Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 marzo 2011, n. 6760 -





REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella - Consigliere

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro - rel. Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

P. R., P. A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell'avvocato FELSANI MARIA CECILIA, rappresentati e difesi dall'avvocato STORACE ISIDE, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

INPS, ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA., VIA DELLA FREZZA 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, RICCIO ALESSANDRO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 341/2008 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 15/05/2008; R.G.N. 584/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/02/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l'Avvocato STORACE ISIDE;

udito l'Avvocato CORETTI ANTONIETTA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

Fatto

 

Con distinti ricorsi, successivamente riuniti, al Tribunale, giudice del lavoro, di Savona, regolarmente notificati, P. A. e P. V., premesso di aver lavorato per vari e distinti periodi presso la O. s.p.a. di (Omissis), e premesso che in ragione dell'attività svolta erano stati esposti alla inalazione di fibre di amianto per un periodo comunque superiore a dieci anni, chiedevano che venisse dichiarato il loro diritto alla rivalutazione dei contributi versati, con coefficiente 1,5, ai sensi della Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8.

Procedutosi all'istruzione della causa mediante l'assunzione di prove documentali e testimoniali nonchè mediante l'effettuazione di consulenza d'ufficio tecnico - ambientale affidata ai consulenti B., Ve. e V., i quali avevano confermato i risultati dell'indagine già effettuata in altro analogo procedimento su incarico della Corte d'appello di Genova assumendo - previa integrazione dell'analisi con gli specifici dati relativi alle concrete lavorazioni svolte dai ricorrenti - che l'esposizione ad amianto degli stessi durante la loro attività lavorativa svolta presso la O. di (Omissis) era superiore a quella prevista dal Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277, articoli 24 e 31, il Tribunale adito accoglieva le domande proposte dai lavoratori suddetti e condannava l'Inps alla rivalutazione dell'anzianità contributiva Legge n. 257 del 1992, ex articolo 13, comma 8, mediante l'applicazione del coefficiente dell'1,5 per i periodi espressamente indicati.



Avverso tale sentenza proponeva appello l'Inps lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte dalle controparti con i ricorsi introduttivi.
 


La Corte di Appello di Genova disponeva nuova consulenza tecnico - ambientale, sullo stesso quesito già formulato dal giudice di primo grado, affidandone l'incarico a diverso consulente, l'ing. Ga. , il quale concludeva che nessuno dei lavoratori interessati era stato esposto a rischio di inalazione di fibre di amianto in concentrazione superiore alla soglia fissata dal predetto Decreto Legislativo n. 277 del 1991, articoli 24 e 31. Di conseguenza la Corte d'appello, aderendo alle conclusioni del nuovo CTU, con sentenza in data 28.3/15.5.2008, accoglieva il gravame rigettando la domanda originariamente proposta dai ricorrenti.

Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione Pa. An. e Pr. Ro. , nella qualità di erede di Pa. Vi. , deceduto nelle more dell'espletamento del giudizio, con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso l'Istituto intimato.

Lo stesso ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

 

 

Diritto
 

 


Col primo motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5); omessa motivazione in punto di rinnovo della CTU già esperita in primo grado.

In particolare i ricorrenti, pur rilevando che al giudice di secondo grado non era preclusa la facoltà di disporre ex officio il rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio già effettuata in primo grado, quale mezzo di acquisizione degli elementi di cognizione necessari ai fini del decidere, evidenziavano che tuttavia, in assenza di indicazioni di fatto o dati nuovi rispetto a quelli già valutati nella prima consulenza, ovvero in assenza di vizi o gravi lacune dell'indagine peritale già effettuata, la facoltà suddetta trovava un limite nel principio di unità della prova.

Per di più nella fattispecie in esame la duplicazione dell'indagine si appalesava superflua avendo i consulenti nominati nel giudizio di primo grado già fornito completa ed esauriente risposta ai quesiti formulati (e reiterati nell'ordinanza del giudice di secondo grado) circa l'entità della esposizione ad amianto subita dai lavoratori interessati. E parimenti completa ed esaustiva si appalesava la precedente indagine peritale in ordine all'ambiente di lavoro, risultando tra l'altro le conclusioni di detta indagine riconosciute e recepite dalla (Omissis).

Pertanto il rinnovo della consulenza d'ufficio disposta dai giudici di appello non trovava giustificazione, essendo priva di qualsiasi motivazione, come pure prive di motivazione erano le diverse conclusioni cui era pervenuto il consulente nominato nel secondo grado del giudizio partendo dalla identica situazione oggettiva già esaminata dai primi consulenti.

La ricorrente P. R. produceva altresì certificazione Inail attestante l'esposizione all'amianto del proprio dante causa P. V., comunicata successivamente alla sentenza di secondo grado.

 

Il motivo non è fondato.
 


Decisiva, al riguardo, è la considerazione che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, bensì (come riconoscono gli stessi ricorrenti) un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice, al quale spetta decidere sulla esaustività degli accertamenti già compiuti e valutare l'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, ovvero di sentire a chiarimenti il consulente, nonchè di procedere alla rinnovazione delle indagini con la nomina di altri consulenti; e l'esercizio di tale potere (così come il suo mancato esercizio) non può essere sindacato in sede di legittimità sotto il profilo del difetto di motivazione, salvo che l'esigenza di procedere ad una nuova consulenza (o di chiamare il consulente a chiarimenti o, ancora, di effettuare accertamenti suppletivi o integrativi) sia stata segnalata dalle parti e il giudice non ritenga di accogliere la relativa istanza (vedi Cass. nn. 17906 del 2003, n. 5777 del 1998, 8611 del 1995, 10972 del 1994).

In ordine alla produzione della ricorrente P. R., rileva il Collegio la inammissibilità di tale produzione ai sensi dell'articolo 372 c.p.c., comma 1.

 

Col secondo motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5); difetto di motivazione in ordine alla contestata inattendibilità della CTU.

In particolare rilevano i ricorrenti la nullità della consulenza d'ufficio effettuata in grado d'appello stante la inattendibilità delle conclusioni formulate dal CTU sulla base di un evidente pregiudizio manifestato prima e nel corso delle operazioni peritali; e rilevano altresì che le dedotte violazioni erano state tempestivamente eccepite dalla difesa di parte ricorrente (per come risultava dal verbale di udienza del 28.3.2008), peraltro senza esito.

Ed invero, da una lettera del consulente di parte ricorrente (datata 9.7.2007 e letta in udienza), era emerso che il CTU, nel corso delle operazioni peritali relative allo stabilimento O., aveva manifestato informalmente ai consulenti di parte la propria "preoccupazione" in ordine alle conseguenze di ordine politico - economico derivanti da un eccessivo numero di riconoscimenti dei benefici previdenziali nei confronti dei lavoratori che asserivano l'avvenuta esposizione all'amianto. Di conseguenza doveva ritenersi non più assicurata, siccome rilevato alla predetta udienza del 28.3.2008, la posizione di imparzialità del consulente rispetto alle valutazioni affidategli dal giudice.

Rilevano altresì i ricorrenti che il giudice d'appello, in presenza di un netto contrasto tra le due consulenze tecniche, di primo e di secondo grado, avrebbe dovuto fornire adeguata, logica ed esauriente motivazione del suo convincimento, e ciò tanto più laddove le più restrittive conclusioni formulate dal secondo perito erano state sottoposte a specifiche critiche da parte della difesa dei lavoratori interessati.



Anche questo motivo è infondato.
 


Non può, invero, dubitarsi della imparzialità del CTU, rispetto alle valutazioni da compiere (e poi espresse) con riferimento alla posizione lavorativa degli odierni ricorrenti, per il solo fatto che l'ausiliare tecnico avesse in qualche modo paventato le conseguenze di ordine politico-economico derivanti dal numero di domande (all'epoca) pendenti per il riconoscimento dei benefici previdenziali riconosciuti dalla Legge n. 257 del 1992 ai lavoratori esposti all'amianto. è irrilevante, quindi, che la sentenza impugnata manchi di una espressa motivazione sul punto.

Peraltro, la confutazione delle riserve in proposito avanzate dagli (allora) appellati è implicita nel giudizio di piena attendibilità ed esaustività dell'elaborato tecnico che la Corte di merito esprime e giustifica riferendo della correttezza della metodica seguita dal proprio ausiliare - determinazione del tempo e della consistenza della esposizione all'amianto effettuata, in relazione alle mansioni svolte da ciascuno dei lavoratori, con l'utilizzo dei criteri, scientificamente validi, apprestati, per la valutazione del rischio in attività similari, dalla banca dati (Omissis), generalmente accreditata - e concludendo nel senso della non percorribilità dell'ipotesi di una valutazione del rischio maggiore di quella indicata dal CTU, perchè non suffragata in causa da oggettivi elementi di riscontro.

A fronte di un siffatto accertamento, frutto della complessiva valutazione del materiale istruttorio, diventa irrilevante la circostanza che a colleghi di lavoro dei ricorrenti, operanti nello stesso ambiente e con le stesse mansioni, sarebbe stata riconosciuta l'esposizione a rischio, posto che dall'avvenuta esposizione di un lavoratore non è lecito inferire, in assenza di ulteriori precisi elementi di prova, il verificarsi di un'identica esposizione per un altro lavoratore. Si aggiunga che diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, all'attestazione di rischio dell'INAIL può attribuirsi valore di prova "privilegiata" soltanto se e in quanto si tratti di certificazione rilasciata sulla base degli atti di indirizzo emanati in materia dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, giusta la previsione della Legge n. 179 del 2002, articolo 18, comma 8, (confermata anche dalla Legge n. 247 del 2007, articolo 1, comma 20), così come costantemente interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, espressasi nel senso che solamente le certificazioni in questione, se non contrastate da una specifica prova contraria, consentono il riconoscimento del diritto al beneficio previdenziale controverso, senza necessità di accertare altrimenti il periodo e la consistenza della personale esposizione all'amianto del lavoratore interessato, offrendo presunzioni gravi, precise e concordanti dell'avvenuto superamento della prescritta "soglia" di rischio in tutto il periodo nelle stesse indicato (cfr. Cass. sent: nn. 10037 del 2007, 400 del 2007, 27451 del 2006 e numerose altre conformi).

In definitiva, le censure di vizio di motivazione che i ricorrenti addebitano alla sentenza impugnata non evidenziano lacune o vizi logici del suo impianto motivazionale, tali da rendere la decisione priva di razionale giustificazione, ma si risolvono, per la gran parte, attraverso la messa in discussione dell'operato e delle conclusioni del CTU, in critiche strumentali a una revisione del merito del convincimento del giudice (che quelle conclusioni ha fatto proprie) e, per ciò stesso, devono ritenersi inammissibili, in quanto incompatibili con il sindacato di (sola) legittimità proprio del giudizio di cassazione.

 

In conclusione il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione ai sensi dell'articolo 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 269 del 2003 (conv. in Legge n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.

 

P.Q.M.
 


La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.