Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 04 febbraio 2011, n. 4373 - Caduta dall'alto e responsabilità


 

 
Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio occorso ad un lavoratore intento alla pitturazione del soffitto dell'androne di un edificio: quest'ultimo infatti cadeva da una scala sulla quale si trovava ad altezza superiore a due metri, riportando lesioni letali.
All'imputato è stata mosso l'addebito di non aver predisposto impalcature o ponteggi idonei all'esecuzione del lavoro in sicurezza.
 
 
Ricorso in Cassazione - Inammissibile.
 
 
L'imputato censura la valutazione del materiale indiziario proposta dalla Corte d'appello rimarcando che nessuno ha assistito al fatto e che si versa in una situazione di incertezza che non consente di ritenere provata la responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio, come del resto ritenuto dal Tribunale.
 
 
La Corte afferma invece che diverse acquisizioni inducono in senso contrario...
 
"Pure palesemente immune da censure di alcun genere, ed aderente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte suprema, è la considerazione che il comportamento del lavoratore, anche quando si rivela imprudente, non costituisce un accadimento straordinario idoneo ad interrompere il nesso causale."
 
 
REPUBBLICA ITALIANA 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE QUARTA PENALE 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente 
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere 
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere 
Dott. IZZO Fausto - Consigliere 
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - rel. Consigliere 
ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 
 
 
sul ricorso proposto da:
1) P.M. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 2301/2009 CORTE APPELLO di BARI, del 19/04/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIALANELLA che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito per la parte civile l'avv. GIORGIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. CRISTIANI, per l'imputato che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
 
FattoDiritto
 
 
 
 
1. Il Tribunale di Bari, sezione distaccata di un Rutigliano, ha assolto l'imputato in epigrafe dal reato di omicidio colposo 2 commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di C.G..
2. A seguito di impugnazione del Procuratore della Repubblica e delle parti civili, la prima sentenza è stata riformata dalla Corte d'appello di Bari che ha affermato la responsabilità dell'imputato e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili.
L'imputazione attiene ad un infortunio sul lavoro. Secondo l'ipotesi accusatoria fatta propria dalla Corte d'appello, il lavoratore C.G. era intento alla pitturazione del soffitto dell'androne di un edificio quando cadeva da una scala sulla quale si trovava ad altezza superiore a due metri, riportando lesioni letali. All'imputato, nella veste di datore di lavoro, è stata mosso l'addebito di non aver predisposto impalcature o ponteggi idonei all'esecuzione del lavoro in sicurezza.
3. Ricorre per cassazione l'imputato censurando la valutazione del materiale indiziario proposta dalla Corte d'appello. Si rimarca che nessuno ha assistito al fatto e che si versa in una situazione di incertezza che non consente di ritenere provata la responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio, come del resto ritenuto dal Tribunale. L'unico dato certo è che la morte del lavoratore ha avuto luogo per rottura traumatica della milza compatibile con la caduta dall'alto; mentre non vi è prova certa che il lavoratore sia caduto dalla scala utilizzata per le pitturazioni ad un'altezza superiore ai 2 metri. Si è trascurato che un teste, l'architetto F., ha visto la vittima ed un altro lavoratore intenti ad operare con un'asta ed un pennello a rullo per preparare il fondo delle pareti dell'androne. Apoditticamente la Corte d'appello ha ritenuto che invece il lavoratore si trovasse sulla scala, traendo argomento dalla presenza di un buco all'altezza di circa 1,20 metri dal suolo, mentre tale dato è privo di significatività non potendo essere ragionevolmente ricondotto all'impatto della scala contro il muro attesa la conformazione a forbice della scala stessa. Neppure si può trarre argomento dal mancato rinvenimento dell'asta con rullo, posto che la scena del reato era stata già abbondantemente inquinata prima dell'arrivo dei carabinieri.
In ogni caso, poi, non vi è prova che il lavoratore si trovasse comunque ad un'altezza superiore ai 2 metri che avrebbe richiesto l'adozione di strutture diverse dalla semplice scala; tanto più che il teste T. ha riferito di pitturazione delle pareti e non del soffitto, come erroneamente ritenuto dal giudice di merito. Infine si lamenta che erroneamente si è trascurato di considerare che l'uso della scala in luogo dell'asta telescopica fu il frutto di una autonoma deliberazione del lavoratore.
4 Il ricorso è manifestamente infondato.
La pronunzia impugnata reca ampia ed appropriata motivazione basata su plurime e significative acquisizioni probatorie, immune da vizi logico - giuridici. Si assume che erroneamente il primo giudice ha ritenuto che non vi sia prova che l'incidente si sia verificato mentre il lavoratore si trovava sulla scala. In realtà diverse acquisizioni inducono in senso contrario. Rileva in primo luogo la circostanza che il teste T. ha visto il lavoratore intento a pitturare in una zona in cui il soffitto è alto 4,30 metri, facendo uso della scala. Lo stesso teste ha riferito di essere accorso dopo l'incidente riscontrando che il lavoratore era in terra sempre sotto la parte dell'androne con soffitto elevato e che in terra si trovavano pure la scala e vernice sparsa, il secchio ed il pennello.
La tesi della caduta nel corso di lavorazioni in elevazione è dimostrata altresì, secondo la Corte, da ulteriori coerenti indizi: un buco in una parete riconducibile alla caduta della scala; le tracce di colatura di pittura sulla parete opposta rispetto a quelle in cui il lavoratore operava, a dimostrazione della caduta della scala; la presenza di pittura fresca sulla scala e soprattutto sul soffitto; la gravità delle lesioni alla milza e ad un avambraccio.
D'altra parte, la tesi secondo cui la lavorazione fosse in corso utilizzando un'asta telescopica ed un rullo è confutata dalla circostanza che di tale strumento non è stata trovata traccia. Si è in presenza di articolata e coerente ponderazione del materiale indiziario che appare, come si è accennato, immune da vizi logici e che non può essere quindi sindacata nel merito nella presente sede di legittimità; mentre il ricorrente tenta di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione del merito.
Pure palesemente immune da censure di alcun genere, ed aderente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte suprema, è la considerazione che il comportamento del lavoratore, anche quando si rivela imprudente, non costituisce un accadimento straordinario idoneo ad interrompere il nesso causale.
Il gravame è quindi inammissibile.
Segue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria, non emergendo ragioni di esonero; nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili per questo giudizio di legittimità, cha appare congruo liquidare come in dispositivo.
 
 
P.Q.M.
 
 
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende; oltre alla rifusione delle spese delle parti civili che liquida in euro 3.500,00 oltre accessori come per legge per l'avv. Niccolò Dello Russo; euro 2.000,00 ciascuno oltre accessori come per legge per gli avv. La Forgia e Augusto.