Tribunale di Ivrea, 10 giugno 2010 - Azione di regresso dell'INAIL nei confronti di un datore di lavoro per infortunio a lavoratrice


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI IVREA

 

 

Il giudice del lavoro, dott.ssa Sonia Mancini, pronunciando nella causa n. 28/2007 promossa da I.N.A.I.L. (avv. Lo.Cl.) contro Sa.Ma. S.n.c. di Lu.Sa. e Sa.St. (avv. Do.Ve.), nonché contro Fo. S.p.A. (avv. Al.Sa.) avente ad oggetto azione di regresso ex art. 10 e 11 TU 1124/1965 osserva quanto segue:
 

 

 

FattoDiritto

 

 

Con atto di ricorso, depositato in Cancelleria il 17.01.2007, l'I.N.A.I.L. proponeva azione di regresso ex artt. 10 e 11 TU 1124/1965 nei confronti di Sa.Lu. e Sa.St. in proprio e nella qualità di socie della ditta "Sa.Ma. S.n.c. di Sa.Lu. e St.", nonché, nella qualità di eredi di Sa.Ma., già titolare della suddetta impresa, chiedendone la condanna alla restituzione delle somme corrispondenti alla rendita da infortunio sul lavoro (maggiorata degli interessi di legge) da esso Istituto riconosciuta in favore della lavoratrice Lu.Te., infortunatasi in data 4.11.1998 mentre era intenta a lavorare su un macchinario a pistone. A sostegno del ricorso, l'Istituto ricorrente sosteneva che l'infortunio in questione era stato causato dalla condotta omissiva del predetto datore di lavoro, il quale aveva omesso di dotare lo strumento di lavoro utilizzato dalla dipendente di alcuno dei dispositivi di sicurezza espressamente previsti dall'art. 115 D.P.R. 547/1955 (ovvero: schermi fissi/schermi mobili/apparecchi scansamano/dispositivi di blocco del punzone in presenza delle mani).

 

Si costituivano in giudizio le convenute, in proprio e nella qualità di socie della ditta convenuta, nonché, di eredi di Sa.Ma. eccependo l'infondatezza della domanda ed, in caso di condanna, chiamando in manleva la società Assicuratrice Fo. S.p.A. giusta polizza (...) stipulata a copertura di tale rischio.

 

Si costituiva in giudizio la stessa società Fo. eccependo, preliminarmente, la prescrizione del diritto ex art. 2952 c.c. ed, in ogni caso, la riduzione della responsabilità ex att. 1915 c.c., fondando entrambe le eccezioni sul rilievo della omessa tempestiva comunicazione alla Fo. dell'infortunio occorso. Nel merito, si associava alla richiesta di rigetto di parte convenuta.

 

La domanda di regresso dell'INAIL ai sensi degli artt. 10 e 11 del T.U. 1124/1965 deve dirsi fondata in ossequio alle considerazioni che seguono:

Quanto, in primo luogo, all'accertamento della responsabilità omissiva colposa dell'odierno resistente per le gravi lesioni personali riportate dalla Lu.Te. a seguito dell'infortunio sul lavoro del 4.11.1998, si deve osservare come il mancato accertamento in sede penale della responsabilità del Sa.Ma., dovuto alla morte di quest'ultimo e da cui è derivato il provvedimento di archiviazione per morte del reo (vedi doc. 22 prod. Inail), impone che tale accertamento sia comunque compiuto in sede civile.

Tanto chiarito, giova adesso ricordare come sia principio sostanzialmente pacifico in giurisprudenza quello secondo il quale il mancato adempimento del dovere, stabilito dall'art. 2087 cod. civ., di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori è fonte di responsabilità contrattuale, configurando un illecito che attiene ad una preesistente obbligazione di origine legale (cfr. Cass. 23 marzo 1991 n. 3115, Cass. civ., sez. lav., 16 settembre 1998, n. 9247, in Resp. civ. prev., 1999, 96).

Tale norma, come è noto, determina un obbligo di comportamento (rapportato alle possibilità offerte dalla tecnica e dalla esperienza, con riferimento, altresì, alla particolarità del lavoro), che trova la sua fonte nella Costituzione, e precisamente nell'art. 32 comma 1 - secondo il quale lo Stato assume la tutela della salute dei cittadini "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" - e nell'art. 41 commi 1 e 2 - ove, affermandosi il principio di libertà dell'iniziativa privata, si condiziona in concreto tale iniziativa imponendosi che essa si svolga con modalità tali da non pregiudicare la sicurezza e l'incolumità fisica degli addetti (sul punto si veda, per tutte, Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 1988, in Cass. pen., 1990, 1, 310).

 

La natura contrattuale di detta responsabilità - che può concorrere, con le differenze che ne derivano quanto al profilo psicologico dell'illecito, alla prescrizione, ai danni risarcibili ed all'onere della prova, con quella di natura extracontrattuale derivante dalla violazione del principio del neminem laedere ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. (cfr. Cass. 8 aprile 1995 n. 4078; Cass. 26 ottobre 1995 n. 11120) - rende poi operante la presunzione di colpa stabilita dall'art. 1218 cod. civ., che impone al debitore di provare la non imputabilità dell'inadempimento.

Tuttavia, il carattere contrattuale dell'illecito e l'operatività della presunzione di colpa non escludono che la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 cod. civ. (che certo non configura un caso di responsabilità oggettiva: sul punto si vedano Cass. 29 marzo 1995 n. 3740 e Cass. 26 ottobre 1995 n. 11120) in tanto possa essere affermata in quanto sussista una lesione del bene tutelato che derivi casualmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche.

 

Ne consegue che - diversamente da quanto potrebbe apparire da alcuni arresti giurisprudenziali (come ad esempio Cass. 6 gennaio 1982 n. 7; Cass. 23 febbraio 1995 n. 2035; Cass. 6 giugno 1995 n. 9401) - sebbene la verificazione del sinistro non è di per sé sola sufficiente per far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, tuttavia, una volta che il lavoratore (o chi per esso) abbia dato dimostrazione sia del danno subito che del rapporto di causalità fra la mancata adozione di determinate misure di sicurezza (specifiche o generiche) e al danno predetto (si vedano sul punto Cass. 16 aprile 1986 n. 2692; Cass. 15 febbraio 1992 n. 1844; Cass. civ., sez. lav., 17 novembre 1993, n. 11351, in Resp. civ. e prev., 1994, 689; Cass. 11 dicembre 1995 n. 12661; Cass. 21 ottobre 1997 n. 10361, nonché, da ultimo, Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2000, n. 14469, in Dir. e giust., 2000, f. 43 - 44, 28), spetta comunque al datore di lavoro dimostrare la propria "assenza di colpa, sia specifica, che generica".

 

Pertanto, una volta accertata una colpa specifica, quale è senza dubbio la mancata adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività lavorativa in concreto espletata, tanto più se precisamente previste dalla legge, va ritenuta la piena responsabilità dello stesso ai sensi dell'art. 2087 c.c. con conseguente obbligo di integrale risarcimento del danno biologico, del danno patrimoniale e delle spese mediche, indipendentemente dall'eventuale concorso di colpa del lavoratore infortunato, che non vale ad escludere la responsabilità datoriale, a meno che non si concreti in una condotta totalmente estranea alla prestazione lavorativa, e, come tale, assolutamente inopinabile e imprevedibile.

 

Premesso ciò in ordine alle caratteristiche della responsabilità omissiva del datore di lavoro, si deve adesso affermare che, dall'esame della documentazione prodotta dalle parti (vedi verbale di prescrizione della A.s.l. n. 9 del 19.11.1998 in cui si da atto della mancanza sul macchinario del doppio pulsante di consenso, e conseguentemente comminata la sanzione, poi regolarmente pagata) - dalla inchiesta penale a carico di Sa.Ma. sfociata in un decreto di citazione a giudizio per i reati di cui agli art. 590 c.p., in riferimento al 583 c.p., poi archiviato con declaratoria di estinzione del reato per morte del reo (doc. 21 e ss. Prod. Inail), nonché dalle prove testimoniali escusse (vedi teste Lu.Te. e teste Fr.Ca.) è pacifico (ed, in fatto, neanche contestato) che il macchinario che ha cagionato l'infortunio alla Lu. fosse stato privo, all'epoca dei fatti, delle schermature previste dalla legge, e sopra richiamate (art. 15 D.P.R. 547/1995) proprio a tutela della incolumità dei prestatori di lavoro.

Orbene, tale dato di fatto, possiede in sé tutti i requisiti che conducono ad un asserzione di responsabilità del datore di lavoro il quale, per conto suo, non ha fornito alcuna prova che andasse ad escludere, né l'imputabilità soggettiva della omissione, né, tanto meno il nesso di causalità tra questa e l'evento.

È pacifico, infatti, mutuandosi alle categorie penalistiche della responsabilità omissiva, che un soggetto che si trovi in posizione di garanzia rispetto ad un evento che è tenuto a scongiurare, ne sarà considerato responsabile oggettivamente nei caso in cui la sua condotta (omissiva) abbia cagionato l'evento, e soggettivamente nel caso in cui tale omissione sia "colpevole". Partendo da quest'ultimo requisito della responsabilità, trattandosi di responsabilità omissiva, deve osservarsi come la violazione oggettiva di una normativa specifica di protezione concretizzi già di per sé il profilo della colpa, dovendosi intendere quest'ultima, non come riferibilità psichica dell'evento al suo autore (sotto le categorie del dolo o della "colpa generica" - id est negligenza, imprudenza, imperizia) quanto, piuttosto, da intendersi in termini normativi come comportamento "contra legem" e, quindi, di per sé stesso "colpevole".

Diverso è il profilo del nesso di causalità il quale potrebbe essere escluso solo ove sia data prova, da parte del datore di lavoro, che anche in presenza del comportamento omesso l'evento si sarebbe ugualmente verificato. È del tutto evidente, viceversa, che nel caso in cui fosse stato dotato di almeno uno dei dispositivi di sicurezza prescritti dalla normativa richiamata la Lu., pur nella distrazione del suo atto, pur nell'automaticità del gesto di inserire la mano nell'apparecchio, non si sarebbe ferita. Tale comportamento, si dica, non è certo da considerarsi abnorme né del tutto imprevedibile in quanto era connesso proprio all'automatismo della lavorazione prestata dalla lavoratrice, con la conseguenza che non solo lo stesso non vale ad interrompere il nesso causale, ma neanche conduce ad una affermazione di concorso di colpa valevole a ridurre la misura della responsabilità affermata in tale sede.

Tanto può affermarsi sulla base del banale rilievo che le schermature previste dalla D.P.R. citato hanno proprio lo scopo di proteggere il lavoratore dai rischi connessi all'utilizzo delle macchine, e ciò non tanto in presenza di un loro uso corretto (se vi fosse garanzia di una condotta del lavoratore sempre prudente neanche si porrebbe la necessità di tali dispositivi) ma proprio per il raso di gestione imprudente del meccanismo. Nessun rilevo, pertanto, può attribuirsi sotto il profilo della causalità (e, quindi, per converso della esclusione di responsabilità del datore di lavoro) alla condotta posta in essere dalla Lu. la cui, pur ammessa, imprudenza se da un punto di vista materiale - fattuale, è sicuramente causa dell'infortunio, da un punto di vista giuridico, ed in punto di affermazione di responsabilità, si converte in mera occasione dello stesso.

Era preciso compito del datore di lavoro, infatti, scongiurare proprio questo tipo di evento ai sensi e per gli effetti dell'art. 2087 c.c., in virtù della indiscussa funzione di garanzia che la legge a lui attribuisce con tale norma, ed in virtù della prescrizioni specifiche poste dalla legge a tutela della sicurezza del lavoro.

Di fronte alle suesposte univoche risultanze istruttorie, l'odierno resistente non ha a sua volta fornito alcuna prova che valesse a dimostrare la non imputabilità della suddetta omissione.

 

Alla luce di quanto precede, si deve dunque ritenere adeguatamente provata la piena responsabilità civile di Sa.Ma. nella causazione dell'infortunio occorso alla Lu. in data 04.11.1998 e, conseguentemente delle odierne resistenti in qualità sia di titolari della ditta Sa.Ma. S.n.c., che di eredi dello stesso.

 

Disposta CTU medico legale sulla persona della beneficiata Lu.Te. si è potuto appurate, (vedi perizia in atti) che la stessa ha residuato postumi invalidanti pari al 15% in ossequio alle tabelle INAIL vigenti al momento dell'infortunio (D.P.R. 1124/65) "del tutto sovrapponibile al grado di inabilità permanente parziale riconosciuto dall'inail".

Prosegue il CTU precisando come il periodo di temporanea è da ritenersi giustificato nella minor misura di 140 giorni, a fronte dei 244 riconosciuti e corrisposti dall'Inail.

Tale conclusione del CTU, tuttavia, non risulta correttamente precisata in merito alla percentuale di invalidità che andrebbe connessa a ciascuno dei periodi di invalidità temporanea riconosciuti.

Altrettanto generiche risultano le motivazioni che lo stesso perito adduce a sostegno di tale stima riduttiva ("per quanto riguarda l'inabilità temporanea la lesa rimase assente dal lavoro per tre lunghi periodi, per i quali si ritengono giustificati - secondo tempistiche necessaire per la risoluzione di processi acuti o subacuti, ai fini della ripresa delle ordinarie attività, comprensive della attività lavorativa - sessanta giorni per il primo periodo, trentacinque giorni per il secondo e quarantacinque per il terzo, per un totale complessivo di centoquaranta giorni"), essendo le stesse formulate su considerazioni di massima circa i tempi normalmente occorrenti per il recupero di tali tipi di patologie.

Tale valutazione generale, che tuttavia si palesa inevitabile, stante il lungo lasso temporale trascorso tra l'infortunio e la perizia, non è pertanto idonea a scalfire la valutazione concreta fatta dall'Inail all'epoca dei fatti.

La maggiore correttezza di tale valutazione, d'altronde, trova conferma nella stessa perizia del CTU la quale, per quanto afferisce alla stima della IPT, l'unica che può effettuarsi "ora per allora", corrobora pienamente l'operato delle commissioni mediche dell'Inail.

Vi è dunque, in generale, da parte del CTU un attestato positivo circa il metodo valutativo operato dall'Istituto che pertanto, in misura maggiormente attendibile di una stima fatta a distanza di dieci anni, può ben essere preso a base dell'odierno riconoscimento.

 

Alla luce di tali considerazioni risulta giustificata la domanda di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro per l'intero esborso connesso all'infortunio in oggetto ovvero, secondo quanto precisato in sede di conclusioni:

 

Euro 3.590,03 a titolo di indennità temporanea (pari a 87 giorni al 60% e 24 giorni al 75%);

Euro 1.975,70 a titolo di indennità temporanea (pari a 55 giorni al 75%)

Euro 4.017,64 a titolo di integrazione rendita;

Euro 30,99 a titolo di accertamento postumi;

Euro 185,92 a titolo di spese per l'accertamento medico legale;

Euro 77,47 a titolo di spese per la visita specialistica;

Euro 27.025,00 a titolo di liquidazione in capitale della rendita al 01.05.2009

Euro 13.768,52 a titolo di acconti e ratei già pagati all'infortunata fino al 30.04.2009, comprensivi di interessi legali nel frattempo maturati;

Euro 146,01 a titolo di rimborso giornate lavorative

Euro 30,98 a titolo di visita per revisione

Euro 1.574,37 a titolo di interessi

 

il tutto pari a complessivi Euro 48.872,56, come da nota a firma del Dirigente della sede INAIL di Ivrea, Ufficio area assicurativa, Ma.Ma., del 25.02.2010 e non contestata dalle parti resistenti.

 

È dunque al pagamento di tale somma che devono essere in questa sede condannate le odierni resistenti in via solidale tra loro, in proprio e nella qualità di socie della ditta "Sa.Ma. S.n.c. di Sa.Lu. e Sa.St.", nonché in qualità di eredi di Sa.Ma. già titolare della medesima società.

 

Su tale somma, in applicazione del principio di cui all'art. 1283 c.c., devono essere poi corrisposti gli interessi al tasso legale maturati dalla data della domanda (con riferimento alle poste maturate anteriormente alla stessa) o della loro siamola corresponsione (con riferimento a quelle maturate posteriormente alla domanda) a quella dell'effettivo soddisfo.

 

Con riferimento alla domanda di manleva avanzata da parte delle convenute nei confronti della Fo. S.p.A. si osserva: la polizza assicurativa stipulata tra Sa.Ma. e la Fo., n. (...) con decorrenza dal 20.01.98 al 20.01.1999, al punto B) dell'art. 1) comprende espressamente - oltre alla responsabilità civile verso terzi, di cui alla lettera A del medesimo articolo - la diversa, "responsabilità civile verso i dipendenti".

 

Tale polizza copre i seguenti danni:

1) ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 per gli infortuni sofferti da prestatori di lavoro da lui dipendenti, addetti alle attività per le quali è prestata l'assicurazione, e

2) ai sensi del codice civile a titolo di risarcimento di danni non rientranti nella disciplina del D.P.R. 1124/65 cagionati a prestatori di lavoro di cui la precedente art. 1) per morte lesioni personali dalle quali sia derivata una invalidità permanente non inferiore all'11% calcolato sulla base della tabella di mi agli allegati al D.P.R. 1124/65 (vedi polizza di cui al documento depositato ed allegato a pag. 65 del fascicolo di ufficio).

 

L'art. 7 della stessa polizza - inerente gli obblighi di denuncia dei sinistri - precisa due diversi obblighi di comunicazione in capo all'assicurato: il primo, di cui alla lettera A del menzionato articolo, onera l'assicurato di comunicare l'infortunio alla compagnia assicuratele entro tre giorni dal fatto o dalla sua conoscenza.

Tale obbligo di denuncia, tuttavia, riguarda le sole ipotesi di assicurazione di responsabilità civile verso terzi prevista dalla lettera A dell'art. 1; con riferimento, viceversa, alla Assicurazione avente ad oggetto la responsabilità civile verso i dipendenti (di cui alla lettera B dell'art. 1, come sopra richiamala), lo stesso art. 7 lettera B) statuisce: "agli effetti della assicuratone di responsabilità civile verso i dipendenti, l'assicurato deve denunciare soltanto i sinistri per i quali ha luogo l'inchiesta giudiziaria a norma della legge infortuni.

Tale denuncia deve essere fatta entro tre giorni da quando l'assicurato ha ricevuto l'avviso per l'inchiesta. Inoltre, se per l'infortunio viene iniziato un procedimento penale, deve darne avviso alla società appena ne abbia notizia. Del pari deve dare comunicazione alla società di qualunque domanda od azione proposta dagli infortii nati o loro aventi diritto, nonché dall'Istituto assicuratore infortuni per conseguire e ripetere risarcimenti, trasmettendo tempestivamente atti, notizia documenti e quant'altro riguardi la vertenza".

 

L'art. 9 della polizza aggiunge: "l'Assicurato è responsabile verso al società di ogni pregiudizio derivante dalla inosservanza dei termini e degli obblighi di cui all'art. 7 e 8. Ove risulti che egli abbia agito in connivenza con i terzi danneggiati o ne abbia favorito le spese decade dai diritti del contratto".

 

Orbene, tutta la difesa dell'Istituto assicuratore è stata improntata a dimostrare che la ditta Sa. omise di denunciare l'infortunio nei tre giorni successivi allo stesso.

Tale eccezione di merito, ove anche fosse stata confermata nel corso del giudizio, è tuttavia, del tutto inconferente rispetto alle ragioni nascenti dalle clausole contrattuali appena trascritte.

Le parti, infatti, hanno espressamente pattuito che l'onere di comunicazione/denuncia a carico del datore di lavoro nell'ambito della Assicurazione verso i dipendenti sorgesse soltanto in caso di procedimento penale ed entro termini decorrenti dalla ricezione dell'avviso per l'inchiesta o comunque dalla notizia del procedimento penale a carico del datore di lavoro.

Lo stesso obbligo di denuncia, sempre ai sensi dell'art. 7 lett. b) della polizza, scattava, poi, in caso di azione civile proposta dai lavoratori, o loro aventi causa, ovvero dall'Inail.

Orbene, è la stessa Fo. che da atto di aver ricevuto la prima notizia dell'infortunio con la comunicazione degli atti giudiziali inerenti lo stesso (vedi pag. 2 memoria conclusionale).

Ne consegue che i diritti nascenti dal contratto di assicurazione a favore del soggetto assicurato sono rimasti pienamente intatti avendo la ditta Sa. prestato completamente fede alle clausole contrattuali sottoscritte da entrambe le parti. Anzi, si deve sottolineare come ad ogni buon conto la violazione dell'obbligo di comunicazione come adesso precisato, lungi dal far decadere l'assicurato dai diritti nascenti dal contratto di assicurazione (ipotesi riconnessa solo ai casi di connivenza con i terzi danneggiati), determina, come dispone l'art. 9 semplicemente una responsabilità verso al società volta a sollevarla dagli eventuali pregiudizi subiti in virtù del ritardo nelle comunicazioni;

È di lapalissiana evidenza, quindi, come è lo stesso articolato contrattuale a presupporre la persistenza dei diritti dell'assicurato anche in caso di violazioni degli oneri di comunicazioni, in quanto i pregiudizi per la Società potrebbero sorgere solo in quanto questa sia ancora tenuta a pagare al posto del suo assicurato, senza essere stata messa in condizione di apprestare tempestivamente le opportune difese in giudizio.

 

Il termine di prescrizione annuale previsto dall'art. 2952 comma 2 c.c., invocato dalla Fo., poi, nell'ambito della responsabilità civile verso i dipendenti, trattandosi comunque di una assicurazione che copre i danni cagionati a terzi (nel nostro caso l'INAIL), opera, come espressamente previsto dal comma 3, a decorrere dal giorno in cui il terzo (e, quindi, l'Inail che agisce in regresso) ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione, e non anche, come pretenderebbe la Società Assicuratrice, dal giorno dell'infortunio. In tali casi, infatti, l'evento sfavorevole da cui la Assicurazione si obbliga a sollevare l'Assicurato non è l'infortunio del dipendente (del tutto estraneo al rapporto assicurativo) bensì la richiesta risarcitoria, la sola idonea a cagionare un danno al datore di lavoro assicurato.

 

Da quanto appena illustrato, pertanto, risulta del tutto inutile la disamina delle testimonianze, pure escusse, in merito alla denuncia asseritamente inoltrata dalla ditta Sa. subito dopo l'infortunio occorso alla Lu.

In ossequio, quindi all'art. 1 lettera B) del contratto intercorso tra la Fo. S.p.A. e la ditta "Sa.Ma." corrente in (...), del 21/01/1998, le convenute St. e Lu.Sa., in proprio e nella qualità di socie della "Sa.Ma. S.n.c.", nonché nella qualità di eredi di Sa.Ma., devono essere tenute indenni di tutto quanto da esse dovute a favore dell'Inail, vittoriosa in questa causa.

 

Si precisa, infatti che il quantum liquidato dall'Inail alla Lu.Te., pur nella sua duplice natura di danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa e non patrimoniale (danno biologico come oggi inteso dalla Giurisprudenza) risulta pienamente coperto dalla polizza assicurativa in oggetto: l'art. 1 lettera B) sub 2, infatti, precisa espressamente che la copertura assicurativa a favore dell'assicurato riguarda non solo i danni assicurati dall'inail (sub 1) ma anche quelli derivanti dalla codice civile a titolo di risarcimento danni non rientranti nella disciplina del TU 1124/65, tra cui, all'epoca dei fatti, comunque rientrava il danno biologico (poi introdotto nell'indennizzo Inail soltanto con il D.Lgs. 38/2000).

 

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore dell'Inail, nell'importo indicato in dispositivo e poste a carico solidale delle parti convenute e della terza chiamata (nella misura di un mezzo ciascuna nei loro rapporti interni) oltre rimborso forfetario, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

 

Le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico delle stesse.

 

 

P.Q.M.

 

 Il giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., disattesa ogni diversa istanza ed eccezione e in accoglimento del ricorso

 

 

1 - condanna in via solidale tra loro la ditta "Sa.Ma. S.n.c." corrente in (...), in persona del rap.te legale p.t., Sa.Lu. e Sa.St., in proprio nella qualità di eredi di Sa.Ma., nonché, nella qualità di socie illimitatamente responsabili della "Sa.Ma. S.n.c." al pagamento in favore dell'I.N.A.I.L., in persona del legale rap.te p.t. della complessiva somma di Euro 48.872,56, oltre ad interessi legali maturati dalla data della domanda (con riferimento alle poste maturate anteriormente alla stessa) o della loro singola corresponsione (con riferimento a quelle maturate posteriormente alla domanda) a quella dell'effettivo soddisfo;

 

2 - condanna la terza chiamata Fo. S.p.A. in persona del legale rapp.te p.t. a manlevare le convenute "Sa.Ma. S.n.c." corrente in (...), in persona del rap.te legale p.t. Sa.Lu., Sa.St., in proprio nella qualità di eredi di Sa.Ma., nonché, nella qualità di sode illimitatamente responsabili della "Sa.Ma. S.n.c." di quanto tenute a pagare in virtù del capo 1) del presente dispositivo;

 

3 - condanna in via solidale le parti convenute e la terza chiamata (nella misura di un mezzo ciascuna nei loro rapporti interni) al pagamento in favore dell'Inail delle spese di lite che si liquidano in Euro 1.529,00 per diritti, ed Euro 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, ponendo definitivamente a loro carico e nella porzione indicata le spese di CTU come già liquidate in atti.

 

Così deciso in Ivrea, il 10 giugno 2010.

 

Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2010.