e il danno patrimoniale relativo alla perdita di retribuzione dovuta al conseguente licenziamento intimato dalla (Y) (per impossibilità di svolgere la precedente mansione di operaio) e alla più ridotta retribuzione (circa 300 Euro netti al mese in meno) percepita con riguardo alla nuova occupazione rinvenuta soltanto nel marzo 2010 (si tratta, peraltro, di un contratto a tempo determinato della durata di un anno). Pur tenendo conto, dunque, della necessità di detrarre il valore attuale della rendita corrisposta dall'INAIL in seguito all'infortunio (973,00 Euro mensili) residua, all'evidenza, un importante danno differenziale che si ha ragione di ritenere non inferiore a 50.000,00 Euro.

L'imputato deve inoltre essere condannato al pagamento delle spese processuali, da liquidarsi in complessivi Euro 4.500,00 oltre IVA e CPA ed esposti per Euro 103,12 (così ridotta la nota spese del patrono in relazione agli eccessivi onorari indicati con riguardo alla voce "attività difensive" dell'udienza 3.6.2010 – conteggiata per ciascun soggetto esaminato – e all'assistenza alle discussioni delle controparti, in special modo delle difese degli imputati assolti).

Venendo, ora, alla questione dell'illecito amministrativo contestato alle società, reputa innanzitutto il Tribunale che debba essere pronunciata sentenza di assoluzione della (X) Scarl perché il fatto non sussiste.

Come si è più sopra sottolineato, di fatti, non vi è una prova certa circa il fatto che le protezioni mancassero già al momento in cui il laminatoio fu trasferito nello stabilimento (Y) di Castagnole Piemonte nell'autunno 2002.

L'unico indizio in tale senso è stato fornito dall'imputato (B), quando, nell'esame, ha riferito ciò che avrebbe appreso dall'operaio …, ma – non essendo stata peraltro escussa direttamente la fonte di tale dichiarazione (che il (B), peraltro, non ha inteso sottoscrivere con chiarezza) – si tratta di elemento non sufficiente a ritenere provata la circostanza per fondarvi la responsabilità dello stesso (B), quale amministratore delegato del Consorzio capo-gruppo, per aver consegnato alla (Y) un impianto privo delle necessarie cautele antinfortunistiche. Posto, poi, che la successiva manutenzione dell'impianto - così come la periodica verifica dell'efficienza (oltre che, ovviamente, dell'esistenza) delle misure di protezione - sarebbe spettata all'affittuaria (Y), nulla può essere rimproverato alla società concedente ed ai suoi amministratori. La responsabilità penale del (B), di fatti, è stata affermata nella sua veste di legale rappresentante della (Y) quale datore di lavoro dell'infortunato (D).

Deve conseguentemente concludersi che manca un presupposto per ritenere la sussistenza dell'illecito amministrativo contestato a (X) Scarl, cioè – ai sensi dell'art. 5, d.lgs. 8.6.2001, n. 231 – la responsabilità penale di persone legate alla società da un rapporto di amministrazione, direzione o dipendenza in ordine al reato di lesioni aggravate per l'infortunio subito da (D).
Per contro, tale presupposto evidentemente sussiste con riguardo al reato commesso dal (B) nella sua qualità di amministratore della (Y) Srl e non ricorre certo l'esimente di cui all'art. 5, comma 2, d.lgs. 231/2001, essendo evidente che la condotta (attiva ed omissiva) del (B) non fu certo tenuta nell'interesse (che, ai fini de quibus, la legge vuole esclusivo) proprio o di terzi: si trattò, com'è evidente, di un classico reato colposo commesso da un datore di lavoro che è apparso indifferente (o, comunque, non sufficientemente attento) alla tutela delle condizioni di lavoro dei propri dipendenti. Non ricorrono, per altro verso, le condizioni di esonero da responsabilità previste dall'art. 6 d.lgs. 231/2001; anzi, nel caso di specie, per le ragioni riferite a dibattimento dal consulente tecnico della difesa …, un modello di organizzazione idoneo a prevenire reati come quello oggetto di processo non fu adottato nemmeno dopo l'infortunio.

 

La (Y) deve quindi essere dichiarata responsabile dell'illecito amministrativo ascrittole.

 

Quanto alla sanzione, deve in primo luogo escludersi che sussistano i presupposti per l'applicazione della sanzione interdittiva pur in astratto prevista dall'art. 25 septies, comma 3, d.lgs. 231/2001.

 

Nel caso di specie non ricorrono, invero, le condizioni di applicabilità previste dall'art. 13 del citato testo normativo: per un verso, non risulta la reiterazione di illeciti; per altro verso, non può dirsi che dal reato (rectius, dalla condotta di violazione delle norme antinfortunistiche da cui esso è derivato) sia conseguito un profitto di rilevante entità per l'ente, posto che la lavorazione delle barbabietole contaminate da pietre che non sarebbe stato possibile effettuare con la griglia di protezione dei cilindri era in corso soltanto da circa 7-10 giorni (e non si sa, in passato, quante volte il laminatoio sia stato utilizzato per la lavorazione di prodotti diversi dai cereali, che, per quanto emerso a dibattimento, costituivano l'ordinaria tipologia produttiva e che ben si sarebbe potuta svolgere anche con la griglia di protezione dei cilindri).

 

La sanzione deve pertanto essere applicata soltanto nella specie pecuniaria, in misura compresa tra il minimo di legge di 100 quote (art. 10, 2° co., d.lgs. 231/2001) e il massimo di 250 quote previsto dal citato art. 25 septies, 3° comma. Non ricorrendo alcuna delle ipotesi di riduzione della sanzione previste dall'art. 12 d.lgs. 231/2001, tenuto conto degli importi minimi e massimi previsti per ogni singola quota dall'art. 10, 3° co., d.lgs. 231/2001, i limiti edittali nel caso di specie vanno dunque da 25.800 Euro a 387.250,00 Euro.

Con riguardo ai criteri di cui all'art. 11 d.lgs. 231/2001, reputa il Tribunale che – valorizzando, in particolare, il pronto adeguamento alla normativa antinfortunistica effettuato dalla (Y) a seguito delle prescrizioni dello SPRESAL e tenendo conto delle ridotte dimensioni dell'ente (che ha soltanto due dipendenti, sicché le sue condizioni economiche e patrimoniali non possono ritenersi particolarmente floride) – la sanzione debba essere fissata in n. 100 quote da 300 Euro ciascuna, per una complessiva sanzione di 30.000,00 Euro, che appare nel caso di specie idonea ed efficace rispetto agli scopi della pena.

 

Ai sensi dell'art. 60, 1° co., d.lgs. 231/2001, la (Y) deve inoltre essere condannata al pagamento delle spese processuali.

 

 

P. Q. M.



 

Letto l'art. 530 c.p.p.

ASSOLVE


gli imputati (A) e (C) dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p,

DICHIARA

l'imputato (B) colpevole a lui ascritto e lo

CONDANNA

alla pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;
Letto l'art. 163 c.p.

CONCEDE

all'imputato (B) Michele il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Letti gli artt. 538 ss. c.p.p.,

CONDANNA

l'imputato (B) a risarcire alla parte civile costituita i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, rimettendo le parti avanti al competente giudice civile per la liquidazione e assegnando sin d'ora una provvisionale immediatamente esecutiva pari a Euro 50.000,00 e lo

CONDANNA

altresì al rimborso delle spese di costituzione di parte civile, liquidate in complessivi 4.500,00 Euro, oltre rimborso IVA e CPA ed Euro 103,12 per esposti.
Letto l'art. 60 d.lgs. 231/2001

ASSOLVE

la società (X) s.c.a.r.l. dall'illecito ad essa ascritto perché il fatto non sussiste.
Letto l'art. 69 d.lgs. 231/2001

DICHIARA

la società (Y) S.r.l. responsabile dell'illecito amministrativo ascrittole e la

CONDANNA

alla sanzione pecuniaria di Euro 36.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 544 c.p.p.

INDICA

in giorni 60 il termine per il deposito della sentenza.