Cassazione Penale, Sez. 4, 16 marzo 2011, n. 10652 - Pulizia e manutenzione di un "banco oscillante"


 

 

 

 

Responsabilità del direttore del servizio manutenzione meccanica acciaieria e servizi generali della "A.A. s.p.a.", delegato per gli aspetti della sicurezza ed igiene del lavoro, riconosciuto colpevole del delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in pregiudizio di B.F..

Dell'incidente sono stati chiamati a rispondere, separatamente, anche B.G., direttore generale tecnico della società, e G.M., collega della vittima.
 

L'incidente, secondo quanto è stato ricostruito dal giudice del merito, si è verificato mentre il B., capomacchina presso lo stabilimento di (OMISSIS) della "A.A.", era impegnato, con il collega G.M., nei lavori di pulizia e manutenzione di un "banco oscillante" dell'impianto di colata continua, del peso di circa 3.850 kg e delle dimensioni di m. 3 x cm. 90 x cm. 90. Il banco, che aveva la forma di un parallelepipedo, era stato appoggiato sulle forche di un carrello elevatore manovrato dal G. e trasportato all'interno di un'apposita area per essere sottoposto a lavaggio, al quale doveva provvedere il B. con una lancia a getto d'acqua pressurizzata. L'infortunio si era verificato proprio mentre la vittima era intenta alle operazioni di lavaggio, nel corso delle quali, sollevato il banco, su richiesta dell'operatore, ad un'altezza di circa un metro per consentire la pulizia della parte inferiore del manufatto, questo era scivolato via dalle forche ed era piombato addosso al B. che ne era rimasto schiacciato.

 

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

 

La Corte afferma che poco rileva, ai fini che oggi interessano, "che il manufatto in questione sia scivolato durante o poco dopo il termine delle operazioni di lavaggio; ciò che conta è che ciò sia avvenuto all'interno del locale destinato al lavaggio ed in occasione dello stesso. Ciò che conta è che l'infortunio si è certamente verificato a causa:
-delle errate e pericolose modalità con le quali si provvedeva al lavaggio dei banchi;
-della inadeguatezza del locale a ciò destinato, angusto al punto da non consentire, in caso di pericolo, possibilità di fuga;
-dell'errato posizionamento del banco, non appoggiato su piani fissi, bensì sostenuto dalle forche di un carrello elevatore, e quindi in condizioni di instabilità;
-della presenza, nei pressi del carrello e del banco, sollevato da terra per circa un metro, dell'operatore incaricato del lavaggio il quale, per eseguire il lavoro affidatogli, doveva necessariamente avvicinarsi pericolosamente al pesante manufatto, precariamente sostenuto dal carrello.
 

Del tutto condivisibili sono, quindi, le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del merito, i quali hanno giustamente osservato che l'infortunio era stato determinato dal mancato rispetto, nelle operazioni di lavaggio, di elementari regole di prudenza e diligenza" ...

 

Ancora si sottolinea che: "una prassi operativa come quella sopra descritta, così rischiosa e diffusa, non poteva non essere nota all'imputato, costantemente presente in azienda e punto di riferimento all'interno della stessa, ma anche, che la situazione di pericolo connessa con le richiamate modalità di lavaggio dei banchi era stata allo stesso segnalata, persino per iscritto, dai rappresentanti dei lavoratori. Mentre non v'è dubbio che proprio all'imputato, in ragione della qualifica ricoperta, spettava anche di vigilare adeguatamente affinchè fossero realmente rispettate le procedure di sicurezza e le relative direttive, senza che possano costituire un alibi le dimensioni dell'azienda o il numero dei lavoratori impiegati posto che, attraverso una corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l'imputato ben avrebbe potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del rispetto, da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme.
Legittimamente, dunque, ed in piena coerenza rispetto alle emergenze probatorie in atti, la corte territoriale ha ribadito la responsabilità dell'imputato, avendo ritenuto la sussistenza dei profili di colpa individuati a carico dello stesso."


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

 

 sul ricorso proposto da:
1) S.D. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 510/2008 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 20/04/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'attenuante del risarcimento del danno; rigetto nel resto;
Udito il difensore Avv. Frattini e Marmitrizio che chiedono l'accoglimento del ricorso. 

 

 

FattoDiritto

 

 

1- Con sentenza del Tribunale di Brescia, del 20 settembre 2007, S.D., in qualità di direttore del servizio manutenzione meccanica acciaieria e servizi generali della "A.A. s.p.a.", delegato per gli aspetti della sicurezza ed igiene del lavoro, è stato riconosciuto colpevole del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di B.F., nonchè della violazione di varie norme antinfortunistiche e lo ha condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sull'aggravante contestata e ritenuta la continuazione tra i reati, alla pena di un anno e cinque mesi di reclusione, concedendo i doppi benefici.

Dell'incidente sono stati chiamati a rispondere, separatamente, anche B.G., direttore generale tecnico della società, e G.M., collega della vittima.
 

L'incidente, secondo quanto è stato ricostruito dal giudice del merito, si è verificato mentre il B., capomacchina presso lo stabilimento di (OMISSIS) della "A.A.", era impegnato, con il collega G.M., nei lavori di pulizia e manutenzione di un "banco oscillante" dell'impianto di colata continua, del peso di circa 3.850 kg e delle dimensioni di m. 3 x cm. 90 x cm. 90. Il banco, che aveva la forma di un parallelepipedo, era stato appoggiato sulle forche di un carrello elevatore manovrato dal G. e trasportato all'interno di un'apposita area per essere sottoposto a lavaggio, al quale doveva provvedere il B. con una lancia a getto d'acqua pressurizzata. L'infortunio si era verificato proprio mentre la vittima era intenta alle operazioni di lavaggio, nel corso delle quali, sollevato il banco, su richiesta dell'operatore, ad un'altezza di circa un metro per consentire la pulizia della parte inferiore del manufatto, questo era scivolato via dalle forche ed era piombato addosso al B. che ne era rimasto schiacciato.
 

Il tribunale è pervenuto all'affermazione di responsabilità dell'imputato, rilevando, anzitutto, che costui aveva tollerato che le operazioni di lavaggio si svolgessero all'interno di un'area angusta, di pochi metri quadri, che non consentiva possibilità di fuga in caso d'incidente, e prima che fosse stata preventivamente assicurata la stabilizzazione del banco oscillante, di notevoli dimensioni e peso, appoggiandolo ad elementi fissi, piuttosto che lasciarlo pericolosamente sospeso per aria, in condizioni di instabilità. Dette operazioni, quindi, non si erano svolte, come sarebbe stato necessario e doveroso, in condizioni di sicurezza, bensì di evidente pericolo per l'operatore, costretto a portarsi nei pressi dell'ingombrante manufatto, precariamente sostenuto.

Ulteriori profili di colpa, pur addebitabili al datore di lavoro, sono stati individuati nella mancata specifica valutazione dei rischi connessi con le operazioni di lavaggio, nella mancanza di specifiche informazioni sulla più corretta procedura da seguire e nello stesso posizionamento delle forche che, proprio per evitare il rischio di caduta del carico, avrebbero dovuto essere totalmente brandeggiate all'indietro.
In punto di nesso causale, il giudicante ha rilevato come l'evento fosse stato determinato dalla violazione, da parte dell'imputato, delle norme cautelari e di quelle generali di diligenza e prudenza; in particolare, ha sostenuto il primo giudice, se fosse stata adeguatamente curata l'organizzazione delle operazioni di lavaggio, prevedendo che esse si svolgessero in luogo e con mezzi più adatti, se il banco fosse stato ancorato a terra, evitandone le pericolose oscillazioni, se fosse stata impedita la presenza del lavoratore nei pressi di un instabile e pesante carico, l'incidente non si sarebbe verificato; ciò anche nel caso in cui vi fossero stati errori di comportamento o imprudenze da parte dei due lavoratori coinvolti nell'operazione.
Quanto alla riconducibilità delle condotte contestate, e dunque, dell'evento, all'imputato, è stato segnalato che costui non solo era il direttore del servizio manutenzione meccanica e servizi generali, responsabile del reparto colata continua, ma era in azienda il tecnico di riferimento, costantemente presente. Posizione e presenza che avrebbero dovuto consentirgli di accorgersi dell'assenza di puntuali disposizioni inerenti le procedure di lavaggio e del ricorso a prassi pericolose; la situazione di pericolo, peraltro, ha ancora rilevato il giudice del merito, era stata segnalata all'imputato dai rappresentanti dei lavoratori.

 


Su appello proposto dal S., la Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 20 aprile 2010, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine alle contravvenzioni ascritte perchè estinte per prescrizione e ne ha confermato la responsabilità, quanto al delitto di omicidio colposo, rideterminando la pena in anni uno e mesi quattro di reclusione.
I giudici del gravame hanno, quindi, ribadito che la morte del B. doveva attribuirsi alla condotta dell'imputato, avendo quindi respinto le tesi difensive con le quali l'appellante aveva sostenuto:

a) che l'infortunio si era verificato non durante le operazioni di lavaggio del banco bensì al termine delle stesse, mentre il carrello elevatore si stava allontanando dall'area a ciò adibita;

b) che esso era stato determinato da condotte non riconducibili al S., e cioè, dalla presenza della vittima nella zona in cui il carrello stava operando, dal fatto che le forche del carrello non erano state tenute abbassate, ma elevate a circa un metro da terra e che le stesse non fossero state totalmente inclinate all'indietro;

c) che le predette operazioni erano state eseguite in violazione di precise direttive emanate dall'azienda con riguardo alla posizione delle forche ed al divieto di presenze di personale nelle zone in cui operavano i carrelli;

d) che non risultava in nessun modo che l'imputato fosse a conoscenza della mancata osservanza, da parte di dipendenti, di dette direttive.
 

 

2- Avverso tale decisione propone ricorso, per il tramite del difensore, il S., che deduce:


1) Inosservanza dell'art. 192 c.p.p., comma 3, per travisamento dei fatti e manifesta illogicità della motivazione. Ripropone, in proposito, il ricorrente la tesi secondo cui l'incidente si era verificato dopo che le operazioni di lavaggio erano terminate ed il carrello aveva iniziato ad arretrare per portarsi fuori dall'area a ciò destinata e rileva come il giudice del gravame abbia fondato la propria diversa opinione basandosi sulle dichiarazioni di G. M., manovratore del carrello; dichiarazioni che, provenendo da soggetto imputato dello stesso reato in separato procedimento penale, potrebbero avere efficacia probatoria solo se confermate da altri elementi, ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3. Lo stesso giudice, osserva ancora il ricorrente, ha richiamato, a conferma della propria tesi, la ricostruzione dei fatti proposta dai consulenti del PM, tuttavia erroneamente interpretate.
Quanto alle cause dell'infortunio, si ripropongono nel ricorso le considerazioni relative all'anomala presenza della vittima nei pressi della zona di operazione del carrello ed all'errata posizione delle forche e si rinnovano i richiami alle precise direttive impartite dall'azienda e non rispettate dai lavoratori coinvolti nell'incidente;
 

2) Inosservanza dell'art. 192 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e mancanza di motivazione in relazione alle modalità usuali dell'operazione di lavaggio dei banchi oscillanti.
Lamenta a tale proposito il ricorrente che il giudice del gravame abbia dato credito alle dichiarazioni del G., prive di conferme, ed abbia in termini impropri interpretato le affermazioni di Z.G., trascurando o ritenendo inattendibili le testimonianze di altri lavoratori;
 

3) Erronea applicazione degli artt. 43 e 589 c.p., travisamento del fatto e manifesta illogicità della motivazione, inosservanza dell'art. 533 c.p.p., comma 1. Lamenta il ricorrente che la consapevolezza dell'imputato circa le anomale modalità con cui si svolgevano le operazioni di lavaggio, il giudice del gravame abbia dedotto da semplici illazioni, basate sulla costante presenza del S. in azienda, trascurando le molteplici direttive che erano state impartite.
 

4) Inosservanza dell'art. 62 c.p., n. 6 in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno;
 

5) Mancanza di motivazione circa il richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata.
 

 

2- Il ricorso è infondato.

 


In realtà, del tutto insussistenti sono i vizi denunciati dal ricorrente, peraltro generalmente ripetitivi di tematiche già sottoposte, con i motivi d'appello, all'esame della corte territoriale e da questa puntualmente esaminate e confutate. Detta corte, invero, in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti, ha legittimamente ribadito la responsabilità dell'imputato, adeguatamente e coerentemente motivando le ragioni del proprio dissenso rispetto alle doglianze prospettate nell'atto d'appello.
 

1) In particolare, con riguardo al tema della responsabilità, i giudici del gravame hanno ribadito che la tesi difensiva, secondo la quale l'infortunio si era verificato non durante il lavaggio del banco bensì, a lavaggio terminato, durante il trasporto dello stesso verso il punto di provenienza, era smentita da precise acquisizioni probatorie, rappresentate, anzitutto, dalle dichiarazioni del G., cioè dell'operaio che manovrava, al momento dell'incidente, il carrello, il quale ha ripetutamente sostenuto che i freni del mezzo erano stati bloccati fin dall'inizio delle operazioni di pulizia, e tali erano rimasti, di guisa che doveva escludersi che il carrello si fosse mosso. Dichiarazioni che i giudici del merito hanno ritenuto attendibili - malgrado i dubbi espressi dalla difesa dell'imputato in ragione della posizione del G. di imputato dello stesso reato - perchè riscontrate dalle foto in atti che, scattate subito dopo l'incidente, pongono le forche del carrello proprio sulla griglia di scarico dell'acqua.
Circostanza nella quale i giudici del gravame hanno legittimamente ritenuto di rilevare significativa conferma delle dichiarazioni del G. e, al contempo, chiara smentita della tesi difensiva sopra richiamata, essendo evidente che, se le forche del carrello si trovavano ancora sulla griglia dello scarico, cioè sul luogo ove si svolgevano le operazioni di lavaggio, evidentemente l'incidente non si era potuto verificare durante il trasporto del banco, ancora non iniziato.
Nè tale conclusione potrebbe esser messa in dubbio dal fatto che, secondo i consulenti del PM, la posizione del carrello, all'atto dello scivolamento del banco, doveva porsi "un pò più indietro, per la logica dello scivolamento a caduta di questo elemento, proprio del ribaltamento" - affermazione richiamata dall'imputato a dimostrazione del fatto che l'infortunio si era verificato durante il trasporto del banco. Con tale affermazione, invero, i consulenti si sono limitati ad ipotizzare un posizionamento leggermente all'indietro del carrello, ma pur sempre all'interno dell'area destinata al lavaggio, senza fare alcun riferimento ad uno spostamento significativo, rispetto ai rilievi eseguiti nell'immediatezza del fatto, della posizione delle forche sulla griglia dello scarico. Ancor meno da quell'affermazione può dedursi - come vorrebbe l'imputato - che lo scivolamento era avvenuto mentre il carrello veniva fatto arretrare per riportare il banco alla sua normale posizione.

Gli stessi consulenti, del resto, hanno fatto chiaro riferimento ad una superficie sostanzialmente piana, sulla quale il carrello stava "stazionando", cioè stava sostanzialmente fermo.
Peraltro, osserva la Corte che, ove anche volesse ammettersi che il banco oscillante fosse ribaltato mentre, terminato il lavaggio, si stava provvedendo a riportarlo alla sua posizione originaria, ciò non consentirebbe all'imputato di eludere le proprie responsabilità, correlate alle errate e pericolose modalità di esecuzione delle operazioni di lavaggio, all'inadatto luogo ove esse venivano eseguite, agli inidonei strumenti utilizzati, all'inopportuna e rischiosa presenza del B. nella zona in cui operava il carrello.
Poco rileva, cioè, ai fini che oggi interessano, che il manufatto in questione sia scivolato durante o poco dopo il termine delle operazioni di lavaggio; ciò che conta è che ciò sia avvenuto all'interno del locale destinato al lavaggio ed in occasione dello stesso. Ciò che conta è che l'infortunio si è certamente verificato a causa:
-delle errate e pericolose modalità con le quali si provvedeva al lavaggio dei banchi;
-della inadeguatezza del locale a ciò destinato, angusto al punto da non consentire, in caso di pericolo, possibilità di fuga;
-dell'errato posizionamento del banco, non appoggiato su piani fissi, bensì sostenuto dalle forche di un carrello elevatore, e quindi in condizioni di instabilità;
-della presenza, nei pressi del carrello e del banco, sollevato da terra per circa un metro, dell'operatore incaricato del lavaggio il quale, per eseguire il lavoro affidatogli, doveva necessariamente avvicinarsi pericolosamente al pesante manufatto, precariamente sostenuto dal carrello.
 

Del tutto condivisibili sono, quindi, le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del merito, i quali hanno giustamente osservato che l'infortunio era stato determinato dal mancato rispetto, nelle operazioni di lavaggio, di elementari regole di prudenza e diligenza, che avrebbero imposto:
 

a) di eseguire dette operazioni, riguardanti un manufatto tanto ingombrante e pesante, in condizioni di assoluta sicurezza, e, dunque, non tenendolo sospeso pericolosamente per aria, bensì appoggiato su elementi fissi, poco alti da terra;
 

b) di impedire, al di là dei teorici divieti richiamati dal ricorrente, ignorati da una prassi sconsiderata, che l'addetto al lavaggio si ponesse pericolosamente vicino al carrello che sosteneva il banco, essendo tale vicinanza, oltre che formalmente vietata, chiaramente pericolosa per la prevedibile possibilità di un ribaltamento del carico, portato su e giù per consentire il lavaggio di ogni parte di esso, e per l'assenza di vie di fuga.
Inutilmente, quindi, il ricorrente si dilunga in considerazioni sulle cause dell'infortunio, sulle direttive fomite dall'azienda in ordine all'uso dei carrelli elevatori, sul divieto di stazionamento nella zona di operazione dello stesso, sulle modalità di esecuzione dei lavaggi, sull'attendibilità dei soggetti esaminati, trattandosi di argomenti ampiamente approfonditi dai giudici del merito, che sono pervenuti a conclusioni del tutto coerenti ed immuni da vizi logico- giuridici, alle quali il ricorrente contrappone censure chiaramente infondate ovvero considerazioni in punto di fatto, non consentite in sede di legittimità.
 

2) Anche il tema della consapevolezza dell'imputato delle modalità con le quali si eseguiva la pulizia dei banchi è stato adeguatamente esaminato dalla corte territoriale che ha rilevato, non solo che una prassi operativa come quella sopra descritta, così rischiosa e diffusa, non poteva non essere nota all'imputato, costantemente presente in azienda e punto di riferimento all'interno della stessa, ma anche, che la situazione di pericolo connessa con le richiamate modalità di lavaggio dei banchi era stata allo stesso segnalata, persino per iscritto, dai rappresentanti dei lavoratori. Mentre non v'è dubbio che proprio all'imputato, in ragione della qualifica ricoperta, spettava anche di vigilare adeguatamente affinchè fossero realmente rispettate le procedure di sicurezza e le relative direttive, senza che possano costituire un alibi le dimensioni dell'azienda o il numero dei lavoratori impiegati posto che, attraverso una corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l'imputato ben avrebbe potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del rispetto, da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme.
Legittimamente, dunque, ed in piena coerenza rispetto alle emergenze probatorie in atti, la corte territoriale ha ribadito la responsabilità dell'imputato, avendo ritenuto la sussistenza dei profili di colpa individuati a carico dello stesso.
 

 

3) Ugualmente infondate sono le censure relative al trattamento sanzionatorio.


a) Quanto all'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, rileva la Corte che giustamente il giudice del gravame ne ha escluso il riconoscimento all'imputato, essendo emerso che al risarcimento aveva provveduto una società assicuratrice in base ad una polizza non riconducibile all'imputato.
A tale proposito, questa Corte (Cass. n. 39065/04) ha affermato che:
"Il risarcimento del danno effettuato dall'ente assicuratore, prima del giudizio per il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica, contestato al dipendente di un'azienda, non vale ad integrare la circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 in quanto l'intervento risarcitorio non è riferibile nè, comunque, riconducibie all'imputato, ma all'iniziativa del datore di lavoro che ha stipulato il contratto assicurativo" (Nella motivazione si è precisato che non è pertinente, in relazione al caso di specie, la sentenza interpretativa di rigetto n. 138 del 23 aprile 1998 della Corte Costituzionale con la quale è stata ritenuta applicabile la suddetta circostanza attenuante nell'ipotesi di risarcimento effettuato dalla compagnia assicuratrice per responsabilità civile in materia di circolazione stradale).
 

b) Quanto al giudizio di comparazione, richiesto dall'imputato in termini di prevalenza rispetto all'aggravante contestata, deve rilevarsi che la corte territoriale, seppur non ha formalmente richiamato la specifica richiesta contenuta nei motivi d'appello, l'ha, tuttavia, certamente esaminata e respinta, motivando, sinteticamente, ma in maniera sufficiente, laddove ha ritenuto infondate le doglianze relative al trattamento sanzionatorio ed ha giudicato equa e proporzionata ai fatti ed alla personalità dell'imputato la pena inflitta dal primo giudice; giustamente ridotta solo in vista dell'intervenuta prescrizione dei reati contravvenzionali contestati.


Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
 

 


P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2011