Cassazione Penale, Sez. 3, 21 gennaio 2011, n. 1856 - Uscita di strada di un automezzo e responsabilità


 

 

 

Responsabilità del titolare di un'impresa di trasporti e dell'organizzatore di fatto dell'attività, per aver cagionato lesioni colpose gravi a C.S., dipendente della ditta con mansioni di autista.

 

Secondo l'ipotesi accusatoria gli imputati avevano consentito che il C. si ponesse alla guida di un autocarro, nonostante lo stesso presentasse difetti di funzionamento del cambio, difetti che erano stati portati a conoscenza del datore di lavoro, ed avessero disposto che il veicolo fosse caricato in eccedenza di circa 95 quintali rispetto al peso consentito, in violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 167, commi 1 e 2.

 

Per effetto di tali condotte accadeva che in un tratto in discesa dell'autostrada (OMISSIS), a causa del surriscaldamento dei freni e della impossibilità di rallentare la marcia, il C. era stato costretto a più riprese, per tentare di rallentare la corsa del veicolo, a dirigersi verso i muri delimitanti la carreggiata, finchè si verificava la fuoriuscita dell'automezzo dalla sede stradale ed il suo ribaltamento.

 

Assolti in primo grado, vengono successivamente condannati in appello. La Corte di Cassazione annullava però la sentenza di appello con rinvio: il giudice di rinvio ha affermato sostanzialmente che il veicolo risultava essere stato sottoposto a revisione periodica e non presentava anomalie dell'impianto frenante; che il C. aveva tenuto per lunghi tratti una velocità media superiore a quella consentita dal codice della strada con punte di 100 km/h; che il surriscaldamento dell'impianto frenante, causa principale del sinistro, si manifesta preventivamente al conducente in seguito al progressivo allungamento della corsa del pedale del freno; che il sovraccarico dell'automezzo non poteva avere avuto ripercussioni nè sul freno motore, nè sulla frizione.

 

In conclusione la sentenza ha affermato che il compendio delle prove raccolte non consente di individuare con ragionevole certezza un nesso causale tra il sinistro stradale ed i comportamenti ascritti agli imputati.

 

Ricorso in Cassazione - Inammissibile: con atto in data 18.11.2010, trasmesso a questa Corte il 24 novembre, le parti civili ricorrenti hanno infatti dichiarato di rinunciare al ricorso, facendo presente di essere state risarcite dei danni dalla Compagnia Assicurativa degli imputati.

   

Poichè la rinuncia all'impugnazione è stata determinata da carenza di interesse sopravvenuta delle parti ricorrenti, in conseguenza del soddisfacimento della loro pretesa risarcitoria, sussistono le condizioni per escludere la condanna delle stesse al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRUA Giuliana - Presidente

Dott. PETTI Ciro - Consigliere

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere

Dott. GENTILE Domenico - Consigliere

Dott. SARNO Giulio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

 

sul ricorso proposto da:

Avv. Lavelli Stefano, difensore di fiducia di C.D., n. a (OMISSIS);

e di L.R., n. a (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 19.1.2010 della Corte di Appello di Genova, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Massa, sezione distaccata di Pontremoli, in data 7.11.2003; Ca.Ma., n. a (OMISSIS);

e B.A., n. a (OMISSIS); vennero assolti dal reato di cui all'art. 113 c.p. e art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, perchè il fatto non sussiste.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi; Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. D'Angelo Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

 

 

Fatto

 

 

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova, giudicando a seguito di annullamento con rinvio dalla Corte di Cassazione, ha confermato la sentenza del Tribunale di Massa, sezione distaccata di Pontremoli, in data 7.11.2003, con la quale Ca.Ma. e B.A. erano stati assolti dal reato di cui all'art. 113 c.p. e art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, perchè il fatto non sussiste.

 

Gli imputati Ca. e B. erano stati tratti a giudizio in ordine a detto reato, a essi ascritto per avere, in cooperazione tra loro, la prima quale titolare dell'omonima impresa di trasporti ed il secondo quale organizzatore di fatto dell'attività, cagionato lesioni colpose gravi a C.S., dipendente della ditta con mansioni di autista.

 

Secondo l'ipotesi accusatoria gli imputati avevano consentito che il C. si ponesse alla guida di un autocarro, nonostante lo stesso presentasse difetti di funzionamento del cambio, difetti che erano stati portati a conoscenza del datore di lavoro, ed avessero disposto che il veicolo fosse caricato in eccedenza di circa 95 quintali rispetto al peso consentito, in violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 167, commi 1 e 2.

Per effetto di tali condotte accadeva che in un tratto in discesa dell'autostrada (OMISSIS), a causa del surriscaldamento dei freni e della impossibilità di rallentare la marcia, il C. era stato costretto a più riprese, per tentare di rallentare la corsa del veicolo, a dirigersi verso i muri delimitanti la carreggiata, finchè si verificava la fuoriuscita dell'automezzo dalla sede stradale ed il suo ribaltamento.

 

Con la sentenza di primo grado gli imputati erano stati assolti con la formula sopra indicata, sulla base di vane considerazioni, quali, in sintesi, la scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese dal C., la sostanziale efficienza dell'automezzo e soprattutto l'accertamento che il C. aveva superato i limiti di velocità, condotta che veniva ritenuta causa determinante dell'evento.

 

Con la sentenza di appello, annullata da questa Corte, la valutazione delle risultanze probatorie veniva ribaltata dai giudici di merito, che attribuivano le cause dell'incidente al difettoso funzionamento del sistema frenante, alla mancata esecuzione della manutenzione periodica ed al sovraccarico dell'autocarro.

 

Con la sentenza di annullamento di questa Corte si evidenziavano vizi di motivazione del provvedimento annullato, sia per la mancata indicazione delle risultanze processuali su cui era stato fondato l'accertamento di fatto, sia per il carattere generico e lacunoso delle argomentazioni afferenti a valutazioni di carattere tecnico- scientifico.

Con la sentenza impugnata il giudice di rinvio sulla base della perizia disposta in quella sede, effettuata peraltro sulle risultanze degli accertamenti a suo tempo eseguiti e del cronotachigrafo, ha affermato sostanzialmente che il veicolo risultava essere stato sottoposto a revisione periodica e non presentava anomalie dell'impianto frenante; che il C. aveva tenuto per lunghi tratti una velocità media superiore a quella consentita dal codice della strada con punte di 100 km/h; che il surriscaldamento dell'impianto frenante, causa principale del sinistro, si manifesta preventivamente al conducente in seguito al progressivo allungamento della corsa del pedale del freno; che il sovraccarico dell'automezzo non poteva avere avuto ripercussioni nè sul freno motore, nè sulla frizione.

 

In conclusione la sentenza ha affermato che il compendio delle prove raccolte non consente di individuare con ragionevole certezza un nesso causale tra il sinistro stradale ed i comportamenti ascritti agli imputati.

 

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore delle parti civili, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

 

 

Diritto

 

 

Con quindici mezzi di annullamento i ricorrenti denunciano:

1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 40 e 41 in relazione all'art. 590 c.p., art. 2087 c.c., D.Lgs n. 626 del 1994, artt. 4, 21, 22, 35, 36, 37 e 38.

Si osserva che l'incidente sì è verificato nel corso dell'espletamento della normale attività del C. di lavoratore dipendente, a causa del surriscaldamento dei freni, fenomeno accentuato dal sovraccarico dell'autocarro. E' stato inoltre accertato che era assente e comunque non funzionante il limitatore di velocità, che il mezzo era omologato come cassone ribaltabile trilaterale e non come portacontainer ed infine che il cambio era particolare, in quanto gli ingranaggi delle marce non erano sincronizzati ed il loro uso richiedeva uno specifico addestramento.

Si deduce, quindi, che di fronte alle rilevate inadempienze del datore di lavoro agli obblighi inerenti alla tutela della salute dei lavoratori di cui alle disposizioni citate, il nesso causale poteva ritenersi interrotto solo in presenza di una condotta abnorme ed imprevedibile del lavoratore, ipotesi che non è stata neppure presa in esame dai giudici di merito.

A proposito della condotta del C. si osserva che a suo carico è stata ritenuta una presunta imperizia nell'uso del cambio e negligenza quanto alla velocità del mezzo, fattori causali che sarebbero stati evitati se il C. fosse stato addestrato adeguatamente all'uso del detto cambio e l'autocarro fosse stato dotato di limitatore di velocità.

Sul punto si osserva che la responsabilità del datore di lavoro in tema di infortuni sul lavoro non è esclusa da comportamenti negligenti, imperiti ed imprudenti del lavoratore, seppure possano avere contribuito al verificarsi dell'evento, in quanto il nesso causale è interrotto, ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 2, solo in presenza di un comportamento assolutamente imprevedibile ed eccezionale.

 

2) Manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione alla ritenuta carenza di prove circa il nesso causale tra le condotte omissive del datore di lavoro ed il verificarsi dell'infortunio. Con il mezzo di annullamento si ripropongono le già esposte argomentazioni in ordine allo accertamento delle condotte omissive ascritte al datore di lavoro per dedurre la illogicità della esclusione del nesso causale tra le stesse e l'evento in assenza di un comportamento del lavoratore che possa qualificarsi abnorme ed imprevedibile.

 

3) Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 21, lett. a) e c), art. 22, commi 1 e 2, artt. 34, 37 e 38.

 

La violazione degli obblighi di informazione ed istruzione dei lavoratori relativamente all'uso delle attrezzature di cui alle disposizioni citate viene riferito dai ricorrenti alla necessità che gli imputati avessero sottoposto il C. ad uno specifico addestramento in ordine all'uso del cambio non sincronizzato e del freno motore, non essendo all'uopo sufficiente il mero accertamento del possesso della patente di guida, come ritenuto in sentenza.

 

4) Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 35 e 36, art. 2087 c.c. e art. 179 C.d.S..

La violazione delle citate norme in materia di sicurezza sul lavoro viene riferita alla mancata installazione sull'autocarro di un limitatore di velocità, che risultava prescritto dalla carta di circolazione dell'automezzo.

 

5) manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza in ordine alla valutazione delle omissioni denunciate con i precedenti mezzi di annullamento.

Si deduce che la sentenza ha illogicamente attribuito rilevanza alla imprudenza ed alla imperizia del C., in quanto la condotta della parte lesa doveva ritenersi conseguenza delle omissioni del datore di lavoro relativamente alla istallazione di un limitatore di velocità ed alla necessità che la parte lesa venisse adeguatamente addestrata in relazione alle specifiche caratteristiche dell'autocarro.

 

6) Violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 35 e 36 e art. 2087 c.c. in relazione alla omologazione dell'autocarro.

Si osserva che l'automezzo risultava essere allestito come cassone ribaltabile trilaterale, mentre veniva utilizzato come portacontainer e si deduce che la Corte territoriale ha omesso di valutare l'incidenza di detta violazione con riferimento agli obblighi del datore di lavoro di cui alle disposizioni citate.

 

7) Violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 35 e 36 e art. 2087 c.c. in relazione al sovraccarico dell'autocarro accertato in violazione dell'art. 167 C.d.S..

Si deduce che la Corte territoriale ha omesso di valutare la violazione della citata disposizione del C.d.S. e la sua incidenza causale sul surriscaldamento dei treni dell'autocarro, la cui responsabilità è da attribuirsi al datore di lavoro, con la conseguente violazione da parte di questi dei doveri inerenti alla sicurezza del lavoratore.

 

8) Violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali sono state accolte le conclusioni del perito in punto di accertamento della entità del sovraccarico dell'autocarro e non quelle del consulente di parte che lo aveva quantificato in misura maggiore.

 

9) Violazione di legge per manifesta illogicità della sentenza.

Con il motivo di gravame si ribadiscono le precedenti deduzioni in ordine alle già denunciate anomalie dell'automezzo e violazioni di obblighi in materia di sicurezza del lavoro da parte del datore di lavoro con la conseguente sussistenza del nesso di causalità con l'evento, che non è interrotto da un eventuale comportamento colposo del lavoratore.

 

10) Mancanza di motivazione ed erronea applicazione di legge in relazione alla valutazione della responsabilità di Ca.Ma. con riferimento al sovraccarico dell'autocarro ed alla sua incidenza causale sul surriscaldamento dei freni.

 

11) Carenza di motivazione in ordine alla omessa valutazione della deposizione del teste G., da cui doveva inferirsi la consapevolezza della Ca. in ordine al sovraccarico dell'autocarro.

 

12) Manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione del comportamento del C..

Si deduce che i giudici di merito hanno attribuito alla parte lesa una sorta di accettazione del rischio, ritenendo che questi, benchè fosse consapevole del sovraccarico dell'autocarro, aveva tenuto una condotta di guida imprudente. Sì osserva in contrario che è obbligo del datore di lavoro impedire eventuali imprudenze o negligenze del lavoratore, nel caso in esame impedendo che l'autocarro venisse sovraccaricato e dotandolo di limitatore di velocità.

Si aggiunge che i giudici di merito hanno svalutato le dichiarazioni della parte lesa senza adeguata motivazione.

 

13) Travisamento dei fatti ed illogicità della motivazione in ordine alla rilevanza attribuita alla revisione dell'autocarro per non essersi tenuto conto dell'uso improprio che veniva fatto dello stesso quale portacontainer.

 

14) Violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alla richiesta di risarcimento dei danni formulata dalle parti civile, che non ha formato oggetto di esame, malgrado la intervenuta prescrizione del reato.

 

15) Contraddittorietà del dispositivo della sentenza in relazione alla motivazione adottata.

Si osserva che il giudice di rinvio ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva assolto gli imputati perchè il fatto non sussiste, senza precisare il comma in base al quale è stata emessa la pronuncia; che dalla motivazione della sentenza impugnata emerge, però, che l'assoluzione degli imputati è stata confermata a causa di un quadro probatorio contraddittorio ed insufficiente.

Si denuncia quindi il contrasto di tale motivazione con un'assoluzione cosiddetta con formula piena, mentre doveva pronunciarsi l'assoluzione ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., formula che non avrebbe precluso la tutela degli interessi delle parti civili e che si chiede pronunciarsi.

 

Con atto in data 18.11.2010, trasmesso a questa Corte il 24 novembre, le parti civili ricorrenti hanno dichiarato di rinunciare al ricorso, facendo presente di essere state risarcite dei danni dalla Compagnia Assicurativa degli imputati.

  

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. d).

 

Poichè la rinuncia all'impugnazione è stata determinata da carenza di interesse sopravvenuta delle parti ricorrenti, in conseguenza del soddisfacimento della loro pretesa risarcitoria, sussistono le condizioni per escludere la condanna delle stesse al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria. (sez. un. 25.6.1997 n. 7, Chiappetta ed altro, RV 208166).

 

 

P.Q.M.

 

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.