T.A.R. del Piemonte, Sez. 2, 11 febbraio 2011, n. 146 - Dirigente pubblico e comportamento "mobbistico"


 

N. 00146/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01500/2008 REG.RIC.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

 


sul ricorso numero di registro generale 1500 del 2008, proposto da:
Loredana R., rappresentata e difesa dagli avv.ti Gian Carlo Muccio e Giorgio Muccio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Elivia Lobera, in Torino, via Barbaroux, 25;
contro
Istituto Nazionale per l’Assicurazione Contro gli Infortuni sul Lavoro - INAIL, in persona del dirigente generale con funzioni di direttore regionale per il Piemonte, rappresentato e difeso dagli avv.ti Sergio Nutini, Luigi La Peccerella e Luciana Romeo, con domicilio eletto presso i medesimi, in Torino, corso Orbassano, 366;
nei confronti di
E. Antonella S.S.;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
U.I.L.- Unione Italiana del Lavoro, rappresentato e difeso dagli avv.ti Elivia Lobera e Michela Di Martino, con domicilio eletto presso lo studio della prima, in Torino, via Barbaroux, 25;
per l'annullamento
per accertare e dichiarare
la responsabilità dell'INAIL Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro per i fatti compiuti dalla Dirigente della Sede di Asti Dott.ssa S.S. Nicoletta e per il comportamento "mobbistico" e comunque persecutorio, in violazione e inadempimento dei comuni principi che governano il contratto e il rapporto di lavoro e in particolare dell'art. 2087 cc, fatti e atti attuati in danno della dipendente sig.ra R. Loredana.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ Inail - Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum della U.I.L. – Unione Italiana del Lavoro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2010 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FattoDiritto
 

 

1. Con ricorso in riassunzione proposto innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale a seguito della sentenza n. 10453/08 della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, la ricorrente ha agito per il risarcimento dei danni che le sarebbero derivati dal comportamento illecito dell’INAIL, datore di lavoro pubblico, per i fatti compiuti dalla dirigente della sede di Asti, dott.ssa Nicoletta S.S., e per il comportamento “mobbistico” e comunque persecutorio posto in essere in suo danno, anche successivamente al trasferimento ad altra sede della detta dirigente.

2. Al riguardo, espone in fatto:
- d’essere stata assunta, tramite concorso pubblico, presso l’INAIL di Asti in data 10/11/1975 con la qualifica di archivista dattilografa, d’aver poi conseguito nel 1988 l’inquadramento al ruolo superiore di assistente amministrativo a seguito di concorso interno e d’aver svolto dalla metà dell’anno 1992 anche le funzioni di segretaria per il dott. Alfredo C., dirigente che in quel periodo ricopriva il posto poi occupato dalla dott. S.S..

- d’aver svolto con piena soddisfazione propria e dell’Istituto intimato l’attività lavorativa alla quale era stata addetta nel periodo intercorrente tra il mese di novembre dell’anno 1975 e il mese di novembre dell’anno 1993 e d’aver goduto, durante il medesimo periodo, di buona salute psico-fisica e, in particolare, di non aver mai sofferto delle patologie che si sono, invece, manifestate successivamente all’insediamento nella sede di Asti della dirigente dott.ssa S.S., avvenuto nel novembre del 1993.

 

3. Afferma, inoltre, che la dirigente suindicata l’avrebbe sottoposta a vessazioni plurime e reiterate, consistite:
- nell’utilizzare l’attività della ricorrente per ottenere delle comodità personali (ad esempio le ordinava di servire il caffè) e, al tempo stesso, per ottenere timore reverenziale della sua posizione da parte degli altri sottoposti;
- nel censurare reiteratamente, più volte al giorno, l’operato della ricorrente di fronte a colleghi, utenti e fornitori, in forma violenta, con uso pressoché sistematico di turpiloquio;
- nella pretestuosa pretesa di spiegazioni sulle modalità con le quali la ricorrente svolgeva il proprio lavoro, senza, peraltro, accettare giustificazioni di sorta, che, anzi, provocavano l’effetto di scatenare l’ira e gli insulti della dirigente medesima;
- nell’aver spalancato la porta della stanza della ricorrente e ordinato di lasciarla aperta quando la ricorrente la chiudeva;
- negli insulti rivolti alla ricorrente in caso di supposti errori;
- nei controlli che, durante la pausa pranzo, la dirigente espletava sovente sulle pratiche presenti sulla scrivania della ricorrente, peraltro, sottraendone qualcuna senza avvisarla.

 

3.1 Riferisce, altresì, che la dirigente l’avrebbe esautorata, senza alcuna spiegazione né scritta né verbale, dalla funzione di organizzare e sovraintendere al trasferimento degli arredi e delle pratiche dalla vecchia alla nuova sede dell’INAIL (incarico che le era stato assegnato dal precedente dirigente, dott. Leardi), delegando tali compiti ad altra dipendente, circostanza che, a suo avviso, assume un significato di carattere sostanziale nel contesto di vessazioni in cui si inserisce.

 

3.2 Asserisce, inoltre, che tutto ciò comportò anche il suo isolamento, in quanto il restante personale, temendo di subire il medesimo trattamento, evitò di intrattenere relazioni con lei.

 

3.3 La ricorrente, al fine di ovviare a tale situazione, cercò dapprima di avere dei colloqui privati con la dirigente, poi si rivolse al proprio sindacato locale, al Capo Area presente nell’ufficio e, infine, alla Direzione Generale di Roma e al Direttore Regionale di Torino, senza ottenere, però, l’esito sperato.

 

3.3.1 La ricorrente espone, inoltre, che le vessazioni subite e la situazione di isolamento in cui si venne a trovare le provocarono, in un primo momento, insicurezza nelle modalità dello svolgimento del lavoro stesso, nonché negli atteggiamenti da tenere con i colleghi di lavoro e con gli utenti e, poi, uno stato d’ansia, somatizzato in un generale stato di malessere, che si accentuava nel momento in cui doveva recarsi al lavoro.

 

3.4 Per tali motivi di salute, nel mese di gennaio 1995 si assentò dal lavoro e, al suo rientro, trovò che, con ordine di servizio n. 1/1995, la dirigente l’aveva trasferita ad altro ufficio, ove aveva il compito, meramente esecutivo, di mettere in ordine cronologico i verbali ispettivi e in ordine numerico la posta arrivata, senza avere la possibilità di svolgere altre funzioni, in quanto in tale ufficio mancavano il telefono, la stampante e la calcolatrice, strumenti che, peraltro, non le vennero forniti nemmeno a seguito della richiesta in tal senso rivolta.

 

3.4.1 La ricorrente asserisce che tale trasferimento, unitamente al perdurare delle pratiche vessatorie e allo stato d’isolamento, le crearono una condizione di ulteriore costante allarme, di frustrazione e di stress, tale da provocarle uno stato febbrile, persistenti e forti capogiri con conseguente insicurezza nella deambulazione, insonnia e nausea con vomito e cefalea, che, a seguito di accertamenti medici, risultarono essere di origine psico-somatica.
 


3.5 In data 19 luglio 1995 si svolse, alla presenza dei rappresentanti sindacali, tra cui la ricorrente in rappresentanza della UIL, una riunione di verifica sulla situazione della sede di Asti, durante la quale la dirigente S.S. affermò l’esistenza di un grave ritardo nel settore Immobiliare dell’Area Servizi, attribuibile alla responsabile di tale settore fino all’inizio dell’anno 1995, ovvero all’odierna ricorrente, senza mettere, peraltro, in luce anche gli aspetti positivi di tale settore o le cause di detto ritardo, con conseguente grave lesione dell’onorabilità e della professionalità della ricorrente medesima.

 

3.6 La ricorrente sostiene, inoltre che la dott.ssa S.S., poco prima di essere trasferita ad altra sede (23/7/1995), incaricò in data 5/7/1995 il subordinato signor M. di presentare denuncia per un’asserita sottrazione di documenti e forzatura di una porta, che ebbe, quale conseguenza diretta, la perquisizione effettuata dalla Polizia giudiziaria in data 19/7/1995 presso la sede INAIL di Asti e il successivo sequestro di fascicoli inerenti pratiche di infortunio e rendita, appalto e gestione di personale relativi agli anni 1986-1992.

 

3.6.1 Il 19 ottobre 1995 la ricorrente, il direttore Alfredo C. (rientrato alla sede di Asti e subentrato in data 24/7/1995 alla dott.ssa S.) e altri due dipendenti dell’INAIL furono oggetto di una perquisizione da parte di personale di pubblica sicurezza, che, nel caso della ricorrente, si svolse anche presso il domicilio e altri beni di natura strettamente personale.

 

3.6.2 Il procedimento penale, che, secondo la ricorrente, ha preso le mosse dalla denuncia presentata dal signor M. su incarico della dirigente S., si è concluso con decreto di archiviazione.

 

3.6.3 La ricorrente riferisce che l’ingiusta denuncia, oltre alla perquisizione, l’interrogatorio e la diffusione del suo nome quale sospettata di reato, in sé dannosi per il loro carattere di lesività, hanno avuto come conseguenza l’informazione di garanzia in data 11/10/1995, l’astensione dal lavoro dal 20/10/1995 sino al 19/3/1996, danni all’immagine e alla dignità personale per il clamore e la diffusione attraverso i media della vicenda, danni economici per minori retribuzioni e per spese mediche, il trasferimento prima alla sede di Firenze e poi alla sede di Alessandria (come da prassi per i dipendenti sottoposti a procedimento penale) e l’ulteriore peggioramento della già gravemente compromessa situazione di salute, con conseguente necessità di ricorrere all’assunzione di farmaci antidepressivi e ansiolitici quale cura della “reazione depressiva”, di sottoporsi a trattamenti psicoterapici e a due ricoveri (in data 11/9/1996 e 26/9/1996) presso il reparto di neurologia dell’Ospedale civile di Asti, da cui è stata dimessa con la diagnosi rispettivamente di “sospetta malattia demielinizzante, sindrome ansioso-depressiva e amenorrea… in seguito a stress psicofisico (problemi in ambito professionale)” e di “sindrome ansioso-depressiva reattiva, accompagnata da discopatia cervicale e amenorrea”, nonché di astenersi dal lavoro da agosto a novembre 1996.

 

3.7 Nel marzo 1997 la ricorrente ritorna a lavorare presso la sede INAIL di Asti e, precisamente, presso l’Ufficio Legale e l’Ufficio Rivalse.

 

3.8 Asserisce che i suoi rapporti con i dirigenti dell’area di assegnazione furono ottimi ed improntati al reciproco rispetto, ma che, nel novembre 2001, successivamente alla chiamata in causa di terzo nei confronti dell’INAIL (nel procedimento instaurato innanzi al GO), il direttore pro tempore della sede di Asti, dott. R., e le sue collaboratrici le fecero pressione affinché rilasciasse una dichiarazione in ordine al grave stato di criticità in cui versava l’Ufficio legale (di cui lei era responsabile per i compiti amministrativi), che avrebbe potuto essere pregiudizievole per la sua difesa in giudizio.

 

3.8.1 La ricorrente reagì scrivendo al direttore della sede e a tutti i sindacati.

 

3.9 Ad avviso della ricorrente, la dirigenza e, in giudizio, la difesa dell’INAIL proseguirono nella vessazione iniziata dalla dott.ssa S..

 

4. Sostenendo, dunque, che la prolungata vessazione subita sul posto di lavoro, il lamentato demansionamento e il procedimento penale cui è stata ingiustamente sottoposta in conseguenza della denuncia presentata per ordine della dott.ssa S. integrino gli estremi del vero e proprio mobbing, tale da minare il suo stato psico-fisico, la signora R. ha chiesto, previo accertamento della responsabilità dell’INAIL, il risarcimento dei danni biologico pari a Euro 116.509,63, esistenziale e alla vita di relazione pari a Euro 58.254,81 (50% danno biologico), morale pari a Euro 58.254,81 (50% danno biologico), all’immagine (ovvero alla reputazione) e alla dignità (ovvero onore) in base alla valutazione equitativa del Tribunale adito e patrimoniale (per spese mediche, per essere stata esclusa dal sistema premiante a causa delle numerose assenze effettuate nell’anno 1996 e per essere stata impossibilitata, a causa dello stato di malattia, ad effettuare il lavoro straordinario che era solita svolgere), che ritiene di avere subito.

 

5. Si è costituito in giudizio per resistere al ricorso l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), in persona del dirigente generale con funzioni di direttore regionale del Piemonte, eccependo, in via preliminare, la sua inammissibilità per essere stata proposta dalla ricorrente la domanda di risarcimento danni per responsabilità contrattuale nei confronti dell’Istituto medesimo innanzi al giudice ordinario, con citazione ex art. 269 c.p.c. notificata il 27 febbraio-1 marzo 2001 e, dunque, successivamente allo spirare del termine del 15 settembre 2000, stabilito, a pena di decadenza, dall’art. 69, comma 7, del D.Lgs. n. 165/2001 (già art. 45, comma 17, D.Lgs. n. 80/1998).

 

Nel merito, ne ha dedotto l’infondatezza.

 

6. In prossimità dell’udienza pubblica di merito del 15 dicembre 2010, la ricorrente, con memoria, ha replicato alle argomentazioni difensive ex adverso svolte.

 

7. Si è costituita, inoltre, in giudizio l’Associazione Sindacale UIL con atto d’intervento ad adiuvandum, che, in adesione alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

8. All’esito dell’udienza su indicata, la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

9. In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio dell’Unione Italiana del Lavoro – U.I.L., atteso che, come insegna la Cassazione civile, l’intervento adesivo dipendente presuppone in capo al terzo la titolarità di un interesse giuridicamente qualificato e cioè determinato dalla necessità di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi conseguenze dannose derivati da effetti riflessi o indiretti del giudicato. Interesse che, anche avuto riguardo alle argomentazioni difensive svolte, non si ravvisa sussistere nel caso di specie, in quanto non appare configurabile alcun pregiudizio giuridico rilevante nella sfera giuridica della U.I.L. quale conseguenza dell’esito del presente giudizio.

 

10. Il Collegio ritiene, invece, di poter prescindere dall’esame dell’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa dell’Istituto resistente, in quanto – come si vedrà – il ricorso è comunque infondato nel merito.

 

11. Osserva, infatti, il Collegio che, come ha avuto modo di chiarire la migliore giurisprudenza civilistica (ex multis Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 9 settembre 2008, n. 22858), il mobbing è costituito da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore, che assume le caratteristiche di una persecuzione.
 

11.1 Ai fini della sua configurabilità sono, pertanto, rilevanti i seguenti elementi:
- la protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti, giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi (Corte cost. 19 dicembre 2003 n. 359; Cass. Sez. Un. 4 maggio 2004 n. 8438; Cass. 29 settembre 2005 n. 19053; dalla protrazione, il suo carattere di illecito permanente: Cass. Sez. Un. 12 giugno 2006 n. 13537), posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente, in modo da svelare un intento vessatorio;
- la volontà che lo sorregge (diretta alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente);
- la conseguente lesione, attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico;
- il nesso eziologico tra la condotta del mobber e il pregiudizio all’integrità psico-fisica.
 

11.2 Il tratto strutturante del mobbing - tale da attrarre nell'area della fattispecie comportamenti che altrimenti sarebbero confinati nell'ordinaria dinamica, ancorché conflittuale, dei rapporti di lavoro – è rappresentato dalla sussistenza di una condotta volutamente prevaricatoria da parte del datore di lavoro volta a emarginare o estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa. Consegue, in ordine all'onere della prova da offrirsi da parte del soggetto destinatario di una condotta mobizzante, che quest'ultima deve essere adeguatamente rappresentata con una prospettazione dettagliata dei singoli comportamenti e/o atti che rivelino l'asserito intento persecutorio diretto a emarginare il dipendente, non rilevando mere posizioni divergenti e/o conflittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rapporto lavorativo (TAR Lombardia – Milano, I, 11 agosto 2009 n. 4581; TAR Sicilia-Catania, III, 27 febbraio 2009, n. 421 e 5 maggio 2008, n. 777; TAR Lazio, sez. III, 14 dicembre 2006, n. 14604).
 

11.3 Ciò che, quindi, qualifica il mobbing é il nesso che lega i diversi atti e comportamenti del datore di lavoro, i quali in tanto raggiungono tale soglia in quanto si dimostrino legati da un disegno unitario finalizzato a vessare il lavoratore e a distruggerne la personalità e la figura professionale.
 

12. La fattispecie di responsabilità portata all’attenzione di questo giudice va ricondotta alla violazione da parte del datore di lavoro di specifici obblighi contrattuali, derivanti dal principio di protezione delle condizioni di lavoro sancito dall’art. 2087 C.C..
 

12.1 Incombe, dunque, sul lavoratore l’onere della prova in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro (pacifico nel caso di specie), del fatto (come innanzi descritto ed individuato), del danno di cui chiede il risarcimento e del nesso causale tra sottoposizione alle vessazioni e danno. Spetta, invece, al datore di lavoro che voglia ottenere il rigetto della domanda l’onere di provare l’avvenuto adempimento dell’obbligazione ovvero la non imputabilità dell’inadempimento, cioè l’avvenuta adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno ai sensi dell’art. 2087 C.C..
 

13. Nel caso di specie, si osserva, tuttavia, che la ricorrente non ha fornito idonea prova della sussistenza del su indicato intento finalisticamente indirizzato ad arrecarle pregiudizio.
 

14. Anzi dagli elementi agli atti si può escludere la sussistenza di detta fattispecie.
 

14.1 Dalla copiosa documentazione prodotta, incluse le prove raccolte innanzi al giudice del lavoro, è agevole evincere che:
- sia stata inizialmente la ricorrente ad offrirsi di portare il caffè alla dottoressa S., salvo poi rifiutarsi quando quest’ultima ha inteso fruire di tale “servizio” (vedi doc. 33bis, 37ter e 76 fascicolo documenti ricorrente);
- la dott.ssa S. fosse solita usare un linguaggio volgare e fosse scostante, ovvero che, a detta dei testi escussi nel corso del giudizio innanzi al giudice del lavoro (vedi udienza in data 24/3/2004 - doc. 37 fascicolo documenti INAIL), (1 – G. ex impiegata INAIL) “cercava di fare sentire la propria superiorità in maniera non cortese a volte con parole e comportamenti, urlando e imprecando, usava parolacce come intercalare ma siccome parlava con noi le avvertivamo come rivolte a noi”, che “era abitudine della S. entrare negli uffici dove trovava la porta chiusa e andarsene lasciandola aperta” e che “… tutti rilevavano la volgarità del modo di parlare della S.”; (2 – M. ex capo area INAIL) che (la S.) “aveva l’abitudine, con tutti, di utilizzare quale intercalare espressioni . Lo faceva anche quando si rivolgeva a me. Diceva esclusivamente . Né l’ho mai sentita dire alla R. … Forse una o due volte (n.d.r. ho sentito) la S. dire alla R. di tenere la porta aperta”;
- il primo teste escusso in quella giornata dichiara, in ogni caso, “non ho mai assistito ad episodi in cui la S. ordinava alla R. di portarle il caffè… (o) insultava la R.”, ma unicamente che la S. “quando parlava con la R., s’inalberava e aveva scatti di nervosismo” e il secondo “escludo di aver mai sentitola S. appellare la R. con insulti quale ; né la R., né altri dipendenti”;
- la teste G., riferendosi alla R., dichiara, inoltre, che “per il lavoro di riordino di fogli che le era stato assegnato a nulla sarebbero serviti computer, telefono e calcolatrice”;
- il teste M. riferisce, altresì, che “… con la direttrice S. nessun impiegato venne più addetto a mansioni di del direttore”;
- la terza teste escussa nella medesima giornata (F. - infermiera professionale presso INAIL), dopo aver precisato di non aver lavorato nello stesso ufficio della R., di non essere mai stata presente ad un colloquio tra la R. e la S. e di aver avuto a che fare con la S. solo in quanto sua dirigente, ma di non essere mai stata convocata dalla stessa, ha dichiarato “mi è capitato di dover soccorrere la R. perché scendeva dal V piano… e piangeva, o non stava bene, era agitata, la mettevamo sul lettino, stava mezz’ora sdraiata e poi tornava su. Questo succedeva da quando era arrivata la dott.ssa S., prima non era mai successo. Dissi alla R. che preferivo non farmi vedere in sua compagnia perché temevo rimproveri da parte della S.”;
- la quarta teste escussa (Gallo - impiegata al CED dell’Inail) ha dichiarato, invece, “mi è capitato di assistere a colloqui tra la R. e la S.; io non ho mai assistito a insulti rivolti dalla S. alla R.. E’ vero che la S. usava come intercalare l’espressione , così capitava con tutti. Non ho mai assistito ad episodi in cui la S. mandava la R. a prendere il caffè… eravamo soliti fare la in cui tutti prendevamo il caffè assieme e si pagava a turno, veniva la titolare del bar, per ordinarlo telefonavamo al bar, telefonavamo a turno…”;
- la signora Teresa T., nella dichiarazione resa in data 30/10/2002, pur riferendo di essere stata presente più di una volta a maltrattamenti verbali subiti dalla ricorrente ad opera della dott.ssa S., afferma, in ogni caso, che “anche nei confronti della sottoscritta la S. si è rivolta spesso con termini poco corretti”;
- non è provato che il bagno “invalidi” di cui la ricorrente asserisce le fosse stato interdetto l’utilizzo sia stato chiuso dalla S. a tale specifico fine, atteso che la dichiarazione resa in data 25 marzo 2004 (doc. n. 8bis fascicolo documenti ricorrente) dalla dott.ssa G., Capo Area Servizi dell’Inail di Asti, attesta unicamente la possibilità di bloccare le serrature dall’esterno, ma non vale a provare la diversa circostanza della chiusura del bagno al fine mirato (e vessatorio) di impedirle l’utilizzo e che, in ogni caso, i vari testi escussi nel corso del giudizio innanzi al G.O. hanno reso versioni contrastanti.


15. Gli argomenti di prova che, a norma dell’art. 11, comma 6, c.p.a., è possibile trarre dalle su indicate deposizioni testimoniali e dichiarazioni comunque acquisite portano, dunque, ad escludere che il “trattamento” denunciato fosse riservato alla sola R..
 

15.1 Trapela, infatti, unicamente che la S., nel quotidiano relazionarsi con colleghi e sottoposti, fosse solita utilizzare espressioni volgari e comportarsi in maniera autoritaria e che fosse, in genere, irascibile e priva di quell’autocontrollo che è auspicabile possieda chi è preposto allo svolgimento di incarichi e/o funzioni dirigenziali.
 

15.2 Ma non risulta, invece, idoneamente documentato che tale modo di comportarsi della S., sicuramente deplorevole, fosse mirato a vessare la ricorrente, atteso che, in senso contrario, non pare siano in grado di deporre le dichiarazioni rese dai testi escussi in data 22/5/2003, riferendo, la prima (N.), di un semplice (ed unico) litigio tra la ricorrente e la S. (di cui, peraltro, non è in grado di riferire il motivo), all’esito del quale quest’ultima è uscita dall’ufficio sbattendo la porta e rivolgendo alla ricorrente l’appellativo di “stronza” e avendo, il secondo (B., che conferma l’utilizzo dell’epiteto “stronza” da parte della S. e che riferisce di continui litigi tra la ricorrente e la S. e di altri fatti di cui ha “sentito dire in ufficio da persone di cui non ricorda il nome”), lavorato sullo stesso piano della ricorrente fino all’anno 1993 , ovvero per massimo 2 mesi dall’insediamento della dott.ssa S. presso la sede di Asti, avvenuta – come esposto in ricorso – nel mese di novembre dell’anno 1993.
 

16. Per quanto riguarda la lamentata quotidiana sottrazione di pratiche dalla sua scrivania, circostanza, peraltro, non adeguatamente provata, atteso che in base a quanto riferito dalla teste Gallo sembrerebbe più corretto parlare di temporaneo impossessamento connesso ad esigenze di servizio, osserva il Collegio che, in ogni caso, pare rientrare tra i legittimi poteri del dirigente quello di monitorare e, occorrendo, controllare l’operato dei sottoposti, anche verificando le pratiche dagli stessi istruite e, quindi, necessariamente impossessandosene.
 

17. In relazione ai fatti per cui la signora R. è stata iscritta nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Asti (R.G. notizie di reato n. 702/1995) osserva, invece, il Collegio che gli stessi non risultano se non occasionalmente collegati con la denuncia relativa alla rilevata mancanza di n. 2 fascicoli e alla forzatura di una porta, presentata in data 5/7/1995 dal vice-direttore dell’Inail di Asti, signor M. Giuseppe, su incarico del direttore dott.ssa S.S..
 

17.1 I fatti per cui la ricorrente è stata sottoposta ad indagine penale e dai quali asserisce d’aver subito grave turbamento sono, infatti, relativi ad un’indagine autonoma, svolta in merito a presunte irregolarità nella gestione delle pratiche d’infortunio e rendita, di appalto e di gestione del personale, relativi agli anni dal 1986 al 1992, che nulla hanno a che fare con la denuncia presentata dal signor M..
 

18. Quanto, infine, agli asseriti demansionamento e denigrazione professionale che la ricorrente riferisce d’aver subito, il Collegio si limita ad osservare che l’ordine di servizio n. 1/1995 in data 18 gennaio 1995, con cui l’allora direttore della sede di Asti, dott.ssa S., dispose – tra le altre - l’assegnazione della signora R. dall’Area Servizi alla sub-area premi, pare costituire meramente uno degli atti attraverso i quali è stata data attuazione al processo di riorganizzazione interna della sede, finalizzato ad un generalizzato recupero di efficienza (vedi doc. 3, 4, 5, 6 e 7 fascicolo documenti INAIL) e, in special modo, dell’Area Servizi, mediante il razionale utilizzo delle risorse umane esistenti.
 

18.1 Non appare, invero, fuori luogo rappresentare che gli atti di gestione del personale adottati, anche per fatti concludenti, dalla dott.ssa S. risultavano condivisi dalla Direzione Regionale e, comunque, supportati dall’esito della verifica effettuata nel mese di aprile 1994 dal gruppo regionale di controllo e dalle conclusioni cui l’Ufficio Gestione – Area di Direzione della Direzione regionale dell’Inail era giunto in occasione della verifica dei risultati al 30/9/1994.
 

18.2 In particolare in tale ultima relazione (doc. 7 citato) si legge, con riguardo alla Gestione Immobiliare, che la signora Sacco della sede di Vercelli, inviata in missione ad Asti a supporto dell’Area Servizi, “ha iniziato la regolarizzazione delle posizioni di morosità degli inquilini che sono quasi tutte fittizie essendo dovute al mancato o inesatto aggiornamento degli archivi”, che “deve essere ancora effettuata la richiesta delle spese condominiali degli ultimi due anni” e che sarà, comunque, necessario un apporto esterno in considerazione del fatto che “l’addetta al settore, signora Loredana R., non appare in grado di poter gestire in autonomia l’arretrato esistente essendo già assorbita dal lavoro corrente e non dimostrando, peraltro, degli ampi margini di miglioramento del rendimento”.
 

18.3 Nella parte conclusiva viene, inoltre, posto l’accento sulle criticità di carattere generale in quel momento riscontrate nell’Area Servizi e, comunque, evidenziato che mentre un’altra dipendente è un elemento di notevoli potenzialità e con ampi margini di miglioramento, per la seconda (ovvero la ricorrente) – nelle condizioni operative esistenti – “non sembra che vi siano analoghe immediate prospettive”.
 

19. L’arretrato riscontrato, in sede di verifica, nel settore Gestione Immobiliare è, con tutta evidenza, il medesimo che la direttrice della sede Inail ha successivamente portato a conoscenza delle Organizzazioni Sindacali nel corso della riunione in data 17 luglio 1995 e che la ricorrente ha, invece, ritenuto fosse stato rappresentato al solo scopo di denigrare la sua professionalità.
 

19.1 Nemmeno nelle note da lei stessa inviate all’Amministrazione nell’immediatezza dell’accaduto riferisce, però, di aver udito in quella sede negativi apprezzamenti diretti alla sua persona, ma solo, per l’appunto, rappresentare una generale ed oggettiva situazione di arretrato interessante il settore in questione (vedi doc. 12 e 13 fascicolo documenti ricorrente).
 

20. Prive di qualsivoglia consistenza probatoria risultano, infine, le persecuzioni che la ricorrente asserisce d’aver subito nell’anno 2001 o, in giudizio, per opera della difesa dell’Inail.
 

21. L’esame obiettivo delle circostanze riportate dalla ricorrente non consente, dunque, di affermare che esse contengano, anche soltanto per via indiretta, la prova del dato fattuale strutturante la fattispecie illecita.
 

22. Non dubita il Collegio che i rapporti tra la ricorrente e la dirigente S. fossero conflittuali, che la signora R. possa aver percepito come rivolte solo a lei alcune (discutibili) esternazioni della dirigente o che abbia effettivamente sofferto il disagio psico-fisico lamentato, ma, nel caso di specie, l’indimostrata sussistenza del fatto nella sua articolata complessità e nella sua strutturale unitarietà non consente di ritenere integrata la fattispecie del mobbing.
 

23. Ad avviso di questo giudice, la ricorrente non ha offerto, infatti, la prova rigorosa della sussistenza dell’intento finalisticamente indirizzato ad arrecarle pregiudizio, ma, unicamente, riferito come ha personalmente avvertito e percepito il quotidiano svolgersi della dinamica relazionale con la dirigente di riferimento e, in genere, l’evolversi dei rapporti di lavoro.
 

23.1 Situazione sicuramente conflittuale, ma non per questo necessariamente persecutoria o volutamente preordinata ad emarginarla o estrometterla dalla struttura organizzativa.
 

24. Il fatto di essere stata trasferita ad altro ufficio o di aver assistito, al pari di altri colleghi, al frequente turpiloquio della dirigente o, ancora, di aver emotivamente sofferto i suoi modi autoritari e sgarbati non paiono, in definitiva, costituire circostanze di per sé idonee a fondare una condotta mobizzante e a legittimare pretese risarcitorie.
 

24.1 Non appare, infatti, ultroneo ribadire che “ciò che configura il mobbing non è l’individualità degli episodi, ma la loro configurazione individualistica che vale a strutturare come peculiare e non riducibile ad altre fattispecie similari l’istituto del mobbing” (Tar Sicilia, Catania, III, 13 marzo 2008, n. 777).
 

25. L’insussistenza dell’illecito, sotto il profilo oggettivo, esonera il Collegio dalla necessità di accertare la produzione in concreto dei danni lamentati, nonché il nesso causale tra la condotta e l’evento dannoso.
 

26. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
 

27. Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio, attesa la particolarità delle questioni trattate.
 

 

P.Q.M.

 


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- dichiara l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum della U.I.L. – Unione Italiana del Lavoro;
- rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Manuela Sinigoi, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)