Cassazione Penale, Sez. 4, 10 febbraio 2011, n. 5018 - Carichi movimentati a mezzo carroponte e infortunio


 

 

Responsabilità dell'amministratore unico e legale rappresentante della 3C C. S.r.l. - appaltatrice per conto di A.B.S. S.p.a., dell'attività di trasporto di materiale per infortunio ad autista alle proprie dipendenze.

 

Il Tribunale di Udine affermava la penale responsabilità di M.R. con riferimento: 

- al reato di cui all'art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1, 2, 3, perchè, in cooperazione colposa con P. e nelle rispettive qualità, il M. di amministratore unico e legale rappresentante della 3C C. S.r.l. - appaltatrice per conto di A.B.S. S.p.a., dell'attività di trasporto di materiale dallo stabilimento di (OMISSIS) - il P. quale socio accomandatario e legale rappresentante della 3M S. S.a.s., sub appaltatrice dell'attività di movimentazione dei materiali all'interno del predetto stabilimento - per colpa specifica, consistita nella violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 1 e art. 35, comma 4 ter lett. c), concorrevano a cagionare a P.E., autista alle dipendenze della 3C C. S.r.l., lesioni personali gravi consistite in trauma da schiacciamento alle cosce, da cui derivava un'inabilità al lavoro superiore a 40 giorni; in particolare il M. ed il P. omettevano di individuare, descrivere e portare a conoscenza dei rispettivi dipendenti (tra cui la Pe., autista alle dipendenze della 3C C. S.r.l. e L.C., gruista alle dipendenze della 3 M S. s.a.s.) le misure tecniche, organizzative e procedurali idonee ad eliminare o ridurre al minimo i rischi connessi alle operazioni di orientamento, posizionamento e sganciamento di carichi movimentati a mezzo carroponte, così non impedendo che, in occasione del caricamento su di un autocarro di alcuni pacchi laminati, il carico, movimentato dal L. a mezzo carroponte, colpisse la Pe., che si trovava sul pianale del camion per operare il posizionamento del carico e lo sganciamento dello stesso, così procurandole le lesioni sopra indicate, fatto aggravato perchè commesso in violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro;


- al reato previsto dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 4 ter lett. c), per non avere adottato, nell'uso di attrezzature di lavoro destinate a sollevare carichi, le misure organizzative idonee a garantire lo svolgimento nella massima sicurezza delle operazioni di sganciamento manuale dei carichi.

 

La Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma di quella di primo grado, dichiarava non doversi procedere in relazione al reato contravvenzionale contestato perchè estinto per prescrizione.

 

Ricorre in Cassazione - Inammissibile



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere
ha pronunciato la seguente:

Sentenza

  

 sul ricorso proposto da:
1) M.R., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 976/2007 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 24/06/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fraticelli Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore avv. Grasso Peroni Rosaria, del Foro di Roma che insiste per l'accoglimento del ricorso. 

 

 

 
Fatto

 

 

Con sentenza in data 18.04.2007 il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, affermava la penale responsabilità di M.R. con riferimento:

- al reato di cui all'art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1, 2, 3, perchè, in cooperazione colposa con tale P. e nelle rispettive qualità, il M. di amministratore unico e legale rappresentante della 3C C. S.r.l. - appaltatrice per conto di A.B.S. S.p.a., dell'attività di trasporto di materiale dallo stabilimento di (OMISSIS) - il P. quale socio accomandatario e legale rappresentante della 3M S. S.a.s., sub appaltatrice dell'attività di movimentazione dei materiali all'interno del predetto stabilimento - per colpa specifica, consistita nella violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 1 e art. 35, comma 4 ter lett. c), concorrevano a cagionare a P.E., autista alle dipendenze della 3C C. S.r.l., lesioni personali gravi consistite in trauma da schiacciamento alle cosce, da cui derivava un'inabilità al lavoro superiore a 40 giorni; in particolare il M. ed il P. omettevano di individuare, descrivere e portare a conoscenza dei rispettivi dipendenti (tra cui la Pe., autista alle dipendenze della 3C C. S.r.l. e L.C., gruista alle dipendenze della 3 M S. s.a.s.) le misure tecniche, organizzative e procedurali idonee ad eliminare o ridurre al minimo i rischi connessi alle operazioni di orientamento, posizionamento e sganciamento di carichi movimentati a mezzo carroponte, così non impedendo che, in occasione del caricamento su di un autocarro di alcuni pacchi laminati, il carico, movimentato dal L. a mezzo carroponte, colpisse la Pe., che si trovava sul pianale del camion per operare il posizionamento del carico e lo sganciamento dello stesso, così procurandole le lesioni sopra indicate, fatto aggravato perchè commesso in violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (commesso il (OMISSIS));


- al reato previsto dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 4 ter, lett. c), per non avere adottato, nell'uso di attrezzature di lavoro destinate a sollevare carichi, le misure organizzative idonee a garantire lo svolgimento nella massima sicurezza delle operazioni di sganciamento manuale dei carichi;  e, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, lo condannava alla pena di mesi due di reclusione per il reato sub A) e alla pena di Euro 2.000 di ammenda per quello sub B), oltre al pagamento delle spese processuali;nonchè al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio, nonchè alla rifusione delle spese di costituzione ed assistenza legale sostenute dalla parte civile ed al pagamento di una provvisionale pari ad Euro 3.000 in favore della medesima, concedendo altresì il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione alle condizioni di legge.


Con sentenza in data 24.6.2009 la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma di quella suddetta, dichiarava non doversi procedere in relazione al reato contravvenzionale contestato perchè estinto per prescrizione, eliminando la relativa pena dell'ammenda e confermando nel resto.
La Corte si richiamava alla sentenza di primo grado della quale riteneva corretta la ricostruzione dei fatti e dei principi giuridici applicabili, controdeducendo a tutte le censure mosse dall'appellante.
 

 

Avverso tale sentenza ricorrono per Cassazione i difensori di fiducia di M.R., deducendo i seguenti motivi.
 

 

La contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle risultanze istruttorie e segnatamente quanto ai documenti 3 e 4 prodotti dalla difesa e conseguente erronea interpretazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 e art. 35, comma 4 ter, lett. c).
Sulla scorta della documentazione suddetta si evinceva che tra la soc. 3C C. e l'ABS di Ca. vi era solo un contratto di trasporto e che in base ad essa la 3C e i suoi autisti non dovevano svolgere alcuna attività di carico e scarico della merce, avendo solo l'onere di verificare la stabilità della merce caricata sul mezzo.
Analogamente, dalle risultanze testimoniali, emergeva che la 3C C. aveva incaricato un proprio consulente dell'organizzazione di corsi per la formazione ed informazione del proprio personale: nel corso di uno di essi veniva fatto espresso divieto agli autisti persino di salire sul camion o rimanere in cabina durante le operazioni di carico e scarico. Inoltre, i testi avevano escluso che il M. avesse loro imposto di partecipare alle operazioni di carico: gli autisti avevano quindi assunto autonome iniziative, mai partecipate al datore di lavoro, e del pari autonoma negligente ed inaspettata era stata la manovra della Pe..

Rappresentano, in conclusione, che la colpa specifica siccome individuata dal capo d'imputazione (violazione degli artt. 4, comma 1, e art. 35, comma 4 ter, lett. C), non era in alcun modo riferibile al M., atteso che, come documentalmente provato, la società da lui rappresentata, la 3C C., doveva contrattualmente, e per "natura" dell'impresa, occuparsi del solo trasporto su strada, mentre la movimentazione della merce per il carico della stessa sul mezzo era stata espressamente affidata ad altra ditta specializzata, che la svolgeva in concreto. In ogni caso, risulterebbe all'evidenza interrotto il nesso di causalità tra la asserita omissione del datore di lavoro e l'evento lesivo, atteso che la condotta della dipendente infortunata era risultata assolutamente abnorme e imprevedibile, vuoi con riferimento alle precise direttive ed ai divieti impartiti e dati dal datore di lavoro, vuoi in quanto assolutamente estranea rispetto al procedimento di lavoro (mero trasporto su strada) tipico della 3C C. cui la stessa era stata demandata.

 

 

Diritto

 


Il reato sarebbe ad oggi estinto per prescrizione essendo decorso il termine di sette anni e sei mesi dal giorno del fatto (ex artt. 157 e 160 c.p. sia nel testo attuale che in quello previgente).

 

Senonchè, deve ritenersi l'inammissibilità del ricorso, dal momento che le censure mosse sono totalmente aspecifiche.

 

Infatti, poichè l'obbligo d'immediata declaratoria delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p. presuppone che il giudice del gravame sia stato effettivamente investito della cognizione del processo, non può essere dichiarata, in sede di legittimità, la prescrizione del reato, nel caso in cui il ricorso sia ritenuto affetto da inammissibilità originaria per mancanza di specificità o manifesta infondatezza dei motivi; invero, in tal caso, il gravame non è idoneo ad introdurre un nuovo grado di giudizio (Sez. 5, 4.6.1999, n. 10379, Rv. 214190; Sez. Un. 22.11.2000 n. 32, Rv. 217266).

Invero, è palese la sostanziale aspecificità dei motivi addotti essendo state riproposte in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.
Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191, Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
Nel caso di specie, oltre a ribadirsi la congruità e correttezza della motivazione dell'impugnata sentenza che pure ha fornito adeguata spiegazione in relazione alle censure relative all'interpretazione della documentazione prodotta dalla difesa (e richiamato talune deposizioni testimoniali dalle quali si evinceva la contraddittoria condotta dell'imputato che aveva addirittura sollecitato i dipendenti "a dare una mano quando possibile" e ciò anche dopo la riunione antinfortunistica del febbraio 2003), si osserva che il ricorrente si è limitato a ribadire, che "le conclusioni alle quali sono giunti il Giudice del Tribunale di Udine, prima, e il Giudice d'Appello di Trieste, poi, non possono essere condivise" ricollegando il convincimento dei giudici di merito ad una pretesamente errata interpretazione della documentazione prodotta.
 

Ma in tal guisa si manifesta univocamente l'insistente tentativo del ricorrente d'introdurre una diversa interpretazione dei dati probatori acquisiti, laddove è noto che la cognizione dei vizi della motivazione non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove e che la novella dell'art. 606 c.p.p. ad opera della L. n. 46 del 2006, con la previsione che il vizio può essere dedotto quando risulti "da altri atti del processo specificamente indicati" (cosa nemmeno integrata nel caso in esame, in violazione del principio di c.d. "autosufficienza del ricorso" applicabile anche in sede penale) non fa venire meno il limite della contestualità, espresso dalla necessità che il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato, e quindi va letta con riferimento esclusivo agli atti dai quali derivi un obbligo di pronuncia che si assuma violato dal giudice del merito (Sez. 5, 9.5.2006, n. 19388, Rv. 234159).

 

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7 - 13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.